16 Lug 2024

Falsi santuari: come riconoscere quelli che sfruttano gli animali per business

Scritto da: Chiara Grasso

Forse vi sarà capitato durante un viaggio di trovarvi a contatto con un animale selvatico in strutture che in teoria avrebbero dovuto preservarlo e tutelare il suo benessere. Non è raro infatti imbattersi in falsi santuari che coinvolgono i turisti, spesso in buona fede, sfruttando gli animali per scopi commerciali. L'etologa Chiara Grasso ci spiega come fare a smascherarli raccontando la sua stessa esperienza di vittima.

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Non è raro sfogliare i feed dei nostri social e trovare immagini e video di influencer che allattano leoncini, giocherellano con scimmiette o lavano elefanti. Questi contenuti innescano negli utenti il desiderio di fare lo stesso e quindi ecco la moda dei “rescue center” che diventano una meta turistica. In questi falsi santuari gli animali sono spacciati per orfani, feriti e bisognosi di cure per attirare turisti in buona fede che in questo modo non si sentono in colpa a finanziare la presenza di animali in cattività.
La verità è che questi centri sono ben peggio di molti zoo proprio perché gli animali ospitati nei falsi centri di recupero vengono utilizzati come mascotte per turisti diventando attrazioni.

La truffa è duplice: da una parte il turista crede di contribuire con il suo ingresso alla conservazione e alla protezione degli animali selvatici apparentemente salvati, dall’altra si trova in realtà a contribuire al loro sfruttamento partecipando a quelle attività che includono l’interazione con l’animale. Ricordiamoci infatti che gli animali selvatici non hanno l’indole innata a interagire con noi umani, cosa che invece accade nelle specie domestiche come cani, gatti o cavalli. Una specie selvatica è una specie che non ha subito un processo di domesticazione millenaria con Homo sapiens.

Nel caso del cane, la co-evoluzione è avvenuta all’incirca 25mila anni fa e ha reso noi quello che siamo oggi e ha plasmato il cane attraverso la selezione naturale e l’auto-addomesticamento di alcuni individui di lupi. Questo non è avvenuto per elefanti, leoni, ghepardi, scimmie, orsi e decine di migliaia di altre specie selvatiche che non hanno tratto beneficio dall’interazione con l’essere umano.

Falsi santuari: come riconoscere quelli che sfruttano gli animali per business

Pertanto, interagire con un animale selvatico è innaturale ed etologicamente sbagliato perché andiamo a interferire con quella che è la sua selvaticità, forzando la sua indole innata e la sua etologia specie-specifica. Anche se in cattività, un animale appartenente a una specie selvatica, rimarrà sempre selvatico. Sarà addomesticato, ma la sua etologia, i suoi bisogni e la sua natura saranno sempre quelle di un animale selvatico e proprio per questo noi turisti dobbiamo essere consapevoli ed etici da scegliere le giuste strutture e le giuste attività da sostenere per il benessere animale.

Anche se, come spesso si giustificano questi santuari, l’animale non potrà essere reinserito in natura, questo non significa che debba diventare cornice dei selfie dei turisti. Il fatto che non possa tornare libero per svariate ragioni – sempre che sia vero –, non lo rende un peluche da utilizzare per business. Anche la World Animal Protection da anni denuncia il “selfie tourism” e sottolinea come questo tipo di turismo sia insostenibile sia in termini di benessere animale che in ambito conservazionistico. Ma con questo non sto dicendo che sia sbagliato desiderio di interagire con un animale selvatico. Siamo primati, siamo curiosi per natura anche noi.

Tutti vorremmo coccolare un elefante, nuotare con un delfino o accarezzare un leone. Quello che però bisogna chiedersi è: “Io voglio, ma…è giusto?”. E la risposta è no. Ma prima di arrivare a questa consapevolezza scientifica, ho dovuto sbagliare anche io! Era il 2015, avevo appena ottenuto la laurea in psicologia e di animali non sapevo ancora nulla, salvo qualche informazione pseudo-scientifica di qualche associazione animalista. Non avevo idea di cosa fosse il benessere animale, non avevo idea di quale fosse la differenza tra un cane e una scimmia e quello che avevo imparato fino ad allora era che gli animali non andavano picchiati e avevano bisogno di “amore”.

Falsi santuari: come riconoscere quelli che sfruttano gli animali per business

Così, presa dalla passione e dalla voglia di “dare amore agli animali” decisi di partire un mese per un progetto di volontariato con animali in Namibia. La destinazione era un “santuario” sponsorizzato ovunque in Namibia: anche i vip lo sostenevano e pubblicizzavano e nella mia ignoranza di allora credevo che questo volesse dire qualità. Ora so che è l’esatto opposto. Per stare lì pagavo 400 dollari a settimana.

Per un mese alla fine avevo investito circa 2000 dollari. Eravamo una ventina di volontari e ognuno di noi aveva pagato quella cifra o di più. Insomma, un business niente male che con la conservazione non aveva niente a che vedere. Le mansioni che ci venivano assegnate erano di pura manovalanza: pulire gabbie di galline, facoceri, babbuini, preparare cibo, costruire staccionate, tagliare l’erba e sistemare magazzini.

In cambio di questo lavoro, ci veniva “regalata” l’esperienza di dormire con una scimmia a testa ogni notte, di poter essere spulciati durante le uscite con i babbuini e di camminare con i ghepardi. Ci dicevano che queste scimmiette erano state o abbandonate dalla madre o la madre uccisa o trovate da sole…insomma, ogni mese riuscivano ad avere un tot di piccoli da distribuire a un tot di volontari. Un po’ strana come situazione no?

Anche se in cattività, un animale appartenente a una specie selvatica, rimarrà sempre selvatico

A questi poveri animali dovevamo mettere il pannolino perché dormivano con noi nel letto e dar loro il biberon – una scimmia con pannolino e biberon? –; inoltre ogni settimana i piccoli di babbuino cambiavano “mamma”, passando di volontario in volontario; chiaramente la maggior parte di noi era inesperto e rischiava di mettere a rischio la salute e la vita di questi animali. Per tutta la mia permanenza nel santuario infatti io ho avuto un herpes virus labiale enorme e ben visibile: l’herpes é asintomatico per l’essere umano ma può essere mortale per le scimmie.

Nessuno dei responsabili mi ha detto niente. Nessuno dei veterinari e dei coordinatori dei volontari mi ha avvertito che un herpes poteva uccidere una scimmia, che non avrei dovuto interagire con loro e che sarebbe stato pericoloso. In un mese di herpes sanguinante, nessun “esperto” che lavorava lì mi ha mai proibito di avvicinarmi agli animali. Quando tornai in Italia, scoprii dopo qualche mese che una delle scimmiette con cui avevo dormito era morta. Sarà stata colpa mia? Sarà stato il mio herpes? Queste domande ancora oggi mi tormentano. Ancora non riesco a perdonare quel falso santuario per la gestione pericolosa con cui tenevano – tengono ancora? – gli animali.

Decine e decine di babbuini dentro gabbie minuscole, cuccioli sempre nuovi – tutti spacciati per orfani, quando in realtà probabilmente erano tutti allevati. Zero arricchimento ambientale, volontari inesperti, veterinari incompetenti. Un incubo che ancora oggi guadagna migliaia di dollari da volontari e turisti. Nel famoso falso santuario erano ospitati anche dei ghepardi, anche questi spacciati per recuperati. Durante una visita nella riserva, il ranger che era con noi scoprì che una femmina aveva partorito. Non ci pensò due volte a sedare la femmina e prendere i tre cuccioli che aveva appena dato alla luce.

Falsi santuari: come riconoscere quelli che sfruttano gli animali per business

Quello che ci dicevano era che la mamma non era in grado di prendersi cura dei piccoli e che non aveva latte perché era vecchia.
I cuccioli non vennero portati nel centro di recupero o dai veterinari, né in quarantena bensì a casa della proprietaria del santuario. In camera sua. Non passò più di un giorno che iniziò la processione per vedere i piccoli. Ogni volontario come me poteva scattare delle “bellissime” foto stringendo a sé i poveri ghepardi appena nati – io avevo ancora l’herpes e di nuovo, nessuno mi disse nulla.

Un anno dopo, da una veterinaria che aveva lavorato lì venni a sapere che la mamma ghepardo era in realtà giovanissima, sana e di latte ne aveva in abbondanza. Ma quello che interessava ai gestori del santuario era di potersi appropriare dei piccoli ghepardi, in modo da imprintarli sull’essere umano, addomesticarli e renderli nuove mascotte per attirare turisti. Ora infatti questi sono i ghepardi che utilizzano per far passeggiare i turisti e che spacciano per “salvati e recuperati”. Ma non è vero. Io li ho visti strappare letteralmente via dalla madre, quel mattino di marzo del 2015.

Dopo tutti questi segnali e queste strane coincidenze, iniziai a informarmi, a studiare, a leggere articoli scientifici, a parlare con professori e anche grazie agli approfondimenti all’Università ho potuto capire di cosa si trattava: ero stata vittima e carnefice di un turismo fatto sulla pelle di animali e di volontari ingenui. Oggi, dopo quasi dieci anni, ho fatto di quell’errore il motore della mia divulgazione e della mia mission: perché credetemi, amare gli animali e rendersi conto di essere stata complice del loro maltrattamento è qualcosa che non auguro nemmeno al mio peggior nemico. La consapevolezza prima di partire è tutto!

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Purtroppo lo sfruttamento degli animali selvatici per turismo è in tutto il mondo. Solo in Brasile, secondo una recente indagine scientifica, il 75% delle attività turistiche prevede l’interazione con gli animali selvatici. Pensiamo poi all’Asia, dove le tigri vengono sedate per i selfie e gli elefanti dapprima cavalcati ora vengono obbligati ad essere lavati dai turisti. Ma quindi come possiamo fare a riconoscere i falsi santuari?

Molte strutture turistiche che ospitano animali selvatici utilizzano in maniera impropria il termine “santuario”. Secondo la Global Federation of Animal Sanctuaries un santuario è “una struttura che fornisce un rifugio sicuro temporaneo o permanente agli animali recuperati nel rispetto di determinati principi: fornire un’eccellente assistenza umana agli animali in un ambiente che segua politiche etiche in termini di tour, recupero, commercio e spostamento di animali, esposizione al pubblico, eventuale allevamento per scopi conservazionistici”.

In questo senso si usa si parla di “falsi santuari” per indicare tutte quelle strutture che si “vendono” alle persone per quello che non sono. Le strutture realmente valide dal punto di vista etico e scientifico sono quelle che:

  • Impediscono ogni forma di interazione – toccare, alimentare, coccolare, lavare, portare a passeggio – tra turista/volontario e animali ospitati
  • Non hanno tanti piccoli. I cuccioli, si sa, piacciono e attirano i turisti, ma se un centro ha tanti piccoli evidentemente non li salva… ma li alleva!
  • Collabora con centri di ricerca, università e lavora per la conservazione, la reintroduzione e la salvaguardia delle specie in natura: gli animali non sono solo esposti.


Da oggi quindi davanti a quelle belle esperienze in cui i turisti lavano elefanti “salvati” dallo sfruttamento e coccolano scimmie precedentemente “maltrattate”, chiediamoci se in realtà non siano proprio quelle stesse esperienze a essere il vero sfruttamento. Siate il cambiamento!

Per saperne di più sul tema consulta la nostra guida al vero benessere animale.

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