18 Giu 2024

Terra di Resilienza e la “crescita endogena del Mezzogiorno dei paesi”

"Comprare il pane è un atto sociale e politico". Questa affermazione riassume ottimamente la filosofia di Terra di Resilienza, un progetto colturale e culturale nato ormai più di dieci anni fa che porta avanti diversi filoni, ugualmente importanti e intrecciati fra loro, dall'agricoltura sociale per riabilitazione di persone con dipendenze alla diffusione dell'agroecologia, fino a iniziative legate all'economia solidale e alla filiera corta.

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Salerno, Campania - Terra di resilienza nasce nell’estate 2012, il 13 giugno – festa di Sant’Antonio di Padova protettore dei viaggiatori e delle donne in gravidanza – a Morigerati, nella provincia di Salerno, all’interno della cornice del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. Tutto è partito dall’idea comune di quattro giovani: Claudia Matidieri, Antonio Pellegrino, Dario Marino e Marianna Barese.

Con noi oggi c’è Antonio, il quale con estrema minuziosità ci ha raccontato tutte le conquiste della cooperativa: «La nostra cooperativa, a partire dall’anno successivo alla fondazione, ha collaborato con il distretto sanitario di Sapri per la riabilitazione di persone soggette a dipendenza da alcol e droga; dal 2017 – anno in cui abbiamo aperto il nostro Mulino, il Monte frumentario – ci dedichiamo quasi completamente all’agricoltura della nostra terra.

Quando ha aperto il mulino – progetto finanziato per metà dalla Chiesa Valdese – ha avuto inizio un’azione che facesse leva sul piano di “impresa con le proprie forze” e quindi «abbiamo tutti ricominciato a mangiare il proprio pane», ricorda Antonio. «Abbiamo cominciato a ricostituire un sistema di valore legato ai processi agro-ecologici senza l’utilizzo della chimica di sintesi, lavorando quindi su sistemi biologici». Si son sviluppati – dal processo di molitura, sino alla consumazione del pane – reti di persone che usano e mangiano le loro farine, non solo nel Cilento, ma in tutta la provincia di Salerno  – ricordiamo la loro collaborazione con Il forno di Vincenzo.

terra di resilienza
LE DIFFICOLTÀ DI TERRA DI RESILIENZA

«Ciò che più ci duole evidenziare è la precarietà strutturale. L’ apertura del nostro mulino è stata una scommessa essendo dovuti rimanere in affitto: la difficoltà maggiore è stata quindi quella di non avere una misura strutturata, ma doverla strutturare alla buona. In questi anni c’è sempre un maggiore valore sul piano della comunicazione, dello story-telling, dell’importanza della dieta mediterranea, ma ciò che spesso viene meno è l’azione: inutile riempirsi la bocca di tante belle parole e poi non comprare pane dal produttore locale».

Perché «comprare il pane è un atto sociale e politico», sottolinea il socio fondatore di Terra di Resilienza – «Comprare il nostro pane è investire nella nostra terra; è andare oltre la nostalgia del passato, è credere nella cultura mediterranea e dell’appennino. Il nostro pane non è solo pane, è storia. Sviluppare socialità significa nutrirsi in una logica di prossimità: investiamo nella tecnologia ma non mangiamo più il nostro pane e non beviamo più la nostra acqua?».

Quando faber e sapiens rinascono in un unico corpo, terra e silicio parlano la stessa lingua e le persone diventano la cosa più bella di un paesaggio

I progetti per il futuro prossimo son molteplici, ma a causa della lentezza della burocrazia sono in una fase uterina e da buoni scaramantici quali siamo e sono, ci limitiamo ad augurare loro buona fortuna, con la promessa di riaggiornarci per comunicare le novità al riguardo anche a voi lettori che seguite con amore queste storie di riscatto e passione.

«Non credo che bisognerebbe ragionare da imprese separate dal contesto sociale o dal contesto politico», aggiunge Antonio. «Io sono convinto che tutti esercitiamo una forma di produzione della realtà, quindi occorre un’idea di protagonismo collettivo. Se vogliamo evitare un disastro antropologico bisogna ragionare non in veste economica, ma in veste sociale».

IL MONTE FRUMENTARIO E LA BIBLIOTECA DEL GRANO

«Nel contatto con la modernità, le economie culturali sedentate nei millenni dell’appennino sono state cancellate perché non avevano una relazione economica. Il capitalismo chiaramente ha imposto una relazione economica e quindi ha cancellato le economie delle persistenze. La modernità intesa come consumo, sfrenato e capitalistico, non sviluppa un’idea di mondo in armonia con i popoli e con la natura».

terra di resilienza

Ed è qui che la cooperativa Terra di resilienza si insedia: progetti, laboratori e seminari anche con le scuole, che nella Biblioteca del grano. Il processo, seppur lungo e ricco di sacrifici e rinunce, ha radici sempre più forti e la sua dinamica segue e deve seguire il corso dei tempi. «Il mondo è troppo eraclideo, ma noi non demordiamo. Noi crediamo e abbiamo fiducia… Abbiamo scelto di portare i nostri corpi nella storia. La nostra biblioteca è la risposta al massacro antropologico: abbiamo recuperato 150 tipi di grano, siamo la 17esima biblioteca del grano più fornita a livello nazionale. Il tutto senza mai una sovvenzione».

Le attività di recupero delle antiche sementi sono iniziate nel 2008 e sono state coordinate dall’associazione Terra Madre e l’obiettivo è quello di riproporre il gusto e la sostanza dei grani antichi così da aprire le porte a un «percorso produttivo nell’etica del buono, pulito e giusto». I principi e gli obiettivi della Cooperativa Terra di resilienza sono contenuti anche nella Magna Carta della ruralità contemporanea: ethos collettivo, esaltazione delle diversità e riguardo della comunità: «Quando faber e sapiens rinascono in un unico corpo, terra e silicio parlano la stessa lingua e le persone diventano la cosa più bella di un paesaggio», conclude Antonio. Un documento “attraverso il quale riconoscersi, approfondire e praticare.”

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