PFAS e i cantieri TAV: tutte le acque contaminate, dal Veneto alla Val di Susa
Seguici su:
Nicoletta Dosio è una donna di 77 anni che vive in Val di Susa dagli ’70, dove esercita la professione di insegnante. Michela Piccoli è un’attivista e una madre veneta, per la precisione di Lonigo, in provincia di Vicenza. Quasi 400 chilometri separano le vite di queste due donne, ma un filo rosso le unisce. Anzi, due fili.
Il primo è un filo narrativo: entrambe sono fra la protagoniste di Mamme ribelli, l’ultimo libro di Linda Maggiori che racconta diverse storie di mamme, donne, attiviste che si battono in tutta Italia – dalla Terra dei Fuochi a Bologna, minacciata dal cemento del Passante, dal polo di Marghera a Taranto, definita dall’ONU “zona di sacrificio” – per il presente e il futuro della loro terra, di chi la abita, dei loro figli e delle loro figlie.
Il secondo è un filo “chimico” riassumibile in un acronimo ormai tristemente famoso: PFAS, ovvero sostanze perfluoroalchiliche, composti chimici detti “di sintesi”. Ne abbiamo già parlato ampiamente e continueremo a farlo poiché la diffusione dei PFAS sta diventando sempre più massiccia e preoccupante e sta valicando i confini del Veneto, regione dove storicamente, sin dagli anni ’70, hanno iniziato a contaminare le acque potabili.
I PFAS sono arrivati in Lombardia, sono arrivati in Toscana – come ha recentemente rilevato un’indagine di Greenpeace Italia –, sono addirittura stati rintracciati insieme ad altri pericolosi metalli pesanti nel Sulcis, in Sardegna. E sono giunti anche in Piemonte. Ne abbiamo parlato qualche mese fa in riferimento al caso di Spinetta Marengo, emerso sempre grazie a Greenpeace, dove 125000 potrebbero aver bevuto acqua considerata potabile contaminata da PFAS.
Le mille battaglie da Nord a Sud contro l’inquinamento e per la salute di tutti |
Da quella stessa inchiesta, è stato rilevato che l’allarme PFAS si sta estendendo anche verso l’arco alpino, per la precisione in Val di Susa, dove abita Nicoletta. Ed è la stessa Linda Maggiori, in un recente articolo pubblicato da Valori, a sottolineare come in 19 Comuni valsusini “i valori del parametro Somma di PFAS oscillano tra i 10 e i 96 nanogrammi per litro, molto vicino alla soglia limite di 100 nanogrammi per litro stabilita dal decreto legislativo n.18 del 23 febbraio 2023 che ha recepito la direttiva europea 2020/2184. Limite che in realtà non garantisce alcuna sicurezza, in quanto queste molecole, create dall’uomo e definite inquinanti eterni, si accumulano nell’ambiente e negli esseri viventi e non si biodegradano”.
La contaminazione dell’acqua potabile sembra correre sui binari della ferrovia, la ferrovia ad alta velocità per la precisione. Spostiamoci dalle parti di Michela, nel vicentino. Qui un nuovo grido d’allarme è stato lanciato sia dai comitati locali che dall’ISDE – Associazione Medici per l’Ambiente, secondo cui il cantiere della linea TAV di recente avvio che interessa la tratta Verona-Vicenza è gravato da dubbi e timori per la salute dell’ambiente e delle persone che lo abitano.
«Sappiamo che hanno previsto un consumo di circa 9 milioni di metri cubi di acqua, che dovranno prendere nei fiumi e nelle falde che noi siamo certi siano contaminati da PFAS», afferma ISDE. «Quindi una delle grandi domande è come quest’acqua verrà controllata e utilizzata perché un problema di queste sostanze è la nebulizzazione. La nebulizzazione dell’acqua comporta la possibilità che i PFAS viaggino attraverso l’aria e arrivino anche al di fuori dell’area di cantiere».
Interpellato da Linda Maggiori, Silvio Tonda, del comitato Acqua SiCura che è stato creato nei Comuni della valle, ha sottolineato che «mentre in altre aree montane si registrano livelli bassi o nulli di PFAS nelle acque potabili – val Pellice, val Chisone, val di Viù –, nella Val di Susa la contaminazione si rivela molto diffusa e preoccupante. Hanno trovato PFAS anche a 1.600 metri di altezza. A Gravere c’è una fonte a 1200 metri, dove i torinesi attingono quella che considerano acqua purissima».
Dopo anni di devastazione ambientale, di cementificazione e di repressione delle comunità locali, la Val di Susa si trova dunque accomunata a un altro triste destino, quello delle genti venete che da decenni combattono per il diritto a un’acqua pubblica potabile, sana e incontaminata. La lotta per far valere questi diritti è costata a Nicoletta un anno e mezzo di carcere, prima per aver manifestato pacificamente contro i cantieri TAV e poi per aver violato la misura cautelare degli arresti domiciliari. La donna lo ha fatto per continuare la sua lotta ed essere presente a manifestazioni, incontri e dibattiti per difendere la sua terra e la sua comunità.
Lo stesso fanno, a 400 chilometri di distanza, Michela e il comitato Mamme No PFAS, che continua a battersi prima di tutto per sua figlia – le analisi hanno riscontrato valori di PFAS 11 volti superiori ai limiti fissati dalla legge, valori già messi in discussione, tanto che alcuni paesi come gli Stati Uniti hanno stabilito che la concentrazione massima tollerabile è zero – e poi per tutte le persone servite dalla falda acquifera contaminata, la seconda più grande d’Europa, che da anni e anni non hanno più diritto all’acqua potabile.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento