Emergenza siccità: tra razionamenti e dubbi sul diritto all’acqua, la quotidianità “è un incubo”
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Nuoro - “Abitare un territorio dove l’acqua scarseggia è un incubo”. Nella Sardegna da mesi sempre più stretta nella morsa della siccità, la quotidianità diventa complessa. In numeri assoluti in un mese – secondo i dati riportati da Ansa, l’ultimo relativo al 30 giugno – l’Isola ha a disposizione 100 milioni di metri cubi in meno negli invasi, la cui portata è passata da 1145.63 milioni di metri cubi a 1048.06 milioni: le scorte delle dighe sono al 57%. Ѐ un’emorragia d’acqua che passa inoltre per una condotta più volte definita colabrodo: in Sardegna le perdite idriche totali in distribuzione sono pari al 52,8%.
I numeri, diffusi dall’Istat a marzo, indicano una percentuale superiore alla media italiana (42,4%), chiarendo inoltre con un ulteriore dato il significato della perdita di un bene dal valore spesso definito inestimabile, e forse per questo involontariamente sottostimato: nel totale l’acqua dispersa in territorio italiano nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile, soddisferebbe le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno. In una terra dove l’acqua diventa un miraggio, ogni goccia persa è una ferita aperta che mette a rischio non tanto l’economia agricola, quanto la sopravvivenza stessa delle comunità.
In Sardegna, a patire maggiormente la sete sono la zona centro orientale, Ogliastra e Nuorese, e il Sulcis. Complessivamente, il monitoraggio dell’Autorità di bacino regionale indica come quasi tutti i bacini artificiali si trovino a un livello di pericolo tale da imporre una minore erogazione dell’acqua in base alle priorità degli usi, prima quindi le campagne e poi l’acqua potabile. Lo stop all’irrigazione è arrivato nelle campagne di Posada, Torpè (dove il bacino di Maccheronis è al 26,8%), Budoni, San Teodoro e Siniscola. Le implicazioni per chi abita i territori più colpiti dalla siccità, sono critiche. Ne parliamo con Luca Solinas, siniscolese membro dei movimenti Sardegna chiama Sardegna e GISS (Giovani Innovazione e Sviluppo Siniscola).
Le cronache da tempo raccontano una situazione emergenziale, dove i dati che arrivano dagli invasi e le notizie delle comunità piegate dalla siccità, sono la fotografia di un sistema che da tempo va avanti col contagocce. Nella vita di ogni giorno però, che cosa significa abitare un territorio dove non c’è acqua?
La situazione è abbastanza critica, da mesi quasi non piove. Il 17 giugno il Consorzio di bonifica ha iniziato a chiudere le reti pubbliche irrigue lasciando attive soltanto quelle che forniscono l’acqua potabile. Qua la realtà nella siccità è difficile da affrontare: abitare un territorio dove inizia a scarseggiare l’acqua è un incubo. Bisogna adattarsi, per forza, sia alle restrizioni che a una quotidianità attenta a ogni singola goccia d’acqua: devi limitare i lavaggi, limitarne l’uso anche in cucina e in tutte le attività di ogni giorno. Nel frattempo ti ritrovi a vivere con l’ansia di non avere acqua anche per la quotidianità; è una situazione che ti mette sotto pressione, emotivamente estenuante perché ti senti in emergenza costante.
Cambia anche il modo di vivere. Personalmente a casa siamo abituati ad attuare piccoli accorgimenti che ci hanno insegnato da piccoli, utilissimi in queste situazioni: banalmente, chiudere l’acqua quando ci si lava i denti, quando ci si insapona durante una doccia o riutilizzare l’acqua dove si è cotta la pasta. Piccoli gesti che spero inizino a seguire tutti. Tra l’altro, ricordo quando ero bambino che a scuola vennero delle persone di una qualche associazione, non ricordo quale purtroppo, che ci fecero una lezione di educazione civica con tanti esempi su come risparmiare l’acqua e vivere in maniera ecosostenibile. Di sostenibilità ancora non si parlava come adesso, ma oggi di quelle nozioni ho fatto tesoro.
Dando invece uno sguardo alle attività commerciali, agricole, e quelle che in generale lavorano 365 giorni l’anno, qual è la loro situazione in questa emergenza siccità?
Qua le cose si fanno ancora più complicate. Gli agricoltori sono quelli che soffrono di più la siccità, hanno grosse limitazioni per i campi e ovviamente rischiano di perdere i raccolti, il loro mezzo di sostentamento. Sto sentendo anche di tanti piccoli agricoltori che lavorano la terra per autoproduzione o passione, che non stanno più coltivando: non piantano per evitare di far appassire il raccolto e buttare la semina. E non è bello perdere il frutto del proprio lavoro perché non c’è acqua.
Anche le attività commerciali sono in difficoltà. Pensiamo ad esempio a un ristorante, come può risparmiare sull’acqua? Non siamo arrivati – e spero ancora non accada – a chiudere totalmente l’acqua, ma la capacità di operare in maniera efficiente non è il massimo e questo aspetto a lungo termine danneggia l’economia locale. Vedere poi amici e vicini che soffrono, in lotta per mantenere a galla le imprese, è straziante. La siccità determina un ciclo di difficoltà economiche che colpisce tutti.
L’acqua è un bene pubblico – spesso si dice – dal valore inestimabile, eppure ad oggi la sua carenza costringe a fare delle stime, tra a chi serva di più e a chi meno. Già a metà maggio il prefetto Giancarlo Diogini ripreso dall’Unione Sarda poneva a tema il fatto che si fosse giunti al punto di domandarsi se privilegiare l’uso dell’acqua alle strutture ricettive turistiche o nelle campagne. In questi mesi di emergenza siccità la Sardegna viene attraversata da migliaia di turisti, i quali non possono ovviamente fare a meno di consumare acqua; allo stesso modo sono ormai già da qualche mese attivi i vari resort e strutture accessibili nei mesi estivi. Da abitante, da persona nata e cresciuta nel territorio, come fa sentire questa situazione in cui ci si domanda chi abbia diritto all’acqua?
Ѐ frustrante. Cresci in un posto che vedi fiorire e poi una risorsa così fondamentale come l’acqua diventa motivo quasi di contesa. Dover scegliere anche da parte delle amministrazioni chi può, chi sì e chi no, diventa difficile nel mezzo di un’emergenza siccità che colpisce tutti. Capisco che il turismo possa essere vitale per alcuni, ma non riesco a comprendere come gli abitanti come me che vivono qua tutto l’anno debbano avere meno acqua rispetto ai turisti. Ѐ una questione di giustizia sociale.
Noi che siamo cresciuti qua, che conosciamo il valore di ogni goccia d’acqua (perché attenzione, adesso la situazione è esasperata, ma questo ormai accade da anni) ci sentiamo traditi. Come fa sentire? Come se il nostro benessere abbia meno valore, è una sensazione di impotenza. Mi viene da pensare anche a soggetti deboli, a chi ha bisogno di cure come stia vivendo questa situazione. Insomma, non è bello
In conclusione, quale sarebbe dovuta essere l’azione migliore e quale dovrebbe essere adesso l’azione più adatta, soprattutto nel lungo termine?
Avremmo dovuto investire di più nelle infrastrutture per conservare e gestire meglio l’acqua, questo è indubbio. Aspetti come quelli relativi ai sistemi di raccolta dell’acqua piovana e agli impianti di desalinizzazione diventano indispensabili. Ѐ fondamentale che queste misure vengano messe in atto il prima possibile: le amministrazioni devono accelerare in tutti i modi, questa è la priorità assoluta.
Non dobbiamo agire solo per questa crisi: dobbiamo entrare nell’ottica che dobbiamo prevenire crisi future come questa, perché ahimè a quanto dicono gli esperti non si andrà a migliorare, anzi. Ѐ brutta la prospettiva che ci attende. Nel lungo termine dobbiamo quindi anche promuovere l’uso sostenibile dell’acqua, investire in tecnologie per il risparmio idrico e educare la popolazione all’uso responsabile dell’acqua. Dobbiamo fare di tutto perché le comunità non si trovino in una situazione disperata come questa, o ancora peggio.
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