Banditismo, balentia e mito del bandito in Sardegna secondo Marta “Jana sa Koga” Serra
Seguici su:
Per comprendere sin da subito la dimensione del banditismo è importante partire dalla definizione del termine bandito. Esso infatti etimologicamente indica l’individuo messo al bando dalla comunità, colui che vive alla macchia, che è costretto dagli eventi a rientrare nella dimensione non civilizzata dell’esistenza. Il bandito in questo senso è un individuo che pur mantenendo i suoi tratti identitari non può palesarli perché impossibilitato a esprimersi alla luce del sole.
Dal punto di vista dell’archetipo mitico è una figura che si inserisce nella sfera della discensione, del cadere, del capovolto e quindi dell’oscurità. Assimilabile al ribelle che sfida e combatte l’autorità con lo scopo di esprimere la propria identità, rappresenta l’apice di un sistema di visioni e valori che ancora oggi vengono immediatamente riconosciuti in barba alla globalizzazione e alla digitalizzazione.
GIUSTIZIA E VALORE
La figura del bandito assume quindi anche i tratti dell’eroe primordiale, colui ovvero che si pone aldilà della condizione di uomo e prende il ruolo di loro difensore. Figura sempre ambigua: da un lato un po’ prometeico in quanto ladro di risorse di coloro che dominano per diritto di forza e un po’ epimeteico in quanto profondo conoscitore della natura selvaggia e in quanto detentore finale della speranza che lenisce i mali umani.
Questa ambiguità si esprime attraverso i concetti di Giustizia e Onore che in lingua sarda hanno sfumature semantiche specifiche e vanno sempre contestualizzate. Justìtzia e Balèntia infatti non vanno mai utilizzati in modo univoco, poiché si tratta di termini che rappresentano categorie che avvisano sull’umore del popolo sardo nei confronti della dinamiche di subalternità. Sarebbe più opportuno che in lingua sarda si usasse “Sa cosa justa” piuttosto che Justìtzia perché con quest’ultimo termine si tende a indicare l’intero sistema istituzionale egemone italiano che regola dall’alto e non la categoria traducibile con l’italiano Giustizia. Non a caso “Sa Giustìtzia” – Stìtzia per gli amici – è al centro delle locuzioni di maledizione di uso quotidiano.
Sto pensando a “Sa giustìtzia ddu scroxit” cioè “Che la giustizia possa scotennarlo” o il sempreverde “Stìtzia a innàntis” ovvero “La giustizia davanti” a indicare proprio la visione monolitica e impenetrabile del sistema egemonico nei confronti della cultura locale. Bisogna tradurre il termine Onore italiano col termine Balèntia in sardo, perché non c’è spazio per alcun tipo di onore che non sia sorretto dall’abilità dimostrata dall’individuo stesso. Ogni sardo che mira a essere rispettato, perché meritevole di onore, sa bene che deve adoperarsi per mostrarlo.
L’onore a priori, per nascita o status sociale, non viene concepito nel sistema di valori sardo, si trova raramente e si tratta di una consuetudine acquisita e non di un’abitudine radicata in presenza di pari identità. Balèntia indica quindi il valore che un individuo si è guadagnato nell’arco della sua vita. Il valore è la virtù del difendere i deboli possibilmente senza nuocere ad alcuno, mostrando destrezza e abilità nella conoscenza del proprio territorio e della propria identità.
ETNOSTORIA E BANDITISMO
Come già accennato, il fenomeno del banditismo affonda le radici in un contesto antico e – nello specifico – nelle dinamiche di colonizzazione e ribellione che hanno caratterizzato la storia isolana fin dal principio. Altro elemento è la storica differenza di visioni e progettualità tra le cosiddette “civiltà interne” e “civiltà costiere”. Le invasioni massive sono sempre provenute dal mare per cui le popolazioni autoctone costiere sopravvissute si son spostate verso l’interno andando a scontrarsi con gli equilibri territoriali delle popolazioni che si erano radicate precedentemente. Questo fenomeno ha portato, oltre che a grandi carestie, anche a grandi risentimenti nei confronti degli invasori dal mare.
Da qui ecco le Bardanas, incursioni organizzate dall’interno verso le coste con lo scopo di assicurarsi quante più risorse possibili che garantiscano la continuità delle comunità di provenienza. Diventa occasione di mostra del valore individuale e collettivo e si incastra bene con la guerriglia boschiva che da Matacui letteralmente l’atto di nascondersi tra gli alberi diventa presto Mataracui ovvero l’atto di uccidere di nascosto. Si tratta di una dinamica che va oltre il tempo, perché la data di arrivo o il nome dei popoli così come il nome delle strategie di resistenza e difesa son circostanziali. Chiaramente resta radicata nello spazio, perché gli uomini passano ma la terra e la sua cultura, in presenza di adattamento continuativo, rimane.
IL CONFLITTO DEI CODICI E IL BANDITISMO NELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO
Antonio Pigliaru, giurista e filosofo nato a Orune, operante a cavallo tra la prima e la seconda metà del Novecento scrisse La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico che pubblicò nel 1959, in cui ci fu una prima analisi del cosiddetto Codice Barbaricino, un codice morale non scritto tramandato per via orale attraverso la cultura agro-pastorale e a cui il banditismo potrebbe aver tratto ispirazione. In questo senso il banditismo assume una connotazione conflittuale in quanto l’individuo sentirebbe il premito di seguire questo codice di diritto naturale ben prima di qualunque legge codificata per via scritta.
Da qui nasce l’ambiguità della visione del bandito che nella seconda metà dell’Ottocento diventa oggetto di immaginario letterario come figura legata alla libertà e al mondo selvaggio. La visione del bandito diventa romantica sia con focus interno che con focus esterno. Grazia Deledda, premio Nobel sardo di lingua italiana, nel romanzo Cenere descrive il conflitto dei codici quando racconta dei giochi dei bambini in cui uno è un bandito e l’altro un carabiniere, il locale gioco di Guardie e Ladri. Ma anche nel romanzo Marianna Sirca, in cui una ricca proprietaria terriera per ribellarsi a un matrimonio combinato vuole palesare il suo amore sposando proprio un bandito.
In questo momento storico, il concetto di bandito si è evoluto, ben lontano dal vivere alla macchia, egli si occulta tra i cittadini comuni e si palesa solo agli occhi di coloro che ancora riescono a vedere entrambi i codici, quello scritto italiano e quello non scritto tipico delle popolazioni dell’entroterra.
IL NEOBANDITISMO
Dopo la degradante associazione con il sequestro di persona degli scorsi decenni e dopo la discesa verso gli inferi della globalizzazione delle sostanze stupefacenti, ci è sembrato che il mito del bandito ribelle e difensore di identità e risorse fosse definitivamente decaduto. A leggere ed ascoltare i servizi della penisola a questo decadimento si deve collegare anche il fenomeno dell’assalto ai Portavalori, ma la verità è che questo fenomeno è già romantico di per sé, un po’ come i pirati e i banditi del Far West. Nell’immaginario collettivo occidentale personaggi come Robin Hood o Arsenio Lupin sono già oggetto di evocazioni di abilità, rispetto e resistenza alle ingiustizie.
La recente notizia dell’attacco alla Mondialpol ha ridestato impeti di empatia e compiacimento, si tratta di un bel lavoro, ben fatto e senza feriti a dire di tutti coloro che hanno commentato sia nei social che nei luoghi pubblici dell’entroterra sardo. Ciò che fa notizia quindi non è tanto l’atto criminoso che è comunque da condannare, ma sta nel fatto che la soddisfazione per l’abilità di procurare risorse senza nuocere, abbia inserito ogni sardo nello stesso insieme, mettendo da parte lo status sociale, il censo e il grado d’allineamento al sistema egemonico. Sa Balèntia forse, dopotutto, non è mai morta, magari c’è ancora speranza per la nostra terra e per il nostro popolo.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento