Aforas: “Parlare di servitù militari sostenibili è greenwashing, come può essere green la guerra?”
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“Parlare di esercitazioni militari green sembrerebbe una barzelletta, se non fosse umiliante pensare a decenni in cui l’esercito ha creato un disastro ambientale facendo esplodere ogni genere di bombe e munizioni, anche contenenti materiali radioattivi e cancerogeni come il torio. Non si può parlare seriamente di esercitazioni a fuoco rispettose dell’ambiente”. Ancora una volta la presidente della Regione Sardegna Alessandra Todde sottolinea la volontà politica di rendere sostenibili le servitù militari presenti nell’Isola e ancora una volta Aforas non ci sta.
«Dobbiamo raggiungere un equilibrio – ha dichiarato Todde in occasione della commemorazione ai caduti di Nassirya –, ci sono dei tavoli aperti e noi abbiamo intenzione come Regione di far valere le nostre prerogative e di fare in modo che ci possa essere un rapporto sempre più equilibrato, riprendendoci i territori dove possibile e facendo in modo che le attività possano essere sempre più sostenibili, per la nostra economia e soprattutto per il nostro ambiente».
Non è la prima volta che Todde ne parla – aveva già accennato al tema in campagna elettorale – e anche stavolta in risposta si sollevano critiche contrarie alla proposta e all’approccio alle servitù. Perché per voi è una “barzelletta”?
Parlare di servitù militari green è un ossimoro, come può esserci una bomba sostenibile per l’ambiente se lo scopo delle bombe è distruggere, devastare e uccidere? Fare un discorso del genere prescindendo dal fatto che ci sono luoghi dichiarati imbonificabli o che le esercitazioni si svolgono in zone SIC [Siti di Interesse Comunitario ndr] o senza valutazione di incidenza ambientale è assurdo: si sta ignorando volontariamente lo stato delle cose, con poligoni inquinati, devastati da metalli pesanti che sono un pericolo per qualunque essere vivente transiti nella zona.
Siamo curiosi di sapere anche cosa si intenda con servitù militari e attività più sostenibili. Forse che dipingono il muro della base di verde? La guerra come scopo ha tutto fuorché la sostenibilità, dove c’è industria della guerra non può esserci rispetto dell’ambiente. Si tratta di greenwashing, anche perché continua a non essere spiegato come la sostenibilità possa essere praticabile. Si rivela l’ennesima conferma dell’alleanza tra governo regionale e comparto militare, un’unione consacrata anche da termini eco-friendly ma senza concretezza.
All’interno dei 7.425 ettari del poligono di Teulada (il quale include anche due aree che sarebbero sotto tutela ambientale, Isola Rossa – Capo Teulada e Promontorio – zona umida di Porto Pino) c’è la Penisola Delta, tra i casi più eclatanti di inquinamento legato alla presenza delle servitù militari, perché dichiarata per anni imbonificabile dato il livello di utilizzo e incuria per esercitazioni di eserciti da tutto il mondo. C’è poi il tema, affrontato anche di recente, delle esercitazioni che avvengono senza Valutazione di Incidenza Ambientale. Il concetto di sostenibilità applicato a queste situazioni è dissonante.
Sì, come Aforas promuoviamo nuovamente il ricorso al TAR, chiamato a esprimersi sulle esercitazioni nei poligoni militari di Capo Teulada e di Capo Frasca in assenza di valutazione di incidenza ambientale. Anche qua si sta chiedendo il minimo, la valutazione è richiesta sempre [le procedure utili a minimizzarne gli impatti e introdurre misure di compensazione ambientale sono indicate anche dal codice dell’ordinamento militare, ndr] eppure le esercitazioni vanno avanti, a discapito dell’ambiente. Ricordiamo anche che ci sono cinque generali a processo per la devastazione ambientale della penisola Delta. Come si può parlare di “equilibrio” in questa situazione?
Parlare di armonia senza mai fare cenno alla situazione reale delle servitù militari, ribadendo alleanze e portando avanti tentativi di greenwashing dimostra il fatto che non è l’ambiente, sono le esercitazioni militari la prerogativa. Non si smantella, non si bonifica ma si cerca equilibrio: questa che è subordinazione all’industria di guerra.
Aide Esu nel libro Violare gli spazi, militarizzazioni in tempo di pace e resistenza locale scrive in merito alle servitù militari che “ciò che è stato rappresentato come una vantaggiosa crescita economica e sociale per le aree marginali rivela una realtà di nodi e di dipendenze che si palesano come fonte di pericolo per il benessere delle persone e per l’ambiente, causando costi non sostenibili e non accettabili”. Si può parlare di sostenibilità per le persone che abitano attorno alle basi?
Non può esserci sostenibilità. La guerra serve per uccidere ed è inevitabile che chi vive in attorno alle basi dove si fanno esercitazioni di guerra stia male; anche per questo è assurdo parlare di servitù militari green. Il discorso dovrebbe comprendere anche il preoccuparsi del fatto che stanno venendo smantellate le strutture ospedaliere nei territori in cui sono presenti le basi, che sostenibilità è se ho un tumore e non posso neanche curarmi? La Regione dovrebbe ribadire volontà di alleanza coi medici, con chi vive patologie legate alle conseguenze della vicinanza alle basi, con i comitati per le vittime da uranio impoverito, invece va dal carnefice a stabilire che cosa fare nel territorio.
Il comparto militare non è ecologista: sono militari e sono funzionali a un sistema di guerra, che ruolo hanno con il green? Perché non dialogare con chi può davvero portare avanti una riconversione a favore dell’ambiente e di chi le abita? Che ci levino le basi è veramente il minimo: le abbiamo dagli anni 50, dopo tutti i tumori, le aree inquinate, i disagi dati dalle esercitazioni, sarebbe il minimo. Lo ripetiamo: in questa situazione parlare di equilibrio, di capire come riprendere i territori “dove possibile”, è un’operazione di greenwashing nonché conferma della stessa subordinazione che da anni impatta e distrugge l’ambiente sardo.
Ricordiamo poi che l’industria militare assorbe altre possibilità di sviluppo: in un posto dove c’è la guerra che possibilità ho di avere un’impresa agricola se il terreno è inquinato? Sono luoghi che campano arrancando di guerra e la verità è che coincidono anche con le aree più povere: pensiamo al Sud Sardegna, provincia tra le più povere di Europa, con la peggior qualità della vita per i giovani di tutto il territorio italiano; la parte a sud dell’Isola è anche quella che ha i poligoni più grandi d’Europa, la più militarizzata. Fossero davvero fonte di ricchezza come si dice, non avremmo avuto tutta questa devastazione ambientale, economica e sociale.
Ritornando alle parole di Aide Esu, qual è il costo pagato dall’ambiente?
Stabilirlo è difficile, le aree all’interno delle servitù militari non sono accessibili quindi è anche difficile comprendere il livello di inquinamento. Tutto è coperto da segreto militare, noi sappiamo i casi eclatanti ma valutare quanto il territorio è compromesso è complesso. Ci chiediamo infatti anche come possano fare esercitazioni green se neanche si sa effettivamente qual è l’impatto. Il costo, oltre all’inquinamento, è anche l’occupazione del suolo: solo a Cagliari ci sono sette colli e tutti al loro interno hanno un demanio militare.
Il 65% delle servitù militari le abbiamo noi, sono trentamila ettari di territorio impegnati dal demanio militare e 80 chilometri di coste inaccessibili. Tra l’altro con tutto questo spazio interdetto non è facile collegare la Sardegna: quando ci sono le esercitazioni siamo circondati da una guerra simulata che si verifica intorno a noi. Che sviluppo possiamo avere? Come può anche l’ambiente non pagare caro i costi dell’occupazione militare?
In questa situazione di servitù un futuro è possibile?
L’unica soluzione è bonificare i territori e non farci più la guerra, anche perché guerra, sostenibilità e ambiente non stanno bene nella stessa frase. Ancora prima sarebbe necessario capire quanto grande è il danno di questi decenni di esercitazioni militari in Sardegna: questi discorsi “green” valgono zero se poi l’inquinamento e l’impatto ambientale vengono nascosti sotto la sabbia. Il futuro qua è possibile solo se togliamo le basi.
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