Isole minori, siccità e costo dell’acqua. Quanto è difficile vivere in una piccola isola
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Lipari, Vulcano, Salina, Favignana, Levanzo, Pantelleria, Ustica, Lampedusa sono alcune delle isole minori che circondano la Sicilia. Terre selvagge a tratti incontaminate dove la natura si fa sentire con tutta la sua forza e il suo impeto. Vissute per buona parte di noi solo per pochi giorni di vacanza, difficilmente si pensa a quanto possa essere non sempre semplice e immediata la convivenza con questi luoghi.
La mancanza d’acqua in queste isole è spesso un problema cronico non solo a causa del clima, ma anche per l’assenza di risorse naturali che non permettono un approvvigionamento idrico. Sì potrebbe dire che per loro è in atto una continua emergenza idrica: secondo un’antica legge del 1950 infatti, in situazioni come queste è lo Stato a garantire l’approvvigionamento attraverso le cosiddette navi cisterna.
L’acqua quindi quasi quotidianamente viene portata via nave dalla Sicilia e scaricata in grandi cisterne per poi essere pompata nelle case. Un’operazione da sempre gestita attraverso un bando del Ministero della Difesa dal costo non indifferente, che per anni nessuno si è mai chiesto quale fosse. Con la riforma del Servizio Idrico la pianificazione è passata alle regioni attraverso l’individuazione di Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), con limiti comprensoriali corrispondenti a quelli delle ex Province Regionali, onerata di un piano di ambito con un PEF, piano economico finanziario, con cui equilibrare i costi della gestione del servizio idrico sia per la manutenzione che per l’acquisto delle acque.
Nel tempo alcune isole hanno realizzato impianti di dissalazione, servendosi delle navi cisterna solo per un acquisto parziale dell’acqua ma, in tutte le altre si è provveduto come sempre. In Italia sono solo due le aziende autorizzate a trasportare acqua potabile su navi cisterna, la Marnavi e la Vetor, che insieme hanno creato la joint venture Vemar, un’unica società con 15 navi che trasporta acqua alle isole siciliane, alle isole Tremiti in Puglia e alle isole pontine nel Lazio.
ISOLE MINORI, UN MONOPOLIO PER IL TRASPORTO DELL’ACQUA CON LE NAVI CISTERNA
Una condizione che ha creato un vero e proprio monopolio con un susseguirsi di bandi riproposti in modo identico periodicamente e con costi e servizi mai aggiornati. Un appalto del valore di circa 20 milioni di euro all’anno per il trasporto di 1,7 milioni di metri cubi di acqua potabile. Se altrove un metro cubo di acqua costa poco più di 50 centesimi, su queste isole è di 11,67 euro, a cui bisogna aggiungere l’IVA al 10%.
Solo nel 2021 l’ANAC, l’Autorità nazionale anticorruzione, ha avviato un procedimento di vigilanza nei confronti del Ministero della Difesa sui rifornimenti d’acqua potabile tramite navi cisterna alle isole minori della Sicilia. “Dall’indagine sono emerse diverse criticità: dall’omesso controllo dell’acqua potabile effettivamente versata nelle vasche di raccolta sulle singole isole alla non corretta attestazione dei quantitativi di acque versate indicati in misura superiore a quella effettivamente consegnata. Inoltre sono emersi costanti sversamenti in mare di una parte dell’acqua potabile trasportata oltre a una mancanza di strumentazione di controllo e alterazione dei dati volumetrici di riferimento”, viene spiegato sul sito dell’Autorità.
Sempre sul sito dell’ANAC si legge che “la competenza di affidamento del servizio fa capo al Ministero della Difesa, che si è avvalso di procedure negoziate in favore di un numero ristretto di armatori, senza mai indire gare aperte al mercato. Si sono rilevati deficit rilevanti di programmazione del fabbisogno idrico da soddisfare, mantenendo immutati quelli di vent’anni fa. Nel 2002 infatti la Regione Sicilia indicava un fabbisogno di 1.750.000 metri cubi l’anno, di fatto lo stesso del 2021 (1.717.990 metri cubi), nonostante l’implementazione degli impianti di acqua potabile realizzati, le condotte sottomarine e gli impianti di dissalazione costruiti”.
Si evidenzia dunque una non chiara competenza nei controlli da parte del Ministero della Difesa e della Regione Sicilia, oltre alla situazione degli impianti idrici delle isole minori siciliane: perdite nella rete idrica di distribuzione, un sottoutilizzo degli impianti dissalatori o delle condutture sottomarine e la mancanza di fondi per realizzare alcuni impianti in loco. “Tutti fattori che portano a consolidare la dipendenza delle isole minori siciliane al rifornimento idrico tramite navi cisterna, con costi assai più elevati di quelli connessi all’impiego delle altre infrastrutture”, sottolinea l’ANAC.
ISOLE MINORI E DISSALATORI, LE CRITICITÀ E IL PNRR
I dissalatori oggi attivi sono a Ustica, Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Vulcano e Lipari, non senza criticità. A Lipari, ad esempio, l’impianto è stato realizzato oltre dieci anni fa e non è stato completato a seguito di controversie tra la società appaltante della Regione Sicilia e l’impresa esecutrice. Si tratta di un impianto completo per il 50% che dovrebbe produrre 9mila metri cubi di acqua al giorno e si ferma invece alla metà. Il costo dell’acqua prodotta dal dissalatore è per il 40% a carico del Comune di Lipari e per il rimanente 60% alla Regione siciliana. L’acqua rifornita dalle navi cisterna è a carico del Ministero della Difesa, mentre la gestione del servizio fa capo alla Regione.
«Non siamo autonomi, neanche in inverno. Se l’impianto si blocca i serbatoi non riescono a soddisfare un fabbisogno prolungato dell’isola e abbiamo bisogno di rifornirci con le navi cisterna, ma non sempre a causa degli eventi meteo-marini. Da anni come Comune pensiamo alla realizzazione di piccoli impianti di dissalazione a osmosi inversa che hanno un costo di circa 2/2,5 milioni l’uno. Sono piccoli e modulari e possono essere ingranditi a seconda dei bisogni. Il costo a metro cubo dell’acqua prodotta dalla dissalazione, con l’attuale funzionamento dell’impianto di Lipari, incide per un terzo rispetto al costo dell’acqua trasportata con le navi cisterna», commenta Mirko Ficarra, architetto e tecnico del Comune di Lipari.
Concluse le indagini sulle forniture con navi cisterna “gonfiate” che hanno coinvolti politici locali, sindaci e le società di trasporto, quella dei dissalatori sembrerebbe essere dunque la strada privilegiata per molte di queste isole anche a seguito dei fondi Pnrr, che con il progetto Isole Verdi, varato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, trasformeranno 19 piccole isole e coinvolgeranno 13 Comuni, di cui ben 8 in Sicilia. Nel caso di Lipari, «il progetto è pronto, ma non c’è stata ancora nessuna gara d’appalto, non è stato individuato lo studio di progettazione del progetto esecutivo. Solo dopo si potranno bandire i lavori. Entro il 2026 le opere dovrebbero essere pronte, sarà una corsa per le autorizzazioni», continua Ficarra.
DISSALAZIONE NELLE ISOLE MINORI CON IMPIANTI MOBILI: IL PUNTO DI VISTA DELLE FONDAZIONI UNIVERDE E MAREVIVO
Se è vero che gli impianti di dissalazione sono il futuro per le isole minori siciliane, dove il servizio idrico ha costi esosi e i cittadini si trovano a pagare anche il triplo rispetto ad altre località vicine sulla terraferma, lo scorso marzo le Fondazioni UniVerde e Marevivo hanno lanciato un appello al Governo per una maggiore attenzione alle sfide relative all’approvvigionamento idrico delle isole facendo riferimento a modelli sostenibili sul piano ambientale, sociale ed economico.
Nello studio presentato dalle due Fondazioni dal titolo Costi ambientali ed economici della dissalazione, si evidenzia che il costo medio di produzione di acqua dissalata da impianti fissi è di circa 12 euro/mc, che gli impianti di Lipari e Lampedusa consumano energia per 2,8 milioni di euro all’anno, con costi totali di gestione annui che superano i 12 milioni di euro, per produrre 1,5 milioni di mc/anno d’acqua, e che lo scarico concentrato di salamoia in un punto fisso sta provocando la distruzione degli ecosistemi marini nelle aree di sversamento.
Produrre acqua dai dissalatori è un processo costoso ed energivoro e questo è il motivo per cui sono stati chiusi diversi impianti in Sicilia, come quello di Porto Empedocle che si valuta di riaprire a causa dell’emergenza. È anche vero che i fabbisogni dei centri urbani sono molto più elevati rispetto a quelli delle isole minori e gli impianti chiusi sono di vecchia concezione, oggi superati da tecnologie più efficienti.
Secondo Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della Fondazione UniVerde, «bisogna tener conto di soluzioni meno impattanti e, in molti casi, meno costose per la fornitura di acqua potabile e per il risparmio idrico. È anche una questione di buon senso, poiché disseminare le isole minori o interi arcipelaghi di dissalatori fissi, energivori e particolarmente dannosi per la salute dei cittadini e per gli ecosistemi costieri non è una buona politica. L’ipotesi di adottare dissalatori mobili marini, realizzati con tecnologia italiana, rappresenta una valida risposta sia al consumo di suolo che alla necessità di tutelare flora e fauna marine e oggi rappresenta la soluzione più sicura per la fornitura di acqua potabile di qualità alle isole minori».
In sintesi, secondo quanto riportato dallo studio, rispetto agli impianti a terra il dissalatore mobile marino consentirebbe di abbattere costi e tempi di costruzione, oneri di manutenzione, evitare consumo di suolo da parte di strutture altamente energivore e ridurre le emissioni e gli impatti ambientali lungo le coste di isole spesso all’interno di Aree marine protette. Essendo modulabile eliminerebbe il problema derivante dai picchi estivi, preleverebbe acqua a largo e in profondità, dove le condizioni la rendono di migliore qualità, e disperderebbe gradualmente la salamoia durante la navigazione, evitando la concentrazione in singoli punti che provoca la totale distruzione dell’ecosistema marino.
L’acqua prodotta sarebbe sicura, di qualità e remineralizzata secondo le normative vigenti. La Marnavi ha reso disponibile il primo dissalatore mobile marino, sviluppato in sinergia con la Protecno s.r.l. e con la collaborazione di varie Università italiane e approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal CNR nell’ambito del programma europeo “Horizon 2020”, perché giudicato innovativo ed ecocompatibile.
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