Ultima Generazione e la crisi ambientale: ecco perché è giusto sostenere chi fa attivismo per il clima
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“Ogni giorno che passa senza avviare una transizione radicale della nostra società ed economia rende sempre più indispensabile un movimento di disobbedienza civile resiliente che eserciti pressione sul governo affinché agisca. Confermiamo che la fondazione filantropica statunitense Climate Emergency Fund (C.E.F), il nostro principale donatore, ha deciso di reindirizzare le sue donazioni verso campagne di disobbedienza civile negli Stati Uniti. Così come gli statunitensi finanziano le proprie campagne, Ultima Generazione vuole essere sostenuta dalla popolazione a cui si rivolge. Abbiamo lanciato una raccolta fondi con l’obiettivo di raccogliere 20.000 euro, una somma relativamente piccola rispetto alla quantità di lavoro svolto da Ultima Generazione e alle sfide in cui andiamo incontro”.
Così inizia il comunicato stampa recentemente diffuso da Ultima Generazione, il movimento italiano che dal 2022 ha portato la disobbedienza civile nelle nostre strade, prefiggendosi l’ambizioso obiettivo di stimolare una mobilitazione di massa nonviolenta nella popolazione denunciando l’inazione politica verso il collasso socio climatico.
Le azioni di protesta messe in atto hanno rappresentato uno spartiacque all’interno del mondo dell’attivismo a causa della loro radicalità, riuscendo a usare lo scalpore e la polarizzazione che esse suscitano nell’opinione pubblica per avere più risonanza mediatica possibile, lo strumento più efficace per fare sapere che di fatto sì, c’è un numero sempre più consistente di cittadini disposti anche ad andare in carcere pur di far sapere a più persone possibile che quello contro cui stiamo andando a sbattere è un collasso a 360 gradi e che la vita come l’abbiamo sempre conosciuta presto si trasformerà drasticamente.
E che forse il nostro Governo, considerate le sue decisioni politiche, le sue colpe e responsabilità ambientali, dovrebbe tirare un sospiro di sollievo se la scelta più radicale che decide di attuare un movimento di disobbedienza civile è quella di occupare una strada per una ventina di minuti con le mani alzate, esercitando sempre e solo resistenza passiva e mai violenza.
Ad oggi però gli attivisti di Ultima Generazione si ritrovano a fronteggiare una situazione di improvvisa difficoltà economica, per questo motivo hanno deciso di lanciare un fundraising, nella ricerca di una rete di sostegno indipendente: “Abbiamo la responsabilità e il dovere civico di agire di fronte alla totale inadeguatezza di questo governo. Il sostegno economico a Ultima Generazione è un’azione fondamentale che permette al movimento di continuare a mettere pressione e tenere l’attenzione alta sul problema”, scrivono.
“La nostra intenzione è costruire una rete di tanti donatori mensili che ci possano offrire una stabilità economica duratura. Questo ci permetterà di pianificare con anticipo, garantire un contributo alle persone che si dedicano a tempo pieno a tenere in piedi la struttura e a essere più efficaci nelle nostre azioni. Pensiamo che sia giusto che Ultima Generazione venga finanziata dagli italiani perché la nostra richiesta e le nostre azioni sono direzionate al governo italiano”, prosegue il comunicato.
Ho riflettuto molto su ciò che implica scegliere di entrare in un’organizzazione di resistenza civile, sull’impatto dell’esercizio di proteste divisive, sull’esposizione a ripercussioni legali e penso che il fulcro di tutto sia sempre in realtà un concetto molto distante, se non opposto, a quello di scelta. Spesso infatti l’atto di chi si espone socialmente – assumendosene tutti i rischi e le conseguenze – viene raccontato tralasciando l’elemento a mio avviso più significativo: quello della necessità di tale slancio.
Già, perché la situazione attuale è sotto gli occhi di tutti: in Sicilia contiamo l’acqua con il contagocce e la razioniamo a più di un milione di persone già in inverno, le temperature estreme bruciano i raccolti riducendo ai minimi termini la produzione agricola e quegli stessi terreni sono poi squassati da alluvioni ed eventi climatici estremi sempre più frequenti e fuori controllo. Tutto ciò produce delle ripercussioni a cascata sul sistema sanitario, alimentare e ovviamente economico. E allora è comprensibile che chi compie azioni di disobbedienza civile senta di essere mosso non tanto da una scelta opzionale, quanto da un senso di necessità e urgenza irrinunciabile.
Se poi contestualizziamo il tutto all’interno di uno scenario che si presenta a noi dopo ben trent’anni e più di attivismo climatico, di manifestazioni autorizzate, di raccolte firme, di pedalate per il clima, domeniche ecologiche e accordi internazionali traditi, allora – come ci ricorda Ultima Generazione fin dall’inizio – non sarà il riformismo a salvarci, troppo debole e inefficace di fronte all’ostruzionismo politico e agli introiti di miliardi di euro mossi dalle industrie fossili finanziate dal nostro Stato, ma una coscienza democratica partecipata, capace e desiderosa di compiere azioni che scuotano, che politicizzino.
Se pensiamo poi che attivisti e attiviste che rischiano in prima persona già ci sono, che hanno fatto e continueranno a fare sacrifici enormi compromettendo di fatto il loro futuro e rischiando la loro libertà, potremmo convincerci che abbiamo più bisogno di loro di quanto pensassimo, di quanto ci fosse permesso renderci conto. E aiutarli.
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