Associazione Italiana Turismo Responsabile: viaggiare a basso impatto è possibile
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93 soci, fra cui 24 organizzatori di viaggio, 10 ONG impegnate nella cooperazione allo sviluppo, 22 imprese che gestiscono strutture ricettive, due editori, alcune associazioni culturali e anche grandi realtà come ARCI, Legacoop, Confcooperative, Borghi Autentici d’Italia, Europ Assistance, CoopCulture.
Questi numeri sono sicuramente insufficienti a dare un’idea precisa di tutto ciò che fa, delle realtà che coinvolge, la piccola rivoluzione culturale che porta avanti l’AITR – l’Associazione Italiana Turismo Responsabile –, però restituiscono quantomeno a livello quantitativo la portata della sua azione. «Sono soci diversi fra di loro per natura giuridica, attività, dimensioni, matrici culturali e ideali, ma accomunati dagli obiettivi condivisi in AITR», precisa Maurizio Davolio, presidente dell’Associazione Italiana Turismo Responsabile, con cui abbiamo chiacchierato per saperne di più.
Partiamo con un po’ di storia: quando è nata l’Associazione Italiana Turismo Responsabile e con quali obiettivi?
L’Associazione Italiana Turismo Responsabile è nata nel 1998 con l’obiettivo di diffondere i principi e le buone pratiche del turismo responsabile
Il concetto di turismo classico sta diventando sempre più obsoleto, superato da nuovi modelli che ibridano questo settore con altri come la responsabilità sociale, la tutela dell’ambiente, il nomadismo digitale, l’antimafia e tanti altri. Percepisci anche tu questo cambiamento? L’azione dell’AITR va in questa direzione?
Certamente e noi siamo tra i promotori di questo cambiamento: da 26 anni proponiamo un turismo che rispetta l’ambiente, la cultura locale, che crea relazioni fra i turisti e le comunità basate su visite, incontri, narrazioni, esperienze. All’Associazione Italiana Turismo Responsabile aderiscono cooperative che gestiscono a fini turistici beni confiscati, realtà impegnate nell’educazione ambientale, cooperative di comunità, cooperative sociali in cui lavorano persone con disabilità.
Uno dei passaggi chiave per rendere il turismo più sostenibile, soprattutto dal punto di vista sociale, è la destagionalizzazione. A che punto siamo? Ritieni che ci siano altri fronti su cui impegnarsi per abbassare l’impatto del comparto turistico?
La destagionalizzazione è da sempre un obiettivo nelle politiche turistiche; favorisce la stabilizzazione dei rapporti di lavoro e può incidere positivamente sui flussi turistici. Tuttavia non è facile da raggiungere, incidono aspetti climatici di grande peso che riguardano ad esempio la balneazione o l’escursionismo in montagna. Anche l’organizzazione del lavoro ha il suo peso, con la chiusura in agosto di tante attività industriali. Per ridurre l’impatto turistico si possono adottare anche altre azioni di mitigazione, come la promozione turistica mirata, la pratica delle prenotazioni delle visite ai beni culturali, la distribuzione razionale degli eventi di interesse turistico nel calendario annuo, la realizzazione di attrattori in aree periferiche delle città d’arte.
Inoltre bisogna agire anche sul versante dell’adattamento, con azioni che favoriscano il comportamento corretto e rispettoso dei turisti e con la destinazione delle risorse generate dall’imposta di soggiorno verso interventi che vadano a vantaggio sia dei residenti che dei turisti, come l’arredo urbano, il verde pubblico, il trasporto locale, le piste ciclabili, gli impianti sportivi, la vita cultuale, il superamento delle barriere architettoniche; gli abitanti si renderanno conto che i disagi provocati dal turismo sono compensati da vantaggi per la qualità della loro vita che derivano dal turismo. Fermare la crescita del turismo non è possibile e non sarebbe neppure giusto; si possono orientare le scelte delle destinazioni e dei periodi, ma non obbligarle.
Qual è la sensibilità da parte dell’utenza rispetto a questi nuovi modi di viaggiare?
La sensibilità sta crescendo sia pure non in forme univoche e omogenee. In alcuni paesi è più forte e in altri meno, i giovani sono più attenti, grazie alla loro maggiore preoccupazione per le tematiche ambientali. Percepiamo apprezzamento e condivisione da parte degli ospiti delle strutture ricettive quando si accorgono dell’adozione di buone pratiche di sostenibilità che riguardano la gestione delle risorse idriche e dell’energia o la raccolta dei rifiuti.
Le attività di AITR spesso esulano dal turismo in senso stretto e vanno verso sensibilizzazione, comunicazione, lobbying, inclusione sociale e così via. Come mai questa scelta?
Il turismo dialoga con tanti altri ambiti economici e sociali, è fortemente interconnesso: cultura, ambiente, trasporti, sport, educazione scolastica, salute, fede religiosa, agricoltura, artigianato artistico, commercio, migrazioni fino alle relazioni internazionali e alla cooperazione allo sviluppo e pertanto deve occuparsi di tanti temi che non sono strettamente turistici. Si pensi all’accessibilità per persone con disabilità, allo sviluppo delle aree interne per frenare fenomeni di emigrazione e di spopolamento, al problema delle affittanze turistiche con i loro spesso pesanti effetti sulla vita nelle città.
Il mondo del turismo – e penso soprattutto agli operatori e ai soggetti che fanno parte del grande indotto di questo settore – è pronto per diventare davvero responsabile?
Sì e no. Il turismo responsabile non esisteva neppure come termine quando ci siamo costituiti, 26 anni fa. Oggi, assieme a sostenibile, il termine responsabile appare nei documenti delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, nei Masterplan per lo sviluppo turistico degli stati di tutto il mondo. Sono termini acquisiti in letteratura e nelle normative, sono richiamati nelle condizioni per rilasciare licenze e concedere finanziamenti. Però siamo di fronte a un processo lungo, in cui le amministrazioni locali a volte procedono con fatica e l’industria turistica, spesso costituita da imprese che gestiscono strutture vecchie e in affitto, ha difficoltà ad adattarsi.
Spesso il turismo sostenibile e responsabile è proclamato ma non effettivamente praticato e ci troviamo di fronte a forme di green washing in cui si finge di aver scelto la sostenibilità per pure ragioni opportunistiche. L’Associazione Italiana Turismo Responsabile oggi è impegnata non solo sul versante della promozione dei principi del turismo responsabile, ma anche su quello della sua difesa.
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