15 Lug 2024

GUFI: “Le foreste non hanno bisogno di essere gestite dall’essere umano”

Scritto da: Salvina Elisa Cutuli

Con l’approvazione del TUFF, il Testo Unico per le Foreste Italiane voluto da Matteo Renzi, si è contribuito a diffondere un approccio distruttivo delle foreste e non invece una cultura volta alla loro tutela e conservazione. Al primo posto sembrano esserci interessi e profitti anche di chi ha investito in centrali a biomasse. Ne parliamo con Alessandro Bottacci membro di GUFI, il Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, nato all’indomani dell’approvazione del Testo.

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Le foreste sono una risorsa fondamentale da tutelare per la moltitudine di funzioni di cui sono dotate e per i tanti benefici che apportano all’essere umano. Nulla da dire sui tanti buoni propositi di tutela e valorizzazione da parte di centinaia di migliaia di associazioni in tutto il mondo, ma nei fatti spesso si procede verso tutt’altre direzioni. Anche in Italia. Ce lo spiega Alessandro Bottacci, membro di GUFI, il Gruppo Unitario per le Foreste Italiane nato nel 2018 in seguito alla battaglia contro il TUFF, il Testo Unico per le Foreste e le Filiere Forestali [ne abbiamo raccontato la nascita qui, ndr].

«Della legge voluta da Renzi ed emanata dal Governo Gentiloni, deleteria non solo per il suo contenuto ma anche per il pensiero che alimenta e che equipara la gestione sostenibile delle foreste con la gestione attiva, abbiamo colto subito i rischi e i danni oggi visibili». I primi “GUFI” si sono incontrati proprio in seguito alla battaglia contro l’approvazione del Testo Unico per le Foreste e le Filiere Forestali a Rieti, spronati da Bartolomeo Schirone, Professore presso l’Università della Tuscia, e Giovanni Damiani, oggi presidente del gruppo. Tutti funzionari pubblici rispettosi dell’ambiente e della natura con la missione di assicurare la conservazione del patrimonio forestale nazionale da lasciare in eredità alle giovani generazioni. 

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Alessandro Bottacci

Un’eredità ben diversa da quella lasciata da Renzi che, oltre al TUFF, ha chiuso il Corpo Forestale dello Stato, ha rivisto la legge 394 sulle aree protette lasciando la gestione a figure politiche per toglierla ai tecnici e agli scienziati, ma soprattutto ha permesso che si diffondesse un imprinting di utilizzazione errato delle foreste. Oggi servono di fatto per essere tagliate e per creare cippato. Con la complicità di alcuni tecnici compiacenti sono stati così introdotti provvedimenti che, giocando sull’ignoranza e la disinformazione, hanno come unico obiettivo il taglio indiscriminato di alberi e foreste per il profitto di pochi.

«Parecchi industriali hanno investito le loro risorse in centrali a biomasse, promosse dall’Europa tra le energie rinnovabili anche se inquinanti e poco efficaci, che hanno bisogno di legna per essere alimentate. Le aree protette ne possiedono una quantità maggiore rispetto ai boschi privati che invece vengono tagliati periodicamente. Le Regioni, che ormai regolano la materia forestale, hanno progressivamente modificato le norme rendendole sempre più permissive, aumentando la quantità di ettari da tagliare. Inoltre, se prima bisognava attendere il via libera da parte dei tecnici regionali per l’autorizzazione ai tagli, oggi non serve quasi più. Basta il cosiddetto silenzio assenso», commenta Bottacci.

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Dal suo punto di vista il sistema di distruzione delle foreste è alimentato anche dagli incentivi europei e regionali come il Piano di Sviluppo Rurale, per favorire le attività del mondo rurale, compresa la selvicoltura e il taglio del bosco. «Il rischio è che tutti questi incentivi siano indirizzati a tagliare i boschi adulti mentre dovremmo investirli per trasformare i boschi cedui in fustaia. Detto in parole più semplici, trasformare un bosco semplice tagliato ripetutamente in un bosco evoluto. L’Europa ci chiede di conservare almeno il 30% della superficie boschiva, potremmo arrivare anche al 50% sospendendo il taglio delle proprietà statali, regionali, della Chiesa e gestendole in modo sostenibile e responsabile», continua Bottacci.

Il ceduo è una forma di taglio usata soprattutto per specie come faggi, querce e carpini che hanno la capacità di riemettere nuovi fusti dalla base del tronco tagliato. In passato, soprattutto in contesti di povertà e quando serviva la legna per scaldarsi, ogni vent’anni circa questi boschi venivano tagliati: era la forma più diffusa ma anche quella più impoverente perché non permette al bosco di evolvere, crescere e diventare resistente e forte.

Questa pratica contribuisce anche a scoperchiare il suolo, renderlo eroso e poco fertile. La gran parte dei nostri boschi, originati a suo tempo da tagli cedui, ora ha tra i 60 e gli 80 anni; si tratta quindi di fustaie, la forma di foresta più evoluta con alberi grandi, una struttura più resistente e con maggiore capacità di tutela dell’acqua e della biodiversità degli ecosistemi al proprio interno.

L’eliminazione di un albero crea disturbo per tutti gli altri alberi e per tutti gli altri organismi

I boschi, di fatto, “crescendo” migliorano. Sono una comunità di organismi viventi, composta da presenze – come quelle di licheni, funghi e batteri – che anche se invisibili contribuiscono all’intero funzionamento. L’eliminazione di un albero crea dunque disturbo per tutti gli altri alberi – collegati tra loro da una rete di funghi – e per tutti gli altri organismi. Più è grande un albero e più sono i legami. Non a caso vengono detti “alberi madre”: hanno la funzione di dirigere, indirizzare la struttura del bosco. Lo spiega bene Suzanne Simard, ricercatrice canadese, che ha studiato le reti di micorrize, ovvero la rete dei funghi, che permette questo funzionamento.

È così che si organizza la struttura di una foresta, che è molto complessa, proprio come la nostra. I due studiosi Gorshkov e Makarieva sostengono che le foreste fungano da “pompa biotica”, creando e controllando i venti dall’oceano alla terraferma e portando umidità a tutta la vita terrestre. Questo creerebbe migliori condizioni per noi – se solo non le ostacolassimo – per non morire letteralmente di sete, grazie a una presenza maggiore di acqua dolce, che oggi ha percentuali molto basse. Una maggiore umidità del terreno e dell’aria dovuta alla presenza di boschi alti, chiusi e ombreggiati, dove la temperatura è minore, ridurrebbe anche il rischio di incendi. 

Secondo Bottacci, in un alcune zone con boschi “adulti” – spesso aree protette dove non si può tagliare – gli alberi vengono bruciati perché ciò che resta dopo è utilizzabile per il cippato da biomassa. «Le foreste non hanno bisogno di essere gestite dall’essere umano, è l’essere umano che ha bisogno di prelevare del materiale per le sue attività. Dobbiamo però distinguere l’utilizzo che ne fa la singola persona locale dal prelievo industriale, che interviene su estensioni molto grandi e senza prestare alcuna attenzione».

«Spesso si tratta di ditte estranee al territorio con operatori che non sempre lavorano in sicurezza e con un contratto regolare. In generale, quando si parla di foreste e tagli bisogna guardare anche al motivo per cui vengono compiuti. In Amazzonia o nel sud-est asiatico, ad esempio, avviene prevalentemente per creare nuove aree agricole. Le foreste dell’est Europa forniscono materiale di alto valore, mentre le nostre vengono usate per ricavare legna da ardere, cippato e pellet», conclude Bottacci. 

Per il GUFI quindi l’idea del futuro forestale dell’Italia è quella di un Paese in cui i boschi possano tornare a occupare gran parte dello spazio che è stato sottratto loro dall’essere umano, ripopolando le aree attualmente marginali e improduttive e andando a costituire ampie cinture verdi intorno alle città, mantenendo un approvvigionamento di legna per le istanze locali o per altre necessità vitali gestite correttamente.

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