Kalabria Eco Fest ed Economia del Bene Comune: fare impresa etica in Calabria è possibile?
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Vibo Valentia - Fare della Calabria un bene comune è uno degli obiettivi della quarta edizione del Kalabria Eco Fest, l’EcoFestival verso un mondo più equo, rigenerativo e consapevole che si tiene dal 26 al 28 luglio nel bosco della Gigliara di Polia, a Vibo Valentia. Simposi, laboratori, esperienze di benessere, musica, un mercatino di prodotti locali e artigianali, spettacoli per grandi e piccini e una cucina dai sapori genuini. Un’esperienza unica in Calabria, auto-organizzata e autofinanziata – se volete sostenerla, cliccate qui – che attrae centinaia di persone dalla Calabria e non solo.
Ospite speciale di questa edizione è Lidia Di Vece, commercialista, consulente fiscale, legale e finanziaria, che dal 2019 presiede la Federazione per l’Economia del Bene Comune in Italia. Insieme a lei, all’imprenditore di ritorno Francesco Biacca e al professore dell’Unical Damiano Silipo, il 27 luglio ci chiederemo come innestare in Calabria la matrice dell’Economia del Bene Comune. Da anni conosciamo Lidia – l’ultima volta l’abbiamo incontrata qui – ed EBC, con cui ci sono state numerose e fruttuose collaborazioni. Quella che leggerete è solo una piccola parte della nostra conversazione, per tutto il resto vi aspettiamo al Kef.
Spesso su Italia che Cambia raccontiamo le tante buone pratiche presenti in regione e da questi racconti emergono la fatica e le solitudini di quelle esperienze, in particolare in Calabria. Cosa ci perdiamo a non praticare l’economia del bene comune?
Mi piace questa espressione: “Cosa ci perdiamo”. Innanzitutto bisogna capire che la rendicontazione non finanziaria – come per esempio il bilancio sociale – è un’azione molto importante sul territorio ed è riconoscibile. Occorre spingere gli imprenditori calabresi a riconoscersi tra di loro oltre che a fare impresa in un certo modo. Questo ha dei vantaggi di senso, di strategia, di rete e soprattutto di posizionamento: significa che la Calabria non è l’ultima ruota del carro dell’Italia, ma ha una sua posizione riconoscibile sul territorio.
Perché dovremmo praticare l’economia del bene comune anche in Italia e in Calabria?
Perché non è qualcosa di aleatorio ma significa andare tutti nella stessa direzione, condividendo valori e strategie. La Germania, l’Austria, la Spagna e il Brasile si rivolgono soltanto alle imprese e solo adesso – su nostra sollecitazione – stanno cominciando a rivolgersi ad altre categorie. Mentre l’Italia è molto focalizzata anche sulle famiglie e sugli enti pubblici: è una cosa importane per creare in maniera circolare un’attività di bene comune che coinvolga le imprese, i cittadini e gli enti pubblici.
Le imprese dovrebbero mettersi insieme per fare l’analisi in auto-valutazione, fare insomma una fotografia dello status quo. Se siamo convinti di rispettare la dignità umana e l’ambiente, se siamo trasparenti e produciamo benessere per la collettività, allora sì che possiamo iniziare a farci domande su questo altro modo di fare rendicontazione. I clienti smetteranno di essere clienti e diventeranno costruttori di una comunità. Non basteranno più i soli numeri, bisognerà che i numeri abbiano un senso, aver un’idea di come è stato costruito il dato numerico. Accompagnando i numeri, la narrazione dà loro un senso.
In altre parole, bisogna passare dall’individualismo – che oggi il professor Zamagni definisce “singolarismo” – al concetto di partecipazione in una collettività dove l’egoismo deve essere superato. L’Italia sta patendo il fatto che le aziende si chiudono in loro stesse, schiacciate sotto il peso delle imposte e non riescono non solo a essere felici ma nemmeno a sbarcare il lunario, perché il concetto di profitto – e quindi dell’utilizzo del denaro – è stato posto come primo valore di confronto tra le imprese, dobbiamo riuscire a scalfire questo principio.
Come e da dove cominciare?
Bisogna auto-analizzarsi e vedere come fare impresa alla luce di valori. Dobbiamo passare dall’idea che il profitto dev’essere il fine all’idea che dev’essere il mezzo per raggiungere il bene comune. Quindi, con degli scopi utili non solo per l’impresa ma per la collettività nella quale si vive. Io faccio parte della rete dei RIES, il movimento italiano di economia solidale, e so che anche in Calabria ci sono dei gruppi di acquisto solidale.
Per esempio, seguo da anni SOS Rosarno, una realtà che ha fatto trasformazione. Ma la mappatura dei Gas, la loro sola esistenza, non è sufficiente a poter dire che siano trasformativi, al massimo lo è per la mia famiglia. I Gas possono muovere il mercato, ma solo se agiscono con cognizione di causa, non basta comprare un prodotto del commercio equo, è necessario anche che la riflessione dei consumatori sia fatta in maniera circolare.
Infine gli enti pubblici. L’ente pubblico non deve essere il soggetto che immette gabelle o controlla le attività amministrative ma dev’essere a sua volta trasformativo: deve pensare che non ha dei sudditi sul territorio ma dei collaboratori con i quali fare un percorso comune. E che quindi, nel momento in cui le imprese utilizzano criteri valoriali per fare impresa, li deve premiare.
Ci racconta alcune esperienze a titolo di esempio?
In Trentino tutte le tasse di natura comunale, come l’Imu e la Tari, sono applicate in maniera agevolata alle aziende che fanno bilanci di sostenibilità e quindi rendicontano il bene comune. La responsabilità sociale di impresa è molto importante in questa azione con l’ente pubblico. A Bolzano invece la giunta provinciale ha fissato un criterio preferenziale all’interno degli appalti e cioè assegna un punteggio più alto alle imprese che hanno fatto il bilancio del bene comune. La geografia di questi due esempi, il Trentino e Bolzano, si spiega con il fatto che il nostro movimento è nato lì vicino, in Austria. Lì nel 2013 alcuni imprenditori hanno dimostrato che esiste un altro modo di fare impresa.
Torniamo al Kalabria Eco Fest e alla Calabria. Lo spopolamento inarrestabile che si aggiunge alla conformazione storica del nostro territorio rende le comunità calabresi sempre più piccole o ultra-piccole. La più grande città della Regione è Reggio con 180.000 abitanti. Il fatto che noi siamo pochissimi è un ostacolo o un volano per farne il giusto luogo di un esperimento?
Secondo me aiuta eccome, la Calabria potrebbe davvero essere sperimentale. In Puglia stiamo tentando la stessa cosa: aprire tramite il gruppo territoriale una riflessione su come fare impresa in quei territori. Non si tratta di una lezione, ma di una cosa pratica, un’attività che può davvero essere trasformativa. Il problema piuttosto è che spesso si tende a partitizzare queste esperienze. Bisogna liberarsi dal lacciuolo della politica partitica e dire: noi facendo il bilancio del bene comune stiamo facendo politica, politicizzare va bene, è giusta la politica.
Il problema – come sempre – non è la politica ma la gerarchia.
È proprio questo, esattamente…
… e anche il recupero del diritto a esercitare la libera impresa, a prescindere dal servizio o dal prodotto che si offre. Forse è bene ribadirlo, in Calabria c’è chi fa impresa e non sono tutti in odore di ’ndrangheta. Come li convinciamo a fare della regione un bene comune?
L’importante è che sia chiaro che non vogliamo fondare un partito ma dimostrare che cambiare il modo di fare economia è possibile. Che è possibile superare il concetto di profitto come unico mezzo per fare impresa, se ci si spoglia della spada di Damocle, della pesantezza di quanto il fare il denaro sia la cosa più importante, si riesce a capire che se lo usiamo come strumento davvero facciamo il bene comune. Olivetti diceva: le imprese producono ricchezza ma devono distribuire benessere. Sono proprio loro, le imprese, il motore delle nostre vite. Tutti noi lavoriamo, se non capiamo che produciamo ricchezza e dobbiamo distribuire benessere, bellezza e possibilità, rimarremo sempre e solo egoisti.
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