Siccità in Sicilia, la gestione della rete idrica tra irregolarità e lavori mai realizzati
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Continua l’emergenza siccità in Sicilia. Dal New York Times al Guardian, fa il giro del mondo la notizia della mancanza di acqua nell’isola. A fare scalpore è la situazione nella città di Agrigento dove le case vengono rifornite ogni 15 giorni, ma a soffrire maggiormente di questa emergenza è il settore agricolo che necessita di quantità ingenti di risorsa idrica difficili da recuperare con le esigue precipitazioni dell’ultimo anno e le temperature elevatissime.
La cartina tornasole dell’andamento di quest’ultimo periodo è la quantità di pioggia rilevata nella stazione più piovosa di tutta la Sicilia, il paese di Linguaglossa alle pendici dell’Etna: le precipitazione medie annuali che di solito si aggirano intorno a 1500 mm, nel periodo compreso tra luglio 2023 e giugno 2024 si sono fermate a 390 mm. Una contingenza che ha comportato la sofferenza di tutto il sistema idrico, che per il settore irriguo è gestito in gran parte tramite invasi progettati sulla carta con una regolazione pluriennale.
Consultando la cartografia della Direzione Generale per le Dighe e le Infrastrutture idriche sul territorio nazionale, che fa capo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in Sicilia si contano 46 dighe sparse per le varie province e gestite da diversi enti: in testa il Dipartimento dell’acqua e dei rifiuti della Regione Sicilia, seguito dal Consorzio di Bonifica, dall’Enel, Siciliacque ed Eni. Di queste 46, 23 risultano in esercizio normale, 10 in collaudo, 7 ad invaso limitato – anche quelle più strategiche per alcune province – 4 fuori esercizio e 2 in costruzione.
SICCITÀ IN SICILIA, LO STATO DI SALUTE DEGLI INVASI DELL’ISOLA
La mancanza di piogge e la forte calura, che provoca anche un fenomeno rilevante di evapotraspirazione, da mesi fa registrare livelli allarmanti di scarsi volumi cubi di acqua presenti negli invasi. Secondo gli ultimi dati aggiornati al mese di maggio, il lago Pozzillo – tra gli invasi con uso limitato, costruito per assicurare l’irrigazione degli agrumeti della provincia ennese e della piana di Catania, oltre che per alimentare una centrale idroelettrica – avrebbe una capacità di volume di 56.000.000,00 mc di acqua, ma a maggio, appunto, ne contava 5.694.879,00 mc di cui solo 694.879 utilizzabili.
Alcuni degli invasi siciliani, inoltre, sono gestiti da più enti e la frammentazione delle competenze amplifica la difficoltà di esercizio. Ad esempio, la diga di Lentini è del Dipartimento Regionale dell’acqua e dei rifiuti ma è il Consorzio di Bonifica a gestirne le acque per l’irrigazione, quindi qualunque intervento da parte di quest’ultimo deve sempre e comunque essere autorizzato dal Dipartimento Regionale.
Un esempio utile a rendere visibili le contraddizioni e le mancanze che negli anni hanno contribuito all’emergenza in corso. «Tutti questi invasi sono stati realizzati con i soldi della Cassa del Mezzogiorno e hanno avuto scarsi interventi di manutenzione da parte degli enti di gestione, limitandone anche le capacità. Il sedimento dei corsi d’acqua naturali, che vengono sbarrati per la costruzione di questi laghi artificiali, viene trascinato per l’erosione idrica dei terreni e si deposita all’interno dell’invaso andando progressivamente a ridurne la capacità di contenimento e andando a ostruire le opere di scarico» spiega Giuseppe Cirelli, Professore ordinario di Idraulica agraria e sistemazioni idraulico-forestali presso l’Università di Catania.
Il sedimento ha una incidenza diretta sulla capacità di invaso del bacino, ma anche sulla manutenzione, sul costo e sull’efficacia delle opere idrauliche e dei dispositivi meccanici dei serbatoi artificiali. L’accumulo di sedimenti, inoltre, può determinare anche problemi nella stabilità della struttura.
A marzo 2023 su FocuSicilia, Rosario Marchese Ragona, presidente di Confragicoltura Sicilia, dichiarava «parliamo di strutture vecchie di decenni, che avrebbero bisogno di seri interventi di manutenzione e invece spesso non sono nemmeno collaudate. In occasione delle piogge, in mancanza di dati aggiornati sulla capacità dell’invaso, i gestori sono costretti ad aprire i rubinetti per evitare che le dighe possano cedere». Vuol dire che per svuotarle si sversano in mare o a valle enormi quantità d’acqua – immaginate quanto spreco – procurando anche danni alle coltivazioni.
In alcuni casi il trasferimento da un serbatoio all’altro potrebbe tamponare, laddove è possibile, questa criticità, ma alcune costruzioni programmate non sono state mai realizzate. «Era previsto un allacciante tra l’invaso Ancipa, un lago che si trova nella zona di Troina, e quello di Pozzillo che riceve acqua dai Nebrodi e si trova ad una quota più bassa. Non è stato mai completato, avrebbe consentito il trasferimento di acqua da un serbatoio all’altro, compensando così le carenze del serbatoio posto più in basso e quindi con meno possibilità di intercettare le piogge dei flussi naturali perché a quota inferiore», continua Cirelli.
Tra le dighe non costruite c’è anche quella “famosa” di Blufi nel cuore delle Madonie. Un’opera monumentale ancora inesistente, con una capienza di 22 milioni di metri cubi d’acqua, per cui sono stati spesi circa duecentocinquanta milioni di euro. Un progetto degli anni ‘70, iniziato solo nel 1990, dopo un lungo iter di espropri, interrotto nel 2002. Nel 2021 la Regione ha deciso di riprendere i lavori.
Nel frattempo il territorio è stato completamente distrutto e negli anni è cambiato tutto, dal fabbisogno idrico, alle cave di approvvigionamento, dai volumi d’acqua fino alle regole per la sicurezza. Di recente è stato pubblicato un bando per aggiornare il progetto per la diga che potrebbe alimentare le province oggi più in sofferenza Agrigento, Caltanissetta, ed Enna. Chissà quanti anni dovremo ancora aspettare per vederla attiva…
Per gli invasi costruiti, invece, alle funzionalità ridotte dagli scarichi ostruiti e dagli interrimenti, si uniscono anche le precarie condizioni di stabilità dei versanti per i mancati collaudi. Alcune dighe hanno una funzionalità ridotta per ragioni di sicurezza e aspettano di essere ancora collaudate nonostante siano state costruite anche 50 anni fa. Nei mesi scorsi veniva denunciata la dispersione di acqua in mare nell’invaso Trinità, in provincia di Trapani. Completata nel 1959, non è stata mai collaudata e c’è sempre il rischio che una pressione eccessiva dell’acqua possa avere effetti devastanti.
Il ministero delle Infrastrutture ha disposto che il livello dell’acqua deve essere 62 metri sul livello del mare, mentre un tempo era 68 metri. E intanto le aziende agricole intorno rischiano di scomparire completamente. Andando verso Caltanissetta, l’invaso Gibbesi risulta fuori servizio temporaneo. Ultimata nel 1992 non ha mai invasato acqua per l’assenza del collaudo e delle opere di adduzione/canalizzazione. Come si legge in un documento dell’Autorità di Bacino di Sicilia, la diga non trattiene nessuna acqua e funziona come una sorta di cascata. Anche in questo caso, l’acqua viene completamente persa.
SICCITÀ IN SICLIA, ERA POSSIBILE EVITARLA? FORSE SI!
Tutte queste irregolarità non fanno che contribuire ad una maggiore vulnerabilità del territorio oggi resa più evidente dai cambiamenti climatici. La rete idrica in Sicilia, sia per i consorzi irrigui per l’agricoltura che per il settore idropotabile, conta perdite del 50%, uno spreco smisurato che, se fino a ieri passava inosservato, oggi non è più tollerabile. Questo è il risultato anche di lacune e carenze infrastrutturali e tecniche di anni.
Nel 2021 la Regione, guidata allora dal presidente Nello Musumeci, presentò 32 progetti, tutti bocciati, restando così esclusa dai fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per il miglioramento delle risorse idriche nell’isola. Solo quest’anno sono stati approvati e finanziati 27 opere per 829 milioni di euro, di cui 294 milioni soltanto per dighe e invasi. I tempi di realizzazione non si conoscono ancora, ma tanto che fretta c’è?
«Più che gestire l’emergenza, dovremmo gestire il rischio siccità, il rischio alluvioni, ma tutti gli enti preposti hanno grosse carenze tecniche all’interno degli uffici, manca il personale. Diventa così difficile gestire progetti e nel frattempo non si assumono giovani laureati che avrebbero le competenze e le capacità necessarie per implementare nuovi progetti e mettere in campo idee innovative. Si sta continuando a progettare come si faceva 20-30 anni fa mentre il mondo è cambiato nel frattempo» conclude il professore Cirelli.
SICCITÀ IN SICILIA, IL MERCATO NERO DELL’ACQUA IN AGGUATO
Intanto il ministro Salvini assicura che la siccità in Sicilia «rappresenta un’emergenza nazionale per la quale stiamo mettendo in campo ogni azione utile a superare criticità emerse ed evidenti da anni». Serve fare presto, perché tra le soluzioni tampone più di qualcuna può contribuire ad incentivare il mercato nero dell’acqua. Alcune località si stanno rifornendo tramite autobotti che, secondo Claudio Guarneri, presidente di Aica, l’azienda idrica dei comuni agrigentini, arrivano anche a un guadagno di almeno 30 mila euro in trenta giorni senza conoscere la provenienza dell’acqua rifornita.
In alcune zone dell’isola il rifornimento idrico avviene da anni con questa modalità. L’acqua è diventata un vero e proprio business e come ha svelato un’inchiesta della procura di Palermo dello scorso gennaio in alcuni casi può anche avere odore di mafia. A Carini, i vertici del clan mafioso avrebbero gestito una condotta idrica abusiva mediante la quale, dietro pagamento, fornivano acqua per uso civile a una consistente fetta della popolazione che non aveva altre possibilità di approvvigionamento. E questo succedeva già ben prima dell’emergenza siccità.
Servono rimedi e visioni a passo con i tempi per essere in grado fronteggiare i cambiamenti in atto e sistemare le mancanze di tanti, troppi, anni. Serve guardare anche cosa accade intorno a noi e puntare alla prevenzione. La Spagna, ad esempio, dopo un lungo periodo di siccità, con grossi danni anche in quel caso al settore agricolo, è stata colpita da violenti nubifragi. Se succederà anche in Sicilia, l’emergenza siccità si trasformerà in emergenza alluvioni, si sostituirà la causa ma non cambierà la modalità di intervento. Pensiamo davvero che questa sia l’unica soluzione adottabile? La risposta è no e nei prossimi articoli cercheremo di raccontarvelo.
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