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Ogliastra - La Sardegna è stata ed è tuttora culla di tanti artisti contemporanei. Tuttavia, nonostante l’Isola si presenti attiva dal punto di vista artistico sia come produzione sia come manifestazioni culturali, l’isolamento geografico può comportare in qualche modo anche un isolamento culturale. Certo, non per tutti; ma per chi non ha un reddito che gli consenta di viaggiare spesso verso il continente – meta in cui è possibile avere accesso a un universo artistico ben più ampio – risulta impossibile. Avere l’opportunità di raggiungere le mostre internazionali per chi vive in un’Isola i cui collegamenti sono risicati, è un privilegio che non tutti possono avere.
In questo contesto si inserisce la figura di Francesco Spatara, artista calabrese che da oltre trent’anni ha scelto la Sardegna come terra d’adozione. Spatara offre un punto di vista unico sull’essere un artista in Sardegna oggi, affrontando le sfide e le opportunità che questa condizione comporta.
LA STORIA DI FRANCESCO SPATARA
Prima di mettere radici nell’Isola, Francesco Spatara nasce in Calabria, migra poi con la famiglia in Lombardia dove completa gli studi artistici all’Accademia delle belle arti di Brera e infine, per ragioni personali, giunge in Sardegna. In Ogliastra, inizia la sua carriera come professore al Liceo Artistico di Lanusei. Nonostante una prestigiosa offerta di insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Sassari, Francesco Spatara sceglie di rinunciare per dedicarsi alla famiglia. A Tortolì, nel suo laboratorio, prosegue la carriera artistica lavorando in silenzio e rimanendo per lungo tempo nell’anonimato.
«Nel 2016 partecipai a un concorso importante alla Triennale di Arti visive di Roma – racconta Francesco Spatara – ho partecipato con la paura di non entrare e invece mi sbagliavo, da quel momento è stato un crescendo: sono stato inserito nell’Atlante dell’arte contemporanea» e il direttore artistico del Metropolitan Museum di New York, il secondo museo più visitato al mondo dopo il Louvre, vuole la presentazione di questo volume a New York.
DIPINGERE CIÒ CHE SI SENTE
«Oggi vivere praticando l’arte come mestiere è complicato, a tratti può sembrare impossibile. Io ho avuto un mestiere, quello dell’insegnante, grazie al quale ho potuto mantenermi. Per campare facendo arte è quasi necessario lavorare su commissione, ma per un artista può essere avvilente. Comporre un’opera d’arte è fatica, creare un quadro è come lasciare andare una parte di sé: separarsene è in qualche modo una perdita dal valore inestimabile, che si è disposti a fare in nome della circolazione della cultura, a patto che ne venga compreso il valore».
La tecnica pittorica di Francesco Spatara consiste nello strappo, che «consente di vedere quel vuoto e domandarsi cosa ci sia dietro. Lo strappo è una rappresentazione metaforica dell’artista che si lacera la pelle per far capire ciò che ha dentro, è proprio come svuotarsi, aprirsi al mondo e tirar fuori ciò che si ha nel profondo». Osservando le opere di Spatara si può notare come i soggetti raffigurati siano trasfigurati, non definiti: i personaggi sembrano urlare, quasi dilaniati. «Picasso diceva che non bisogna dipingere ciò che si vede, quindi la natura. Essa è bella in quanto tale. Bisogna dipingere ciò che si sente dentro e per sentirsi dentro bisogna veramente aprirsi, sfasciarsi, strapparsi».
ARTE CONTEMPORANEA IN SARDEGNA
In Sardegna ci sono stati e ci sono tuttora artisti contemporanei che si sono affermati mantenendo contemporaneamente le radici nell’Isola e guardando anche alle avanguardie artistiche contemporanee di cui fanno parte. Basti pensare Zaza Calzia, Lalla Lussu e Rosanna Rossi, Gaetano Brundu, Costantino Nivola, Pinuccio Sciola e Maria Lai. Quest’ultima ha realizzò nella sua Ogliastra, a Ulassai, “Legarsi alla montagna”, la prima opera d’arte relazionale a livello internazionale, che aveva ovvero reso il pubblico parte dell’opera stessa.
L’opera vide la partecipazione nel 1981 dell’intera comunità di Ulassai e durò per tre giorni. Protagonista dell’opera un nastro azzurro di 27 chilometri che fu tagliato, distribuito fra la gente e poi legato a porte, finestre e terrazze. In tal modo Maria Lai riuscì a disegnare le relazioni fra persone cucendole di casa in casa, per poi affidare a degli scalatori il resto: legarono il nastro al Monte Gedili che sovrasta la comunità, luogo emblematico per gli abitanti di Ulassai, per il loro sostentamento, ma anche luogo di morte. Lai con la sua opera d’arte “ai vivi” riuscì a rendere visibile il significato di collettività in sinergia col territorio, creando unione con un linguaggio nuovo: l’arte contemporanea.
Il concetto di legarsi alla montagna oggi pare più attuale e necessario che mai: nell’Isola, specie in Ogliastra, le problematiche non sono poche e l’arte può offrire soluzioni. Per Francesco Spatara «Maria Lai ha rappresentato un pensiero: sentiva il bisogno di legarsi alla montagna perché quel paese, il suo, si trovava in montagna. L’importanza di quel pensiero è fondamentale: ogni artista deve trovare il suo e legarsi a esso, solo allora troverà la giusta strada». In tal modo l’arte adempie una duplice funzione, culturale, ma anche sociale. L’artista, essendo esso stesso parte della società ne percepisce le problematiche e attraverso le sue opere può sensibilizzare, o addirittura – come fece Lai a Ulassai – creare unione.
GIOVANI E ARTE
Gli artisti in tutto il territorio italiano, specialmente i più giovani, vivono in un campo professionale caratterizzato da poche certezze. La carriera di un giovane artista nella penisola italiana fa fatica a decollare prima dei quarant’anni e raggiunge con difficoltà il riconoscimento internazionale.
Francesco Spatara in questo scenario offre in conclusione un messaggio rincuorante: «I giovani artisti scelti dalla commissione scientifica dell’Atlante dell’arte contemporanea, sebbene possano sembrare acerbi per certi versi, hanno una forte voglia di ricerca e sperimentazione. Il mondo oggi è veloce, è vero; è necessario anticipare i tempi, cioè io devo dipingere come se quest’opera la dipingessi fra dieci anni. Ma ogni giorno vado nel mio laboratorio con l’entusiasmo della scoperta, di colui che non sa cosa nascerà quel giorno, libero dalla paura di sbagliare, perché ormai consapevole».
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