Silvia Spinelli: “Prevenire la violenza di genere grazie alla cura delle relazioni”
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La cronaca riferisce di femminicidi e molestie, aggressioni in famiglia, bullismo a scuola o stalking sui luoghi di lavoro. Episodi che sconvolgono e uniscono le coscienze in moti di disapprovazione più che giustificati, ma che difficilmente hanno il potere di cambiare le cose. Come possiamo prevenire la violenza di genere? Come possiamo riconoscerne i segni e agire per contrastarli, tutti e con il dovuto anticipo, assumendoci la responsabilità di fare la nostra parte?
Non solo evitando di girarsi dall’altra parte, offrendo ascolto, segnalando abusi quando ne veniamo a conoscenza. Ma anche – molto prima – essendo comunità educante che prepara i bambini a diventare uomini in grado di sostenere rifiuti o frustrazioni e donne con autostima e consapevolezza abbastanza salde da non tollerare alcuna forma di violenza. Ne ho parlato con Silvia Spinelli, psicologa, psicoterapeuta, formatrice esperta in relazioni disfunzionali e co-ideatrice del programma Attente al lupo. Insieme a Bruno Garbi, formatore civile e militare e insegnante di autodifesa, gira l’Italia coinvolgendo donne, ragazze, bambine, uomini che vogliono contrastare la violenza di genere e imparare strumenti concreti per la propria auto-protezione.
Cosa significa violenza di genere nella quotidianità?
Riconduco la violenza di genere a tutte le situazioni in cui una persona viene svalutata, attaccata o molestata solo in virtù del fatto di avere un determinato genere. Ha a che fare con tutta una serie di comportamenti che inducono la donna a sentirsi un po’ bloccata, in freezing, spaventata e non libera quanto un uomo di accedere alle proprie risorse: andare in giro e camminare in alcune zone o magari di prendersi tempo per sé.
Penso, ad esempio, al catcalling e a quella sottile differenza tra apprezzamento e molestia, al gender pay gap o alla violenza economica, per le quali abbiamo interiorizzato l’idea che il tempo dell’uomo valga di più di quello della donna. Addirittura esiste il gender dream gap, cioè il fatto che per le donne è difficile sognare allo stesso modo degli uomini…E questo è molto triste.
Cultura della prevenzione: quando e come possiamo iniziare con i bambini?
La cultura della prevenzione parte sicuramente all’interno di noi. Il primo passo è riconoscere in noi gli stereotipi, i bias, gli errori sistematici che la nostra mente compie e accorgerci in prima persona di quando, senza volerlo, mettiamo in atto questo stereotipo. Si tratta di un’interiorizzazione che emerge nei momenti più impensati, anche in persone, come me, che hanno studiato e approfondito questi temi. Non dobbiamo sentirci immuni, nessuno è immune. Solo se con umiltà sappiamo di aver interiorizzato questi errori e questi stereotipi possiamo riconoscerli e cercare di correggerci a partire dal linguaggio, che dà voce alla mentalità sottostante.
Quali sono quindi le abitudini e gli stereotipi da scardinare per agire d’anticipo?
Le abitudini da scardinare sono proprio quelle per cui alle bambine vengono messe in mano le bambole, le pentole, gli strumenti da infermiera, che trasmettono il messaggio che è loro compito prendersi cura. Mentre ai maschi vengono suggerite, ad esempio, professioni legate alle materie scientifiche e tecnologiche. Dobbiamo renderci conto che c’è una stretta relazione tra quanto diamo l’opportunità/il permesso di esplorare diversi tipi di giochi o attività e le possibili, reali scelte future.
Come la scuola può fare la sua parte? A quale età ritieni sia efficace iniziare?
A partire dal nido, ordine di scuola in cui si usano molti travestimenti e i bambini giocano tutti – indipendentemente dal genere – con le bambole o con la cucina, al contrario delle scuole successive. È importante evitare affermazioni stereotipate come “i maschietti, si sa, giocano in modo fisico” oppure, rivolti a una bambina, “ma tu sei una signorina, non comportarti da maschiaccio”. Questi raggruppamenti non fanno bene a nessuno, si tratta di una narrazione tossica, che nuoce a entrambi i generi e avalla la violenza contro le donne. Sono le donne infatti a essere sempre descritte come più deboli, meno in grado di fare una serie di cose.
Sono le donne a essere etichettate come più sensibili ed emotive e questo le penalizza. Voglio sottolineare un concetto fondamentale: un compito chiave della scuola è educare e allenare all’ascolto perché quando si parla di privilegi – essere maschio, non essere immigrato, essere in salute, essere economicamente privilegiato – occorre dare voce e ascolto alle minoranze. In questo senso bisogna allenarsi e allenare i bambini all’empatia nel senso più etimologico del termine, ovvero mettersi nei panni dell’altro.
Ad esempio, il fenomeno del mansplaining – l’uomo che spiega alla donna come si deve sentire di fronte a comportamenti violenti, sminuendoli – è da attaccare alla radice, nell’educazione e nell’abitudine all’ascolto dei diretti protagonisti. Un leone che dice alla gazzella che non c’è motivo di avere paura quando fruscia un cespuglio non è credibile.
Cosa possiamo fare per “educare” i nostri bambini a non accettare di essere oggetto di violenza di alcun tipo?
Prima di tutto evitare di fare violenza sui bambini. Sembra banale e ridondante dirlo ma ancora oggi, nel 2024, c’è chi promuove il ceffone o lo scappellotto educativo. Non esiste nessuna forma di violenza fisica o verbale che sia educativa, nulla di ciò che è una molestia o un gesto fisico violento può essere educativo. Quello della violenza è un linguaggio che si impara, quindi il primo modo per non perpetrare la violenza è evitare di essere violenti in prima persona.
Poi non essere controllanti in modo eccessivo per non giustificare l’accettazione da parte delle nostre figlie dello stesso atteggiamento in altri. Inoltre, lavorare sul senso di sé e sull’autostima: aiutare le bambine e le ragazze ad affermare il loro valore personale così che chi cerca di sminuirle e svalutarle trovi pane per i suoi denti. Una persona che sente di valere poco è più esposta a farsi trattare in modo inadeguato. Infine, parlare di questi temi e affrontare l’argomento insieme.
La violenza di genere si combatte attraverso la cura delle relazioni, in che senso?
La cura delle relazioni sane parte dal presupposto di amare e stare vicino alle persone per quelle che sono e non perché devono impressionare qualcuno. Per la cultura della performance, le donne devono essere sempre abbastanza qualcosa: abbastanza sexy, abbastanza zitte, abbastanza belle, abbastanza depilate. Devono in qualche modo conquistarsi l’interesse, non attraverso il diritto ontologico all’amore, a essere viste in quanto esseri umani e persone, ma in senso più prestazionale. Dover dimostrare sempre qualcosa a qualcuno è molto pericoloso perché già nei bambini allontana dall’unica vera misura di protezione che abbiamo: l’ascolto della nostra bussola interna, delle nostre emozioni, delle nostre paure.
L’ascolto di quella parte che ci dice che una persona non ci convince anche se non ci ha mai fatto niente. Dobbiamo dare importanza a queste percezioni, mentre invece veniamo educati fin da piccoli a compiacere qualcuno. “Dai un bacino alla zia..!”, è l’esempio di una situazione frequente, imposta con leggerezza ai nostri figli. Evitare questo genere di comportamenti ci permette di mettere dei germogli essenziali, aiutando i bambini e soprattutto le bambine ad ascoltarsi e a prendere sul serio il proprio sentire.
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