Forest School Pianfei: un “asilo nel bosco” aperto al mondo
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Cuneo - Un sentiero che si inoltra nel bosco, rivelando man mano, con indizi sonori inequivocabili, fatti di risa e gridolini concitati nel gioco, la presenza sempre più prossima di un nutrito gruppo di bambini. Tra grandi alberi frondosi, in una radura attrezzata fuori dal paese, c’è l’Asilo nel Bosco di Pianfei – oggi Forest School – che ospita cinquanta esploratori, tra i piccolissimi nella sezione nido della fascia 1-3 anni e gli alunni della scuola dell’infanzia, da 3 a 6 anni. La realtà può contare inoltre su una sede nel centro abitato per le attività indoor.
Ci accoglie Federica Biscia, co-fondatrice del progetto di Pianfei insieme a Stefania Lo Presti, attuale referente per la Scuola nel Parco di Chiusa di Pesio. Mentre mi racconta la storia e le motivazioni alla base del progetto, mi colpiscono la sua energia, la sua centratura emotiva, la sua sicurezza, frutto – a suo stesso dire – di una consolidata fiducia nelle competenze che lei e il suo staff hanno maturato sul campo.
«Siamo nati nel 2014, esattamente dieci anni fa, iniziando con un semplice giardino e arrivando ad oggi a un bosco di 2000 metri quadri. Partendo da un baby parking a ore, abbiamo lavorato sodo, formandoci per poter dare un nome e un’identità al nostro progetto: asilo nel bosco, trasformatosi nel tempo nella Forest School di Pianfei», spiega Federica.
«E così, con determinazione, da piccolo servizio per l’infanzia italiano ci siamo trasformati in un grande progetto aperto al mondo: abbiamo richieste da tutta la provincia e una lista di attesa di famiglie che vorrebbero entrare a farne parte. Parliamo molte lingue, tra di noi e con i bambini: inglese, francese, spagnolo e svedese, grazie anche ai nostri maestri, madrelingua di diversa nazionalità. Le famiglie del nord Europa, americane, inglesi, nomadi digitali scelgono il nostro progetto perché richiama la loro pedagogia, i loro modi di educare e le loro lingue».
Una grande scuola dunque, multilingue e multietnica, che educa in outdoor education per la maggior parte dell’anno. Ma quali sono i principali pilastri che la contraddistinguono e quali i benefici riscontrati nei piccoli partecipanti? «L’educazione emozionale, la didattica esperienziale e, come già detto, le lingue straniere sono alcuni dei punti di forza del nostro progetto. Lo sviluppo motorio grosso e fino attraverso l’esplorazione sensoriale e attività studiate allo scopo è uno dei nostri obiettivi. Ne consegue che i bambini sono fisicamente molto forti, emotivamente sereni e con una grande consapevolezza di sé».
Nella Forest School Pianfei, fra i tronchi e gli arredi prevalentemente in legno collocati per accompagnare le attività nei vari momenti della giornata, la grande area che ospita i bambini è delimitata da corde, in un perimetro e un percorso all’interno del quale i piccoli si muovono a loro agio, consapevoli dei limiti spaziali.
«Anche se forse non si vede fino in fondo dall’esterno, lo spazio è studiato e organizzato. Le nostre fasce di età si dividono in due: 1/3 anni per i più piccoli, 3/6 anni più grandi. Le due fasce sono diversamente strutturate, con insegnanti dedicati. I maestri si muovono nei gruppi, portando ognuno le proprie competenze e anche le proprie passioni. I bimbi dell’ultimo anno sono didatticamente pronti per affrontare sia la scuola pubblica che la nostra scuola nel parco a Chiusa Pesio. Raggiungono gli obiettivi previsti dal Miur con grande serenità perché tutti i loro bisogni sono stati accolti e sono quindi aperti all’apprendimento».
Quando a Pianfei giunge l’ora del pranzo, consegnato alla scuola da un servizio esterno con opzioni vegetali e senza glutine, i bambini si radunano attorno ai tavoli, realizzati a loro misura. Come nella vicina Scuola nel Parco, anche qui l’esplorazione e il gioco libero sono essenziali. Allo stesso modo il morning circle, cerchio di ascolto e confronto riproposto poi in diverse occasioni nel corso della giornata, diventa un importante momento, dal punto di vista formativo e relazionale.
«È incredibile il potere attrattivo che ha la musica nel formare il cerchio», osserva stupita Federica. «Prima di vederlo con i miei occhi non ci avrei creduto, ma quando uno dei maestri si siede su un ceppo e inizia a suonare o cantare, i bambini abbandonano le loro attività del momento e accorrono velocemente».
A dieci anni dalla nascita il progetto appare dunque molto saldo e definito. Un possibile punto di riferimento per realtà educative giovani, che si trovano ad affrontare difficoltà e ostacoli di diversa natura: quale il segreto per non lasciarsi abbattere? «Anche per noi gli ostacoli sono stati molti in questi anni: abbiamo dovuto cambiare luogo più volte – devo dire, sempre in meglio – e serve un lavoro costante di relazione con il territorio, che non termina con l’orario di attività sul campo. Trovare boschi adatti alle nostre esigenze, formare a dovere le famiglie, formarci noi come insegnanti sono state vere e proprie sfide, che abbiamo superato solo dopo tanti anni di esperienza», ricorda Federica.
Per farlo ci vuole molto impegno da parte di tutti, sacrifici e passione. «Ai nuovi progetti direi di cominciare con poco: porsi pochi obiettivi, ma mantenerli nel tempo. Per noi fondamentali sono stati e sono tuttora l’organizzazione, la sostenibilità economica – è importante pagare i collaboratori in tempo, con precisione al centesimo –, le competenze variegate della squadra – dagli insegnanti di varia formazione al commercialista, fino alla psicologa che ci supporta – e l’essere sempre in regola dal punto di vista assicurativo».
Per finire, chiedo a Federica quali sono i suoi auspici per il futuro: «Per il futuro ci piacerebbe continuare questo scambio interculturale con le altre nazioni, ospitando famiglie e generando gemellaggi con l’estero. Il maggiore auspicio riguarda proprio questo mio sogno nel cassetto, che a dire il vero si sta già avverando e che spero sarà ben avviato entro i prossimi cinque anni: aggiungere una componente residenziale per famiglie di nomadi digitali che si uniscono al progetto, arricchendolo con le loro competenze e con mentalità “altre” rispetto alle nostre».
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