Perché in Liguria sono sempre di più i casi di acqua di rubinetto non potabile?
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Imperia - Nelle scorse estati il ponente ligure è stato protagonista di diversi casi di cronaca relativi alla mancanza d’acqua potabile: lo scorso anno ad Andora, Alassio, Diano Marina e Laigueglia usciva acqua di mare dai rubinetti; a Camporosso, Vallebona e Riva Ligure la situazione non era migliore, perché l’acqua di casa non era salata, ma comunque non potabile; l’anno prima, nel 2022, a Diano Marina la poca pressione idrica aveva lasciato il centro cittadino completamente senz’acqua, con turisti e residenti inferociti.
Casi come questi purtroppo sono stati tanti, ecco perché, per far fronte alla carenza idrica che ha caratterizzato le scorse estati, l’imperiese ha virato verso una nuova infrastruttura, con un investimento da circa trenta milioni di euro, il Masterplan Roja. La nuova tubazione “prevede il raddoppio della condotta adduttrice del Roja dalla località Prino verso il levante della provincia, oltre alla sostituzione della tratta di Sanremo”, come si legge sul sito di Rivieracqua, il consorzio che gestisce l’acquedotto in quest’area.
La nuova condotta in lavorazione – dovrebbe essere attiva il prossimo anno – dovrebbe garantire un servizio più sicuro, con meno rotture e perdite. Nel frattempo però, al netto di una serie di guasti – circa una decina al giorno, dovuti agli alti consumi estivi per il caldo –, quali sono le possibili soluzioni in ottica di prevenzione?
LA VISIONE DI LEGAMBIENTE
«Anche se arriviamo da una primavera molto piovosa, la gestione idrica è sicuramente un tema importante da affrontare, soprattutto in questa porzione di regione», sottolinea Federico Borromeo, direttore di Legambiente Liguria. Prevenire però è meglio che curare, ecco perché è opportuno lavorare in maniera più verticale.
«Ci sono diverse azioni attuabili in macro-scala: la prima è quella di dotarsi di strumenti pianificatori per affrontare i cambiamenti climatici». Una delle cause di tanti problemi infatti è far fronte a determinate situazioni esclusivamente in ambito emergenziale, anziché “a monte”. È importante poi la comunicazione sul tema, da rendere più organica e strutturata. «Una politica di divulgazione della lotta allo spreco che sensibilizza la cittadinanza di tutte le età – con interventi anche nelle scuole –, al di là dell’impatto reale in termini quantitativi di risparmio idrico, consente di accendere i riflettori sulla tematica».
Essenziale anche il monitoraggio sulla rete idrica e una pianificazione sulla realizzazione di interventi utili a ottimizzarla. «Da alcuni dati – fonte ISTAT, dati riferiti al 2020: 56,4% in provincia di La Spezia; 41,6% nella provincia di Imperia; 35,2% a Genova e 34,8% Savona, rispetto al 42,2% della media nazionale – si registra parecchia dispersione di acqua potabile, da qui la necessità di monitorare la rete e di andare a risolvere le perdite. Misure di di finanziamento come il PNRR, presentando progetti legati al cambiamento climatico in atto, potrebbero consentire di fare questo tipo di lavoro».
Perché poi non pensare ai bacini imbriferi? «In Liguria si tende a costruire i depuratori, mentre l’acqua pulita di questi bacini potrebbe per esempio essere impiegata in ambito agricolo. Penso alle aziende della piana di Albenga e a chi lavora nella floricoltura, ma anche a chi magari ha un piccolo terreno con un orto di sussistenza, una tendenza in aumento in questi ultimi anni».
Il punto è che in tutti questi casi vengono utilizzati litri e litri di acqua potabile per le irrigazioni – numericamente cresciute, visto anche l’innalzamento delle temperature di circa 2°C –, tuttavia in Liguria da ponente a levante ci sono diverse realtà, per lo più consorzi agricoli, che gestiscono l’acqua in modo sostenibile, proprio a partire da piccoli canali al chiuso.
Lungimiranza e coordinamento. «Per risolvere il problema idrico in Liguria non servono grandi opere, quindi – conclude – ma una macroprogettazione, con tante piccole azioni su larga scala. Ci si lamenta sempre che i fondi non ci sono, ma quante volte in Italia non si riescono nemmeno a richiedere i finanziamenti? Spesso ci sono, ma di fatto poi, se non richiesti, i fondi vengono ridestinati. Occorre allora pensare a un’azione composta, a partire da una pianificazione della strategia di adattamento al cambiamento climatico, passando per azioni mirate di comunicazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica che generi pressione, puntando esplicitamente i riflettori sul tema».
“VIETATO NON COPIARE”. QUANDO PRENDERE SPUNTO DAGLI ALTRI DIVENTA DOVEROSO
«Sul pianeta Terra l’acqua è la molecola più riciclata e più riciclabile in assoluto. Cosa significa? L’acqua è sempre la stessa, quello che cambia è come noi ne disponiamo», precisa Giovanni Minuto, direttore del Centro di Sperimentazione e Assistenza Agricola, il Cersaa di Albenga. Le soluzioni in ambito agricolo, secondo Minuto, sono numerosissime: «Il censimento e il riutilizzo di invasi già esistenti è la prima cosa da fare».
Mentre chiacchieriamo, l’agronomo mi chiede se riesco a visualizzare cosa si vede osservando fuori dal finestrino quando si guida verso ponente. Ora le vedo: al di là dell’autostrada un crescendo di vasche per la floricoltura, per lo più abbandonate. «Solo dopo aver recuperato tutti o comunque buona parte di questi bacini si potrà pensare alla realizzazione di eventuali nuovi impianti. Ora stiamo ragionando anche sulla ricarica delle falde, immettendo acqua piovana opportunamente raccolta e filtrata».
Se da un lato c’è lo studio di metodi per il trattenimento dell’acqua meteorica, dall’altra c’è il grande tema dell’uso efficiente della risorsa acqua: «Ormai in ambito agricolo è stata drasticamente ridotta l’irrigazione a scorrimento, in favore di quella a goccia o a microportata, che permettono di portare l’acqua nelle zone dove scarseggia, a causa delle scarse o saltuarie precipitazioni».
Anche l’incremento della fertilità della sostanza organica dei suoli è una strategia di sostenibilità. «Se in un vasetto di torba vengono versati 100 millilitri di acqua, restano per lo più nel terreno; se invece la stessa quantità viene versata in un barattolo di sabbia, scende immediatamente sul fondo. Con la riduzione dell’agricoltura e il passaggio sempre più massiccio alla fertilizzazione minerale, si è drasticamente ridotta anche la capacità di ritenzione idrica dei terreni».
«Oggi molti tentativi vanno nella direzione di trattenere l’acqua superficiale, però attenzione, il nostro emungimento è soprattutto di acqua sottosuperficiale», sottolinea Minuto. «Alla fine, vede, non stiamo inventando niente di nuovo da quello che già trentacinque anni fa facevano in Olanda, dove ho studiato Agraria all’Università. Quando si pensa all’Olanda la si immagina come una terra ricchissima di acqua e in un certo senso lo è, ma lì l’acqua superficiale il più delle volte non può essere utilizzata, perché arriva da bacini industriali».
Come si riesce a ovviare? «Le aziende agricole si riuniscono, fanno un’analisi geologica del suolo, dopodiché la pioggia che precipita dal cielo sulle serre viene pompata in profondità nel terreno, così da creare delle grandi “bolle” di acqua, a cui poi le aziende attingono per utilizzi agricoli. Questo non è fattibile ovunque da noi chiaramente, però in alcune aree sì. Perché allora non andare a copiare le buone idee degli altri?».
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