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“Emergenza siccità” è da mesi l’espressione più pronunciata in Sicilia. A Enna sono comparsi manifesti funebri per la “morte” del lago di Pergusa ormai ridotto ad una chiazza di fango umido che si sta essiccando al sole caldissimo di questi giorni. In giro per la Sicilia si moltiplicano le autobotti come soluzione all’emergenza in atto. Alcuni plessi dell’Università di Messina ricevono acqua solo per 3-4 ore al giorno. L’allerta è alta tra gli allevatori e gli agricoltori in serie difficoltà da mesi, ma anche nei centri dialisi privati che coprono circa il 75 per cento dei pazienti della Regione Sicilia.
La Sicilia non è sicuramente nuova a periodi di siccità analoghi per alcuni aspetti alla situazione di questi mesi. Andando a ritroso, nel corso degli ultimi cinquant’anni è già accaduto nel 1968, nel 1977, tra il 1989 e il 1990 e nel 2002. Ciò che rende maggiormente problematico e con un impatto devastante su più fronti il fenomeno in corso è l’aumento delle temperature dell’ultimo anno. «Avremmo dovuto essere preparati, abbiamo già vissuto in passato momenti di questo tipo. Avremmo dovuto essere pronti per limitarne l’impatto, anche se i segnali del cambiamento climatico in atto rendono questa siccità assolutamente diversa rispetto agli eventi del passato».
È Luigi Pasotti, agronomo specializzato in Agrometeorologia e dirigente dell’Unità Operativa di Catania del Servizio Informativo Agrometeorologico Siciliano (SIAS) del Dipartimento regionale Agricoltura, a spiegarmi meglio cosa sta accadendo in Sicilia. Impossibile raccontarlo in un solo articolo, cercheremo di affrontare il tema nella sua complessità con successivi approfondimenti.
Sulla regione è in corso una situazione di siccità, per ora di medio termine, maturata in particolare nell’ultimo anno, a differenza dell’ultima grande siccità del 2002, maturata invece in un periodo di lungo termine, ma l’impatto è analogo. Il mese di giugno appena concluso, come maggio, non ha replicato gli abbondanti apporti registrati nel 2023, facendo crescere sensibilmente il deficit pluviometrico degli ultimi 12 mesi. In vaste aree del territorio regionale nell’ultimo anno sono mancati all’appello oltre 300 mm di pioggia rispetto a quanta ne cade normalmente, ma sul settore ionico si arriva anche a oltre 700 mm di pioggia in meno.
EMERGENZA SICCITÀ, CAMBIAMENTO CLIMATICO E SISTEMI DI APPROVVIGIONAMENTO
Secondo Pasotti nel trattare quanto si sta verificando si trascurano due aspetti, il cambiamento climatico e la necessità di adattamento e di ridurre la vulnerabilità dei nostri sistemi di approvvigionamento che sarebbe stata la conseguenza diretta di esperienze di siccità già vissute. «Nel dibattito pubblico viene completamente ignorato il tema della mitigazione del cambiamento climatico, cioè dell’intervento per agire sulla causa principale».
«Noi sappiamo per certo che il clima sta cambiando, dobbiamo imparare a ridurre la nostra vulnerabilità e la nostra esposizione al cambiamento climatico per evitare che l’impatto sia catastrofico. Ma bisogna anche evitare, riducendo drasticamente i nostri consumi di combustibili fossili, che il cambiamento climatico sia così forte da rendere inutili gli strumenti che abbiamo. In futuro potrebbero esserci siccità ancora più gravi di questa a causa delle temperature» commenta Pasotti.
Impatto che nelle province siciliane sta avvenendo già con forme devastanti e diverse rendendo ancora più complicato il quadro. «Nella Sicilia orientale la situazione è più catastrofica che in altre parti della stessa isola. È diverso anche il sistema di approvvigionamento idrico. Nella parte occidentale il settore idropotabile si appoggia su una rete di invasi importante e strategici anche per l’agricoltura, nella zona orientale invece i sistemi acquedottistici sono basati sull’uso di acque sotterranee, sorgenti e pozzi, mentre le reti irrigue si appoggiano sul sistema degli invasi che in questo momento sono completamente vuoti».
«Quelli che hanno disponibilità d’acqua sono destinati primariamente all’uso idropotabile per evitare che il settore civile resti senza acqua. La grande preoccupazione al momento è per i corpi idrici sotterranei: per la mancanza di risorse in superficie si stanno usando massicciamente le falde e non sappiamo quale potrebbe essere la risposta nel medio termine a causa di questa pressione molto elevata sulla risorsa idrica» continua Pasotti.
Si stima, ad esempio, che l’abbassamento della falda alle pendici dell’Etna sia pari a 20 metri. La falda di Fiumefreddo, in provincia di Catania, da cui dipende l’approvvigionamento idrico del 70% della città di Messina, si è abbassata di almeno 15 metri e il livello si è pericolosamente avvicinato a quello sotto il quale non si può più prelevare. Questo abbassamento comporterebbe anche l’intrusione dell’acqua di mare e l’esaurimento delle falde causerebbe anche un veloce deterioramento della qualità. Una situazione critica e di grande incertezza considerando che, ragionevolmente, le piogge almeno fino a ottobre non potranno cambiare in maniera significativa la situazione.
EMERGENZA SICCITÀ, ATTRAVERSO UNA PIANIFICAZIONE SI POSSONO EVITARE GLI SCENARI PEGGIORI
La mancanza d’acqua dovuta alla siccità meteorologica andrebbe fronteggiata con azioni preventive che riguardano la gestione delle riserve idriche, quando c’è la disponibilità, attraverso la riduzione dei prelievi con un certo anticipo e con il razionamento dell’acqua. Durante la siccità del 2002, al temine di un ciclo climatico molto povero di piogge, si paventava una rapida desertificazione dell’Isola; tuttavia dal 2003 al 2016 e anche nel 2018 la tendenza climatica degli anni ‘90 si è invertita e le piogge sono riprese. Non si possono fare previsioni, ecco perché serve agire in modo preventivo.
«Mentre il segnale di cambiamento climatico relativo alle temperature è molto chiaro – sappiamo che nei prossimi decenni si registrerà un aumento delle temperature e questo dipenderà anche dalle nostre politiche – sull’evoluzione della piovosità non possiamo fare grandi previsioni».
«I modelli climatici sono meno prevedibili perché bisogna tenere conto di due elementi: da un lato un maggiore contenuto di vapore acqueo dell’atmosfera che può portare anche a eventi intensi e alluvionali, come quelli che si stanno verificando in Nord Italia, e quindi un’atmosfera che potenzialmente può portare addirittura più piogge rispetto al passato, ma al tempo stesso più calda, che può favorire periodi più prolungati di assenza di piogge e anche una maggiore evaporazione, causando una minore efficienza della pioggia che cade. Ecco che serve pianificare l’uso delle risorse» sottolinea l’agronomo.
Metterci “al sicuro”, considerando anche gli scenari peggiori, con una pianificazione immediata e inevitabile tenendo bene a mente gli effetti del cambiamento climatico che condurrebbe a situazioni addirittura peggiori rispetto a quelle già osservate. «L’autorità di Bacino in Sicilia ha iniziato un’attività di questo tipo, forse un po’ timidamente, nel 2017 quando ci fu una siccità localizzata nel settore occidentale che costrinse a ridurre i volumi idrici messi a disposizione degli utilizzatori».
«Non è semplice, le limitazioni nell’erogazione creano difficoltà ai settori economici, ai gestori dei servizi e dei sistemi produttivi, e i portatori di interesse non sempre accolgono in maniera favorevole queste misure prese a scopo precauzionale. Al contrario servirebbe avere maggiore coraggio nell’adottare misure del genere. Dall’altro lato serve rendere più efficiente tutto il sistema di accumulo delle riserve, quindi recuperare la capacità di accumulo delle acque superficiali e l’efficienza del sistema degli invasi» continua Pasotti.
QUAL È LA CONDIZIONE DEGLI INVASI SICILIANI? TRA GESTIONE E FINANZIAMENTI ANDATI PERSI
Gli invasi siciliani hanno perso parte della loro capacità a causa dell’interrimento, altri a causa di limitazioni legate alla necessità di un adeguamento alle norme antisismiche. Un problema che si è palesato di recente. «Negli scorsi anni, fino al 2021, abbiamo avuto piogge significative in quasi tutte le aree dell’isola, eppure alcuni invasi non hanno potuto stoccare tutta l’acqua che avrebbero dovuto trattenere in base alla capacità prevista dai progetti iniziali. Hanno perso la funzione di regolazione pluriennale per la quale sono stati concepiti».
«La gran parte degli invasi siciliani, infatti, è stata progettata per accumulare volumi idrici da utilizzare non immediatamente o durante l’estate, che è la stagione con la massima attività irrigua, ma negli anni successivi per un uso pluriennale, in previsione di periodi di siccità. Con la perdita di efficienza del sistema degli invasi, perlomeno di alcuni invasi, è chiaro che questa funzione di regolazione pluriennale un po’ si è persa e questa perdita si è resa più palese in questa situazione» sottolinea Pasotti.
Tra gli anni ‘30 e gli anni ‘70 in Sicilia sono stati costruiti molti invasi – oggi gestiti in parte dall’Enel, da Siciliacque, il numero più elevato dal Dipartimento Acqua e Rifiuti della Regione e in pochi casi dai consorzi di Bonifica – che, nel tempo, hanno perso la propria capacità di accumulo anche per mancata gestione adeguata. Per risolvere l’emergenza non si può pensare di crearne degli altri, sono poche le vallate idonee dal punto di vista geologico che potrebbero ospitarli.
Come suggerisce Luigi Pasotti, bisogna pensare a sistemi di accumulo diversi, forse anche più decentrati sul territorio, come i laghetti collinari, e, in ambito urbano, inserendo nei regolamenti edilizi la raccolta di acque meteoriche negli edifici civili – abitudine consueta delle case della tradizione siciliana – poi reti duali in ambito civile riducendo nel frattempo le perdite sia nelle condutture che nelle grandi reti urbane e irrigue.
Molti dei finanziamenti utili a risolvere queste perdite non sono stati utilizzati. Si rischia di perdere anche parte dei fondi previsti dal PNRR. È un problema spesso di governance legato alla gestione delle ATI, le Assemblee Territoriali Idriche, quelle che una volta venivano chiamate ATO idriche. In molte situazioni in Sicilia non hanno ancora trovato l’assetto definitivo, previsto dalle norme, che sia in grado di operare e progettare in modo efficace.
Il servizio idrico di Catania non ha ancora, ad esempio, un gestore unico operativo. L’Assemblea territoriale idrica, formata dai vari comuni della provincia, dovrebbe affidare il servizio di gestione, di distribuzione e di fatturazione delle acque a un gestore unico che sarebbe titolato a presentare i progetti di riqualificazione della rete per usufruire dei fondi del PNRR, ma l’iter per arrivare all’assetto finale è tuttora costellato da veti e ricorsi.
È così che gli enti preposti e le istituzioni non riescono a gestire situazioni particolari con strumenti ordinari e scatta il commissariamento nei vari consorzi di bonifica, si istituiscono cabine di regia e ci si ritrova in situazioni in cui è complicato avviare una pianificazione a lungo termine, perpetuando una continua emergenza in cui si fa fatica a trovare un assetto funzionale e a risolvere in tempi rapidi problemi prevedibili diventati insormontabili.
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