Caccia alle foche: l’UE pensa di riaprirla per le pressioni delle lobby
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“Orrore! Un passo indietro di quasi vent’anni che non permetteremo in alcun modo”. È così che la LAV presenta la notizia che dall’inizio di luglio sta turbando il mondo animalista e non solo. Dopo un lungo percorso di studio e approvazione di un quadro normativo che limita le importazioni di prodotti derivati dalla caccia commerciale alle foche infatti, la Commissione europea sta valutando se la legislazione rimane idonea allo scopo.
“Orrore” pare proprio un concetto calzante, non solo in riferimento al rischio che migliaia di esemplari di foca correrebbero se le norme a loro tutela venissero rese meno efficaci, ma anche rispetto al gravissimo passo indietro in termini di civiltà che le istituzioni europee compierebbero se ciò accadesse. Per approfondire il tema e capire quali sono i rischi e le possibili conseguenze, ho interpellato Simone Pavesi, responsabile area Moda Animal Free della LAV, che sta seguendo da vicino l’evolversi della vicenda.
In poche parole, a cosa si deve questo rischio di fare gravi passi indietro nella tutela delle foche?
Ogni volta che si mette mano a una norma, che peraltro è risultata essere estremamente efficace nell’arginare la mattanza delle foche, il rischio è che lo si faccia con l’intento di smussarla/smantellarla.
Fra i vari temi sul piatto c’è la lamentela di sovrappopolamento in alcune zone d’Europa; la situazione sembra molto simile, ad esempio, al tema dei cinghiali in Italia. Pensi che sia realistico immaginare lo studio di politiche ambientali risolutive nel rapporto con le specie selvatiche?
L’aumento della popolazione delle foche è il positivo risultato conseguente proprio alla normativa UE che ha chiuso le porte del mercato interno ai prodotti derivanti dalla caccia commerciale a questi animali; il problema della diminuzione degli “stock” ittici che lamentano i paesi del nord Europa dovrebbe essere risolto imputando la responsabilità non alle foche bensì al sovrasfruttamento delle “risorse” marine. Sempre che sia un problema reale, perché se le foche aumentano, allora significa che cibo ne hanno. Probabilmente la questione della “pesca” è una mera scusa per tentare di riaprire le porte al commercio dei prodotti di foca.
Dal punto di vista ecologico quali sarebbero i rischi di una riapertura della caccia per scopi commerciali?
Passeremo da qualche migliaio di foche uccise all’anno a numeri che possono anche raggiungere le 400.000 uccisioni sempre su base annua come nel periodo di massima caccia, nei primi anni 2000.
Quali sono gli interessi degli stakeholder commerciali e istituzionali?
Dalle foche si ricavano pellicce, pelli, olio, grasso, carne e altri prodotti. L’industria di trasformazione dei prodotti di foca ovviamente non vede l’ora di ricominciare a lucrare su questi animali accedendo al mercato europeo. In questo i governi di alcuni Paesi terzi – Canada in prima linea, seguito dalla Norvegia – e Stati Membri – Danimarca, Svezia, Finlandia, Estonia – stanno spingendo per concedere favori alla propria industria e alla lobby dei cacciatori di foche.
C’è il rischio che l’attuale Governo possa essere tentato di rinunciare ai progressi fatti con il decreto del 2006 rivedendo la normativa in tal senso?
L’attuale Governo, nella persona del Ministro Lollobrigida, già lo scorso anno in sede di Consiglio dell’UE dell’Agricoltura AGRIFISH si è astenuto, non votando a favore di un impegno dei Ministri dell’Agricoltura nel chiedere alla Commissione UE di dare seguito alle istanze della Iniziativa dei Cittadini Europei “Fur Free Europe”, ossia divieto UE ad allevamento e commercio di pellicce. Un dietrofront quindi rispetto a quella che invece era stata la posizione assunta, con voto a favore, dal precedente governo rappresentato dal Ministro Patuanelli.
Come sta andando la consultazione pubblica in scadenza il 7 agosto?
Al momento registriamo una significativa partecipazione di cittadini, cosa abbastanza inconsueta data la complessità del tema e la modalità di partecipazione, ma anche degli stakeholder dell’industria del nord Europa che, leggendo quanto scrivono, intendono palesemente riaprire il commercio.
Oltre a firmarla, cosa possono fare i cittadini e le cittadine, magari a livello di consumo critico o lobbying positiva, per provare a cambiare le cose?
Per il momento è sufficiente rispondere alla Consultazione Pubblica chiedendo di non modificare la normativa vigente. Entro fine 2025 la Commissione UE dovrà poi assumere una decisione; speriamo non sia necessario organizzare una campagna di sensibilizzazione e che le istituzioni UE comprendano subito quanto importante è tutelare le foche e non cacciarle.
Clicca qui per firmare la consultazione pubblica.
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