“Gli italiani festeggiano la loro Repubblica, i sardi aspettano di averne una”
Seguici su:
“Gli italiani festeggiano la loro Repubblica, i sardi aspettano di averne una”. Sul filo di questa giovanile ma precisa iperbole iniziammo, da studenti universitari a Roma, il nostro impegno indipendentista. Questo è infatti l’incipit di un comunicato del 2 giugno 2000 del collettivo Su Cuncordu pro s’Indipendèntzia de sa Sardigna, il primo sito internet dell’indipendentismo moderno che poi mettemmo a disposizione della fondazione di iRS.
Quelle parole contengono in nuce i concetti fondanti della proposta politica degli anni successivi in termini di prassi e di progetto: non abbiamo mai pensato di mettere in discussione i diritti altrui, in questo caso la grande conquista democratica degli italiani, e abbiamo sempre scelto di non fermarci in modo deresponsabilizzante alla protesta optando per la proposta, in questo caso l’idea di una repubblica di Sardegna.
Tutto ciò sembrava e sembra ai più una follia, un’idea fuori dal tempo, un concetto astratto sganciato dalla realtà. Ma per chi ha scelto di affermare il diritto all’autodeterminazione, la repùblica sardisca di giudicale memoria è una meta a lungo periodo da costruire giorno per giorno nell’oggi. Qualcosa di tangibile oltre che legittimo, da far vivere con le proprie scelte personali di vita; qualcosa che dà una progettualità al proprio vivere sull’Isola o che dà senso alla lontananza del disterru degli espatriati: ci sono un Paese da immaginare, una nazione da far vivere, una repubblica da costruire.
UNA COMUNITÀ NAZIONALE SARDA
Una comprensibile dinamica della Storia fa sì che con il passare dei decenni l’entusiasmo popolare legato alla nascita di nuove repubbliche o alla liberazione da regimi dittatoriali vada scemando fino ad all’indifferenza e al drastico calo della partecipazione alla vita politica: progetti collettivi di rinascita e speranze di rinnovamento perdono forza propulsiva perché lo scorrere del tempo offusca gli obiettivi ideali più alti lasciando spazio a mere dinamiche amministrative.
Gli indipendentisti sardi del nuovo millennio hanno come obiettivo ideale e irrinunciabile la creazione di una repubblica di Sardegna, vista non come un passaggio burocratico in uscita dal sistema politico italiano ma come un punto di svolta qualitativo a garanzia dell’esistenza stessa della nostra comunità nazionale in termini sociali, economici, culturali e morali. A favore di una presa di coscienza del ruolo del nostro popolo nella Storia, nel presente e nei rapporti di interdipendenza futuri con tutti gli altri popoli.
SUL VOTO DEI SARDI PER LA REPUBBLICA
La Repubblica Italiana nasce dal referendum del 2 giugno 1946, in occasione del quale per la prima volta ebbero diritto di voto anche le donne. A tal proposito ricordiamo che in Italia fino al 1968 vigerà l’articolo del Codice Penale che prevede la punizione del solo adulterio femminile e che solamente nel 1981 saranno abrogate tutte le disposizioni sul delitto d’onore. Per contro nella Sardegna giudicale, sin dal 1200 governavano donne come Elena di Gallura, Benedetta di Cagliari, Adelasia di Torres ed Eleonora d’Arborea, promulgando Costituzioni come la Carta de Logu, riconosciute a livello internazionale come avanguardie mondiali in termini di pene per stupratori e violenti nonché di diritti sociali, in particolare delle donne e dei bambini.
Nonostante le corresponsabilità di Casa Savoia nell’ascesa del fascismo, nell’entrata in guerra, nell’alleanza con il nazismo e nelle leggi razziali e nonostante la tardiva presa di distanza dalla dittatura, solo poco più del 54% degli italiani votò per la Repubblica. Mentre in Sardegna la monarchia vinse sfiorando il 61%, evidenziando sia una notevole refrattarietà dei sardi all’innovazione istituzionale sia una totale mancanza di memoria storica rispetto ai feroci crimini perpetrati dai regnanti nei confronti del popolo sardo durante la conquista del potere nell’Isola e rispetto alla crudele e violenta soppressione di quei coraggiosi sardi, uno per tutti Frantziscu Cilocco, che hanno lottato per la libertà e l’uguaglianza durante il regno savoiardo.
Gli indipendentisti sardi rifiutano da sempre la difesa aprioristica di tutte le azioni, le decisioni e le abitudini del proprio popolo e dei suoi leader, anzi il loro progetto repubblicano affonda le sue radici in una profonda e critica autoanalisi. La stessa già citata Eleonora d’Arborea motivava da capo di Stato la revisione della Carta costituzionale con la necessità di un aggiornamento di quanto previsto dal documento emanato dal padre appena 16 anni prima, per meglio adattarsi alle necessità dei tempi e per favorire “il bene della repùblica sardisca”.
E quindi quali sono le motivazioni che portano alcuni sardi a sostenere e proporre la prospettiva di una Repubblica di Sardegna? In quali termini la Repubblica Italiana che si celebra il due giugno non riesce, non vuole e non può garantire un futuro dignitoso e pieno ai cittadini sardi? Perché neanche il riconoscimento costituzionale della specialità regionale della Sardegna può farlo?
SULLA REPRESSIONE CULTURALE E LINGUISTICA
La Storia ci insegna oggettivamente che il rapporto tra entità statuali italiche-italiane e nazione sarda è sempre stato strutturalmente coloniale. Allo sfruttamento economico delle risorse e della manodopera si è inoltre sempre affiancata la necessità di una più o meno esplicita repressione culturale e linguistica tesa a quella che potremmo tranquillamente definire come denazionalizzazione acculturante di una terra con storia e cultura evidentemente diverse ed eterodosse rispetto allo standard di italianità. Una sorte peraltro condivisa da molti altri territori mediterranei.
Pensiamo alle varie fasi dell’Impero Romano, costate a Roma secoli di spedizioni militari e alla Sardegna centinaia di migliaia di morti; pensiamo alla Sardegna medievale, che ha conosciuto secoli di indipendenza ma ha subito la repressione religiosa e culturale del papato che mal digeriva gli adoratori di pali e di pietre; pensiamo al periodo della già citata conquista sabauda, costellata di stragi, impiccagioni, torture, depredazioni e repressioni.
La Repubblica Italiana, intenzionalmente o per ancor più pericolose e subdole dinamiche inerziali, raccoglie, interpreta e agisce nei nostri confronti, sin dalla sua fondazione, una costante opera di italianizzazione e di desardizzazione. Ma se da un lato lo fa in modo eclatante e violento occupando enormi porzioni di territorio per attività belliche o per lo sfruttamento dell’energia, d’altro lato lo fa con metodi diversi rispetto ai colonialismi più evidenti di altri Stati confinanti. Lo fa senza il clamore di una repressione esplicita e senza la teorizzazione culturale e legalmente codificata di una superiorità italiana. Ma lo fa anche grazie alla corresponsabilità della classe dirigente sarda che milita e gestisce il potere per conto dei partiti italiani.
DIRITTO DI UN POPOLO
La Repubblica Italiana riconosce le minoranze linguistiche ma non prevede materie curricolari bilingui, relegando l’apprendimento del Sardo agli àmbiti volontaristico e familiare, privando così la lingua madre dei sardi di utilità sociale. Non consente l’insegnamento della storia sarda, potentissimo elemento di autocoscienza individuale e collettiva, consentendo invece l’adozione di libri di testo scolastici che parlano ad esempio dei “re-pastori nuragici” e di altre simili amenità.
In sintesi il nodo da sciogliere nella dicotomia tra la realtà della Repubblica Italiana e la prospettiva della Repùblica de Sardigna è quello degli interessi ispiratori di fondo: la prima nasce per tutelare a tutto tondo quelli della comunità nazionale italiana, la seconda – oltre a essere un diritto inalienabile del quale tutti i popoli del mondo devono poter disporre – è l’unica risposta sensata all’inevitabile egocentrismo degli Stati-nazione ottocenteschi rispetto alle nazioni senza Stato. Tanto più in un contesto continentale nel quale sarebbe auspicabile riuscire a superare il modello di potere intergovernativo per conferire reale potere a un Parlamento europeo che sia espressione dei territori.
Per commentare gli articoli abbonati a Italia che Cambia oppure accedi, se hai già sottoscritto un abbonamento