Terranostra: l’esperienza di autogestione che ha portato alla rinascita di uno spazio verde abbandonato
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Campania - Uno spazio verde in una periferia soffocata dal cemento è diventato il simbolo della resistenza di cittadini e cittadine contro l’abbandono del territorio da parte delle istituzioni: questa è l’esperienza di Terranostra, nata dall’azione di uomini e donne determinati a riappropriarsi di uno spazio della loro città lascato all’incuria e alla speculazione.
TERRANOSTRA: UN POLMONE VERDE RISCATTATO DALLA CITTADINANZA ATTIVA
Siamo a Casoria, nella periferia nord di Napoli. L’ex deposito dell’aeronautica militare era abbandonato da anni e usato come discarica illecita dal Comune, quando il 9 luglio 2015 un gruppo composto da collettivi locali, attivisti e singoli individui decise di ri-appropriarsene, gremendolo di vita. I cancelli di Terranostra si aprirono per la prima volta al quartiere e alla città e quello spazio verde divenne un luogo di aggregazione sociale e culturale.
L’importanza di uno spazio simile a Casoria, uno dei Comuni più cementificati d’Europa, è facile da comprendere. Terranostra era una boccata d’aria fresca per i residenti, un luogo verde dove poter trascorrere del tempo in compagnia, dove i più giovani avevano spazio per giocare all’aria aperta, dove era possibile trovare cura alla solitudine o riparo dal caldo estivo. Non è un caso che sia stato scelto il nome “Terranostra” per quel luogo che è non ha mai voluto appartenere a un singolo gruppo di persone, ma che è stato recuperato con l’aspirazione di diventare uno spazio condiviso, dove chiunque potesse dare il proprio contributo in assemblea.
SETTE ANNI DI LIBERAZIONE DI TERRANOSTRA
Questo spazio liberato è stato gestito in autonomia per sette anni da molteplici gruppi e persone, anche molto diverse tra loro per età e interessi, unite però dalla volontà di rendere Terranostra un bene comune. C’era chi coltivava gli orti urbani, frutteti e pioppeti curati in collettività, chi ballava l’hip hop, chi le danze popolari e ogni 24 giugno, durante la notte di San Giovanni, si organizzava una festa. Terranostra aveva anche una cucina collettiva ad accompagnare tutti i momenti di convivialità e condivisione.
Tutto questo è stato ottenuto non senza fatica: in quei sette anni ci sono stati sgomberi, problemi legati alla mancanza di acqua e luce e allo smaltimento dei rifiuti. Le donne e gli uomini di Terranostra hanno lottato per ottenere il riconoscimento del diritto di uso civico e collettivo, presentando molte volte, nel corso degli anni, le loro proposte. Si cercava un dialogo con le amministrazioni che si è riusciti a ottenere anche grazie all’interazione con il dipartimento di architettura dell’Università Federico II.
IL RICONOSCIMENTO DI USO CIVICO E COLLETTIVO
La tenacia e la resistenza della comunità di Terranostra hanno fatto in modo che Casoria diventasse il secondo Comune d’Italia ad avere all’interno del proprio regolamento il riconoscimento di uso civico e collettivo, un passo importantissimo per un modello di gestione che supera la privatizzazione e che promuove l’inclusività e la partecipazione attiva dei cittadini.
Ottenendo legittimazione sul territorio, lo spazio occupato da Terranostra è diventato parte integrante del piano urbanistico locale; il comune di Casoria ha infatti ricevuto fondi del PICS, il piano integrato città sostenibili, che ha deciso di investire per bonificare l’area e creare un parco pubblico.
Con l’inizio dei lavori la comunità ha dovuto lasciare quella terra che aveva curato per sette anni e lo ha fatto con molto dolore. Sebbene fosse felice dell’arrivo di fondi che avrebbero permesso di migliorare quel luogo che tanto amavano, la gioia si è presto mescolata a un forte sentimento di perdita: dover abbandonare Terranostra, che per sette anni era stata per la comunità di Casoria una seconda casa, un luogo di cura e benessere, è stato un colpo pesante da incassare.
Quando sono dovuti andar via dalla terra, la comunità ha provato a restare unita, poiché ormai l’esperienza era radicata sul territorio e si erano creati forti legami tra le persone che l’avevano vissuta con tanta intensità. Senza terra e senza luogo di aggregazione, il sodalizio rischiava di sciogliersi, così si è deciso di trovare un piccolo spazio nel centro di Casoria dove poter continuare a creare occasioni di confronto, di scambio e di socialità.
A Senza Terra – questo il nuovo nome – continuano i corsi di danza, i laboratori e gli spazi di discussione. L’ultimo evento organizzato è stato Albe Ribelli, una serie di incontri finalizzati a sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza della tutela del verde urbano. Insomma, la determinazione a mantenere vivo lo spirito di Terranostra è rimasta intatta e la voglia di tornare a gestire lo spazio in collettività è ancora fortissima. La speranza è che i cancelli riapriranno entro quest’estate e che finalmente la terra tornerà ad animarsi di attività culturali e sociali.
UN MODELLO REPLICABILE
Molti laboratori di Senza Terra mirano proprio a formare la cittadinanza su cosa siano i beni comuni e sull’uso civico e collettivo, perché quello di Terranostra rappresenta un modello di gestione dal basso che potrebbe essere replicato in altre parti della città, permettendo di superare molti ostacoli che la gestione pubblica da sola non riesce ad abbattere. Ancora più che l’assegnazione di una terra, alla comunità di Terranostra interessava far riconoscere il diritto delle persone ad autogestire alcuni luoghi della città.
Perché il riconoscimento del diritto di uso civico e collettivo apre la strada a nuove forme di gestione partecipata, rendendo le persone protagoniste attive degli spazi della loro città, del loro futuro e delle loro vite. Anche solo essere responsabili di uno spazio piccolo come può essere quello di una terra o di un giardino può significare molto. E questo è l’esempio che l’esperienza di Terranostra vorrebbe diffondere non solo nella città di Napoli, ma in tutta Italia.
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