24 Lug 2024

Transizione energetica, speculazione o tutela dell’ambiente?

Scritto da: Paolo Piacentini

L’incremento delle energie rinnovabili si può raggiungere senza ulteriore consumo di suolo, lo confermano numerosi studi, eppure non sembra essere questa la direzione intrapresa. In Sardegna, ad esempio, il passaggio da transizione a speculazione rischia di compiersi concretamente. Soldi, grossi interessi, territori deturpati e poche ricadute economiche e sociali, che fine hanno fatto i principi alla base di una vera transizione energetica a tutela del paesaggio e della biodiversità?

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Chissà se i denigratori seriali di chi prova a ragionare in modo articolato su un punto strategico per il futuro dell’Italia e del Pianeta, arrivano a dare la patente di negazionista anche ai ricercatori dell’ISPRA che hanno elaborato uno studio specifico su una possibile transizione energetica a consumo di suolo zero? Non mi sorprenderebbe visto che tra i negazionisti i vecchi amici e compagni di cammino di alcune grandi associazioni ambientaliste hanno inserito anche il professore Paolo Pileri, impegnato da anni con il dovuto approccio scientifico, sulla battaglia per una transizione che non vada ad intaccare il paesaggio e la biodiversità.

Ci siamo detti ormai, tra chi prova a ragionare mettendo al centro i principi dell’art.9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.”, che bisogna prendere atto di questa triste polarizzazione senza cessare l’impegno per tenere aperto un confronto.

In Sardegna, che in questo momento rappresenta la punta dell’iceberg di una diffusione dei grandi impianti fortemente impattante in tutta la Penisola, il passaggio da transizione a speculazione e financo colonizzazione rischia di avverarsi in poco tempo, se non si mette un punto fermo certo e immediato alle miriadi di richieste d’autorizzazione depositate presso Terna.  Da pochi giorni è in vigore il decreto sulle aree idonee emanato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che, oltre a prevedere una serie di limiti di carattere generale per la definizione precisa delle aree, rimanda alle regioni che hanno 180 giorni di tempo.

transizione energetica

Le previsioni nazionali da qui al 2030 parlano di oltre 80 GW da fonti rinnovabili tra eolico a terra, fotovoltaico e eolico offshore. Se consideriamo che i progetti presentati a Terna e al Ministero per le dovute valutazioni ambientali superano di decine di volte la potenza prevista, vuol dire che i no dovranno essere tantissimi.

Accadrà o gli interessi in gioco spingeranno a superare quei limiti? I 6,2 GW previsti per la Sardegna a fronte di richieste che superano, ad oggi, i 50 GW come verranno gestiti ? I comitati attivi nell’Isola chiedono con forza che si arrivi ad una moratoria immediata sia dei lavori che delle autorizzazioni, solo in questo modo si può lavorare tra istituzioni e comunità locali per definire un Piano energetico regionale non eterodiretto e speculativo.

È molto triste assistere ad un rifiuto di ascolto anche da parte di una grossa parte dell’ambientalismo storico e della politica cosiddetta progressista

Al centro deve tornare una pianificazione pubblica che oltre alla produzione si impegni fortemente per la riduzione dei consumi e l’efficientamento energetico. Quando si parla di energia la produzione deve essere solo una delle voci e i progetti vanno resi sostenibili con la tutela del paesaggio, a trecento sessanta gradi, e della biodiversità. Il professor Pileri, del Politecnico di Milano ci dice da anni, e per fortuna è una voce sempre meno isolata, che gli obiettivi di incremento delle rinnovabili si possono raggiungere senza ulteriore consumo di suolo.

Se di integralismi vogliamo parlare mi permetto di dire che quello messo in campo da chi non vuole sentire ragioni rispetto alla diffusione senza limiti di grandi impianti produttivi, è più pesante di quello di qualche componente dei comitati territoriali. Da una parte sempre più soldi in campo e quindi grandi interessi finanziari, dall’altra battaglie legate al timore di vedere deturpata la propria terra e la paura, più che motivata, di non avere nessuna ricaduta positiva in termini economici e sociali.

tranizione energetica 2

Che fine hanno fatto le “comunità energetiche solidali “ davanti al fiorire quotidiano di progetti industriali in ogni dove ? Non si è mai vista, purtroppo, una battaglia territoriale vincente davanti ad un potere economico smisurato. I comitati ne sono consapevoli ma non mollano e la volontà di unire ai no motivati progetti alternativi a vantaggio delle comunità locali, è sempre più forte. L’assenza di dialogo con i soggetti politici e associativi, che solo alcuni anni fa si pensava potessero fare da cassa di risonanza alle istanze locali per giungere ad una sintesi alta, è un dato di grande amarezza.

A dircelo sono anche gli studi dell’ISPRA, un Ente di Ricerca collegato al Ministero dell’Ambiente. Negare un confronto con i saperi che tantissimi comitati stanno mettendo in campo da anni per ribadire un sì convinto alla decarbonizzazione ma che sia giusta e condivisa con i territori è un atto arrogante e di cecità.  È molto triste assistere ad un rifiuto di ascolto anche da parte di una grossa parte dell’ambientalismo storico e della politica cosiddetta progressista.

Immagino cosa avrebbero pensato Langer o Antonio Cederna di quella che appare sempre meno come conversione ecologica e rischia di essere solo una  speculazione energetica se non nuova colonizzazione, come rappresenta bene il caso sardo. Per tentare fino in fondo di tenere aperto un confronto costruttivo per il mese di maggio 2025 stiamo organizzando una lunga traversata nei crinali dell’Appennino per sensibilizzare diffusamente, chiunque vorrà seguirci, sul valore di  paesaggi straordinari e fragili.

Non dobbiamo mai stancarci di inseguire la speranza del dialogo e dell’ascolto. Solo una conoscenza profonda dei territori può farci comprendere come utilizzarli al meglio senza depredarli. Su Italia che Cambia vi terremo aggiornati, seguiteci.

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