28 Giu 2024

Patti Digitali: la comunità si unisce per aiutare genitori e figli a rapportarsi con la tecnologia

Scritto da: Susanna Piccin

Una delle paure più grandi dei genitori di oggi è quella che i loro figli e le loro figlie non riescano a trovare il giusto equilibrio nel rapportarsi con la tecnologia, davvero pervasiva nella vita di oggi. Per aiutare le famiglie – e non solo – a trovare tale equilibrio sono nati i Patti Digitali di comunità, ormai diffusi in molte città italiane. Vediamo in particolare il caso di Ponte nelle Alpi, in Veneto.

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Belluno, Veneto - Alzate la mano se leggendo le parole “Omnitel Christmas Card” vi salgono alla mente immagini della vostra gioventù. Io ricordo perfettamente la corsa a comprare la schedina che, negli anni ‘90, mi permetteva di mandare 100 sms gratuiti alle amiche nel periodo di Natale. Innumerevoli messaggi, scritti tuttiappiccicati per risparmiare spazio e finire il più tardi possibile la quota cento. Fiumi di parole, fiumi di tempo passati ad aspettare risposte attaccata al mio nokia 3310, occasioni di socializzazione, rinforzo di legami fondamentali per la me ragazza di quell’epoca.

Fin dall’inizio il cellulare è stato una rivoluzione per le relazioni sociali, uno spazio e una modalità nuova di interagire, di accorciare – o creare – distanze e di relazionarci con la parola scritta. Come quasi tutto nell’ultimo secolo, è stato molto veloce anche il passaggio a un uso spropositato di cellulare e internet. Tanto veloce che rendersi conto delle problematiche connesse è ancora oggetto di studio e le terminologie mediche e sociologiche si aggiornano di anno in anno. Cyberbullismo, vamping, sexting, grooming… sono solo alcune delle parole che definiscono pericoli e dipendenze legate ai social media e al web in generale.

patti digitali 1

Quella ragazzina che aspettava la Christmas Card adesso si ritrova a essere madre di figli ancora piccoli che stanno crescendo con la presenza quotidiana e scontata di cellulari, tablet, consolle di gioco, Alexa e in generale fonti di accesso al digitale. I 100 sms suonano giurassici e, da madre, mi domando costantemente quale sia l’educazione corretta che posso dare ai miei bambini per insegnare loro a usare uno strumento e a non esserne usati. 

Da tempo ho capito che il detto “c’è bisogno di un villaggio per crescere un bambino”, significa “c’è bisogno di un villaggio per crescere come genitori”. I Patti Digitali di cui vi parlo oggi sono esattamente questo: una comunità che si crea, si confronta e si supporta per un utilizzo sano della tecnologia e un’educazione al digitale, partendo da se stessi per arrivare ai propri figli.

La Rete dei Patti Digitali riunisce il Centro di Ricerca Benessere Digitale dell’Università di Milano-Bicocca e tre associazioni attive nel campo dell’educazione consapevole all’uso dei media – Mec, Aiart Milano e Sloworking. Lo scopo è promuovere la nascita e lo sviluppo di Patti di comunità per l’uso della tecnologia su tutto il territorio nazionale e favorire l’incontro tra genitori, insegnanti e le molte altre figure educative con cui un/a ragazzo/a si trova a contatto in modo che possano individuare insieme poche semplici regole su cui sia possibile trovare un accordo, a cominciare dall’età giusta per avere uno smartphone.

Al momento i Patti digitali sono diffusi in 14 Regioni: ci sono circa 70 Patti Digitali già formalizzati e una ventina sono in via di formalizzazione a breve, il che significa migliaia di genitori coinvolti e famiglie interessate. Ho intervistato due dei fondatori di Famiglie in Connessione di Ponte nelle Alpi (BL), uno dei primi gruppi a firmare un Patto Digitale: ero curiosa di capire meglio come nasce concretamente in un territorio un gruppo di questo genere. 

Patti Digitali

Alex Fagro ed Elisa David mi raccontano che, durante il Covid, la scuola dei loro figli aveva organizzato degli eventi formativi per genitori alle prese con la DAD e tutto ciò che ne è derivato. Uno di questi interventi era di Marco Gui, professore associato e docente di Sociologia dei Media all’Università Bicocca e tra i principali promotori dei Patti digitali. 

Alex, che in quell’occasione sente per la prima volta parlare del progetto, manda messaggi a quattro amici che accolgono la proposta di trovarsi e ragionare sugli stimoli ricevuti dal professor Gui. Ognuno di loro ne parla con altri genitori sensibili al tema e alla fine nasce anche l’idea di provare ad organizzarsi per creare e firmare un vero e proprio Patto. 

Una quindicina di famiglie dunque si ritrova per qualche mese, si confronta e arriva a concordare quelli che sono gli obiettivi del loro Patto – li potete leggere qui – o almeno la prima versione, perché niente è scolpito nella pietra e tutto può essere ridiscusso se e quando le cose, dalla tecnologia alla comunità, cambiano. Il gruppo poi passa a strutturarsi un po’ di più: vengono creati dei volantini, degli eventi informativi, degli incontri con esperti, vengono coinvolti l’istituto comprensivo e il Comune. Ad oggi, dopo due anni, le famiglie che hanno aderito sono 60 che, per un paese come Ponte nelle Alpi, è un grande traguardo. 

I Patti Digitali sono esattamente questo: una comunità che si crea, si confronta e si supporta per un utilizzo sano della tecnologia e un’educazione al digitale

Ed è così che un Patto può essere davvero efficace, con la perseveranza e il coinvolgimento di più soggetti possibili, perché il Patto inizia dentro le mura di casa ma prosegue fuori, dove i ragazzi devono poter incontrare una coerenza almeno nella cerchia più stretta di amici. Ma di cosa parlano nel concreto questi patti? Lo spiega bene il professor Gui: «I presupposti dei Patti sono i “principi per un’educazione digitale di Comunità”, che riassumono le idee di base di questo tipo di percorsi». 

Il primo punto è “Sì alla tecnologia, ma nei tempi giusti”: chi aderisce ai Patti non è contro la tecnologia. Piuttosto l’idea è mettere in luce le fasi specifiche di sviluppo dei bambini e le pratiche adatte a queste diverse fasi. L’educazione ai media è fondamentale ma da sola non è sufficiente, soprattutto al di sotto di una certa età, quando non c’è la maturità necessaria per gestire processi complessi dal punto di vista emotivo e cognitivo, come ad esempio l’uso dei social. 

Il secondo principio è “Preparare l’autonomia digitale”. L’attesa per l’arrivo dello smartphone è un periodo in cui acquisire competenze che poi saranno utili per l’utilizzo sano dello strumento.
Il terzo punta sulle regole, che devono essere chiare, condivise in un gruppo più ampio della singola famiglia, e accompagnate dal dialogo.
Il quarto punto riguarda il ruolo importante degli adulti, che devono essere informati e responsabili,
in modo da costituire un buon esempio da seguire; è fondamentale lo sviluppo di un’alleanza tra le figure educative. 

L’ultimo punto è “Serve una comunità”
e parte dalla considerazione che questo approccio improntato alla gradualità è molto difficile da realizzare per la singola famiglia: ci sono troppe pressioni esterne che puntano all’anticipazione e c’è anche il rischio, per il ragazzino o la ragazzina che si ritrova a non disporre di uno smartphone in un gruppo classe in cui tutto lo hanno, di innescare quella che
in gergo si chiama deprivazione relativa, il senso di essere tagliati fuori dalle possibilità comunicative
di cui gli altri dispongono. E’ quindi fondamentale
che un percorso del genere coinvolga una comunità.”

Oggi il gruppo di Ponte nelle Alpi continua la sua crescita e cerca di informare e coinvolgere una comunità sempre più ampia organizzando momenti di formazione, grigliate “disconnesse” e una bellissima iniziativa che si chiama “patentino per lo smartphone”: un percorso che si inserisce direttamente nel piano formativo del primo anno delle scuole medie in cui i ragazzi stessi ricevono una formazione anche da esperti esterni con l’obiettivo di renderli sempre più consapevoli dei pericoli e delle grandi potenzialità dello strumento smartphone.

Altra recente e importante tappa per questo gruppo è stata coinvolgere nel Patto tutte le associazioni sportive, culturali, sociali presenti sul territorio e aprire un dialogo con l’USSL e i pediatri della Provincia. Ho chiesto ad Elisa ed Alex di farmi entrare un po’ di più nelle loro vite per capire che regole ci sono in casa loro. Elisa ha tre figli di cui il più grande ha 12 anni. Il fatto di avere compagni di classe e di sport le cui famiglie aderiscono ai patti, ha reso più semplice il fatto di non avere ancora un cellulare proprio e di capire le motivazioni dei propri genitori.

Patti Digitali

In casa Elisa ha un telefono fisso, che suona vintage ma alla fine è un utile strumento di comunicazione non collegato a internet. Mentre si mangia non si guarda la TV nè il cellulare, così come in camera da letto. E la sera dopo cena gli schermi vengono usati pochissimo. Le regole valgono per adulti e bambini. Chiedo ad Alex di spiegarmi qual è la sua paura più grande legata all’uso del cellulare per i suoi figli, voglio capire cosa veramente l’ha mosso ad intraprendere questa avventura dei Patti Digitali. Di sicuro un genitore che si interroga riconosce i pericoli di uno smartphone, vivendoli anche in prima persona.

Alex mi conferma che di paure ce ne sono tante, dai contenuti non adatti all’età, alla condivisione di dati personali e la profilazione da parte dei social media. Ma sopra di tutto quello che lo spaventa è la tendenza – che può diventare abitudine – a non sviluppare un pensiero critico, a non “usare il cervello” in un’età in cui inizi a costruire il tuo senso di giusto e sbagliato e a dare profondità a questi concetti.

Come non capirti, caro Alex, in questa tua paura. Noi che guardiamo i nostri figli crescere con  necessaria fiducia nel futuro e in quelle meravigliose persone che potranno diventare, e costantemente atterriti dalla paura dei pericoli che noi stessi possiamo mettergli in mano. Meno male che, in un mondo che cambia, continuano a esserci dei villaggi in cui crescere.

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