Turismo delle radici in Calabria. Speriamo non diventi l’ennesimo parco giochi
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Quando con Italia che Cambia andammo a Berlino alla scoperta della grande città che cambia per antonomasia, durante uno dei nostri incontri incrociai un giovane fotografo brasiliano. “Sei calabrese?” mi chiese subito in perfetto italiano. Il mio sì fu un vaso di Pandora. Rodrigo è venuto fin quaggiù qualche anno fa, giù fino a San Giorgio Morgeto, in provincia di Reggio Calabria.
Un lungo viaggio per scoprire il paese natio del nonno, partito per la Merica (del Sud, stavolta) più di cinquant’anni fa. Ricordo bene il sorriso amaro di Rodrigo che mi racconta l’emozione e la delusione all’arrivo. E, soprattutto, i disagi. Dopo giorni di viaggio per raggiungere il paesino, per esempio, non ha trovato un modo – e cioè un mezzo di trasporto – per arrivare in paese. Ed è rimasto suo malgrado a Rosarno, fin lì arriva il treno, per un intero weekend, prima che un bus di linea si degnasse ad accompagnarlo.
Viaggiare alla scoperta della propria terra di origine e della propria storia familiare non è una novità, la novità piuttosto è che – finalmente – l’Italia si accorge di questo via vai e prova a trasformarlo in un settore strategico. Quello delle radici è la nuova frontiera del turismo che ogni anno porta in Italia 7,8 milioni di stranieri di origine italiana, con una spesa annuale pari a 8 miliardi di euro, secondo le stime dell’Osservatorio Coldiretti su dati Isnart e Banca d’Italia. Il 2024 è stato decretato dal Ministero degli Esteri “Anno delle radici italiane” con tanto di progetto inserito nel famigerato PNRR.
Il bacino da cui attingere è grande ed è sempre in espansione. L’Italia, specie al Sud, è diventata un Paese di immigrazione senza mai smettere d’essere un Paese di emigrazione. L’Italia altrove, insomma, è grande quando lo Stivale e la sua popolazione non smette di crescere: sei milioni di italiani residenti all’estero che diventano 80 milioni se contiamo anche gli oriundi e i discendenti. O addirittura 260 milioni se includiamo chi è affine per legami parentali perché parla la nostra lingua o si sente per qualche ragione vicino alla nostra cultura.
Di questi, una fetta non indifferente è calabrese: almeno sei milioni, o forse otto, calabresi vivono all’estero a fronte di nemmeno due milioni di calabresi che vivono quaggiù. La Calabria è tra le terre di origine principali degli emigranti perciò è anche tra le regioni più gettonate dai turisti delle radici. La ricerca realizzata da Crea, Università della Calabria e Rete Rurale Nazionale nel 2023 posiziona la regione al primo posto con il 37%, seguita con ampio distacco da Sicilia (16%), Lazio (14%), Campania e Veneto (13%), Marche (12%). Puglia, Toscana e Sardegna (10%), Emilia Romagna e Liguria (9%), Abruzzo (8%) e Basilicata (6%).
Tour, visite guidate ed eventi dedicati. Un viaggio nel tempo alla scoperta e riscoperta delle proprie origini e dei luoghi vissuti dai propri avi, per conoscerne storia, tradizioni, cucina e magari incontrare i parenti ancora vivi. All’avventura, come quella di Rodrigo, si aggiunge il tentativo di organizzare la vita agli oriundi con esperienze di ri-connessione che permettano al viaggiatore di diventare cittadino del loro paese di origine per qualche giorno.
Viaggi personalizzati che includono i servizi necessari per il soggiorno: sistemazione alberghiera, ristoranti, mezzi di trasposto, guida e, se necessario, traduttore. Ed è il cibo il motore di questa esperienza turistica, del resto l’emigrazione ha riguardato le aree agricole perciò le tradizioni della tavola sono l’espressione più diretta del legame con la terra: il 96% dei viaggiatori delle radici in Italia apprezzano la cucina locale e l’80% acquista cibo o bevande prima di rientrare.
Un’occasione allettante. Non solo per i più di 100mila turisti che ogni anno potrebbero aggiungersi ai flussi del turismo tradizionale, ma per la possibilità di tornare a generare vita nell’80% di territorio oramai desertificato. La Calabria è un bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno, in bilico tra investimenti affrettati e strade dissestate.
Se l’arrivo di Ryanair a Reggio Calabria ha attutito l’isolamento della Calabria meridionale, lo stesso non si può dire per l’arrivo di Uber che – stando alle denunce dei calabresi che lo hanno tentato – ha preso le sembianze di un servizio extra lusso. E non è certo riuscito a sopperire all’assenza di mezzi di trasporto nella regione. Un esempio? Da Reggio Calabria a Scilla (solo andata) oltre 96 euro per percorrere poco più di 20 chilometri.
Il “turismo delle radici”, come il turismo in generale, è un’occasione che rischia di essere sacrificata sull’altare della propaganda e del marketing istituzionale. Gli enti locali litigano, guerreggiano sulle macerie di una regione che – nonostante gli ingenti investimenti in marketing – fatica a recuperare e non ha ancora raggiunto i livelli pre-Covid. Eppure ogni giorno, centinaia di privati, associazioni e piccoli produttori continuano a tessere la visione di accoglienza tipica calabrese. Nonostante l’insufficienza delle infrastrutture, degli incentivi, degli aiuti, delle strade e dei mezzi di trasporto. I calabresi fanno la Calabria, nonostante la Calabria.
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