La strada per Nuvoleto, l’alluvione in Romagna, la frana e la tenacia degli abitanti
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Cesena, Emilia-Romagna - «Me l’avessero detto, non ci avrei mai creduto», confessa Agnese Palazzi, ricercatrice dell’Università di Bologna, ripensando ai giorni seguiti all’alluvione che a maggio dell’anno scorso ha colpito gravemente la Romagna. Quella notte di pioggia battente si trovava a Cesena. Un evento estremo era stato preannunciato di lì a qualche ora, ma il tramonto della sera prima non lasciava presagire nulla. I suoi genitori invece erano a Nuvoleto, un piccolo borgo frazione di Mercato Saraceno, abitato da solo dieci famiglie.
Rimasto spopolato dal secondo dopoguerra, agli inizi degli anni Ottanta sette nuclei lo scelsero per costituire una piccola comunità laica ispirata al modello di don Giuseppe Dossetti, che oltre a essere stato un partigiano, un padre costituente della Repubblica e un importante esponente della sinistra democristiana, fondò una comunità monastica basata sul ritorno a una vita semplice. Insieme a due famiglie rimaste sulla collina da generazioni, i nuovi abitanti che dalla città si spostarono nel borgo recuperarono le case abbandonate e in parte diroccate, in nome di uno stile di vita fondato sulla condivisione e il contatto con la natura.
LA PIOGGIA PORTA VIA OGNI COSA
A Nuvoleto ci si conosce tutti. Ci si aiuta a vicenda come sempre meno accade tra chi abita in città. Quando in seguito all’alluvione l’unica strada che porta al borgo viene spezzata dalle frane e ostruita dagli alberi caduti, quel sogno di condivisione da cui Nuvoleto era rinata sembra infrangersi in un solo colpo. Secondo le stime, in poche ore 350 milioni di metri cubi di acqua si sono riversati violentemente su un’area di 800 chilometri quadrati tra l’estremità orientale delle colline bolognesi, alla zona di Ravenna fino al cesenate e al forlivese.
L’indomani di quella terribile notte del 17 maggio Marco, un abitante di Nuvoleto, si rende conto che il suo giardino è franato e che i trattori del vicino stanno per cadere giù dal versante. «In quel momento però ancora nessuno si era affacciato per a vedere la strada, erano tutti in casa», racconta Agnese. «Quando il proprietario dei trattori ha tentato di spostarli, ha dovuto percorrerla. È stato il primo a vedere quello che era successo». “Nuvoleto è finita. Non esiste più”, sono state le sue prime parole.
Dopo due giorni di pioggia incessante, arriva una tregua. Alcune delle famiglie del borgo hanno deciso di incamminarsi a piedi. I più anziani e una famiglia con un bimbo di appena otto mesi non hanno potuto fare altrettanto. «Non c’erano luce, né gas. C’era però un generatore, acquistato in condivisione – prosegue Agnese – a turno chi era rimasto in paese ha messo a caricare i telefoni e collegato i freezer. I miei genitori erano bloccati lì. Allora io e il mio compagno ci siamo incamminati per andarli a prendere, portando con noi un fornello da campo e dalla benzina».
Poco dopo giunge la telefonata della Protezione Civile per il recupero in elicottero delle persone rimaste e nel giro di poco tempo l’ordine di evacuazione per questioni di sicurezza. Per chi era rimasto bloccato a Nuvoleto era impossibile immaginare quanto fosse accaduto alla strada. «È stato molto difficile convincere i miei genitori a lasciare la propria casa. Convincerli che in quel momento fosse meglio andare via piuttosto che restare». Pochi si rendevano conto dell’enormità di quanto accaduto in un lasso di tempo così breve.
COSTRETTI AD ABBANDONARE TUTTO
«Dopo un po’ di negoziazioni, siamo riusciti a convincerli ad andar via insieme a tutti gli altri. In quel momento nessuno sapeva per quanto non sarebbe stato possibile rientrare. Insomma andare via, ma dove? L’incertezza di non saper cosa portarsi dietro, se lasciare da mangiare ai gatti e per quanti giorni, turbavano gli abitanti di Nuvoleto in fuga. Non era possibile trasportare tante cose viste le condizioni della strada. E piano piano ci siamo incamminati». Prima del loro ritorno a Nuvoleto, per circa due mesi, i genitori di Agnese sono rimasti a Ravenna dai nonni, dove era stato deciso di tagliare gli argini, allagare i campi e proteggere così la città.
Di quelle notti di pioggia incessante, c’è chi non può dimenticare il rumore delle frane. Un fragore che ricorda un crollo. Quello degli alberi, dei versanti delle colline. «Questo è un altro tema spesso trascurato», fa notare Agnese. «Come ci si sente di fronte al paesaggio in cui si è nati e cresciuti quando cambia in una maniera così violenta e irreversibile». Delle famiglie che un tempo abitavano Nuvoleto infatti, solo quattro su dieci hanno deciso di farvi ritorno dopo l’alluvione.
UNA STRADA PER NUVOLETO
Abbracciati dalla solidarietà di amici e volontari, gli abitanti di Nuvoleto si sono dati immediatamente da fare per restituire l’unico accesso al paese. Le frane hanno spezzato la strada in tre punti e dei tracciati di fortuna sono stati costruiti in corrispondenza di questi. Non sono asfaltati, ma ricoperti di ghiaia e polvere di marmo. Secondo le perizie geologiche, le frane hanno una prima fase di assestamento che dura all’incirca sei mesi dopo l’evento e una più lunga che può essere di cinque o sei anni. Il modo in cui si muoveranno le frane dipenderà dai cambiamenti geologici della Terra e da fattori esterni, come gli eventi climatici estremi.
«L’inverno è stato un banco di prova. Il Comune a settembre è intervenuto per fare dei primi lavori che dessero una maggiore tenuta in vista dei mesi invernali – prosegue Agnese –, ma il grande dilemma è tra la necessità di rendere percorribile la strada e l’attesa di capire come si muoveranno le frane senza investire troppi in fondi in questa fase di assestamento. Quindi spendere meno e il meglio possibile».
Da come si muoverà in particolare uno dei tratti della strada maggiormente danneggiati dalle frane, si capirà se il tracciato stradale potrà continuare a passare di lì o si dovrà trovare un altro percorso. «Nella migliore delle ipotesi, si è stimata una spesa di 300mila euro per rimettere a posto la strada. Nella peggiore invece, i costi ammonterebbero a una cifra fino a 3 milioni di euro». Il tema dei costi si è rivelato sin dall’inizio di estrema centralità. Quella per Nuvoleto infatti è una strada vicinale, i cui costi di manutenzione, secondo il codice della strada, vanno sostenuti per metà dai residenti e proprietari dei fondi agricoli circostanti e per il resto dall’ente pubblico di riferimento.
«Sembra che la struttura commissariale abbia stanziato una somma di 100mila euro di fondi pubblici – chiarisce Agnese –, ma questi soldi ad oggi non possono ancora essere spesi perché la strada continua a muoversi e nel frattempo per gli abitanti cambiano le esigenze personali e familiari. Nell’attesa di questa strada, il grande pericolo è che le persone se ne vadano come hanno già fatto alcuni di loro. Così abbiamo pensato di lanciare una raccolta fondi e creare un’associazione, Una strada per Nuvoleto».
La raccolta fondi ha ricevuto una grandissima risposta, «commuovente. Nessuno di noi si aspettava che questa storia sarebbe arrivata così lontana. Abbiamo scelto di creare un’associazione di promozione sociale che potesse gestire i fondi raccolti e anche darsi degli obiettivi più a lungo termine, una volta passata l’emergenza iniziale che ci ha visti tutti in prima fila a impugnare la motosega e collegare i tubi alle sorgenti, riportando l’acqua che non arrivava più nelle case».
RICONOSCERSI COME UNA COMUNITÀ
Quest’evento così traumatico è stato una riprova di quanto possa fare insieme una comunità. «L’alluvione ha ridisegnato confini, strade, la geografia di paesaggi e riacceso il senso di comunità. Senza gli altri non saremmo dove siamo oggi: non so dove saremmo», commenta Agnese. «La strada rimane un grande punto interrogativo e questo i geologi ce lo hanno detto in maniera molto chiara. Bisogna vedere come si assesteranno le frane. Quello che è certo è che continueremo a fare qualcosa per Nuvoleto, per evitare che venga abbandonata».
“Che cosa può fare una piccola comunità colpita da un evento climatico estremo?”, si sono chiesti Agnese e gli altri abitanti di Nuvoleto. «Noi stiamo provando a dare una risposta a questa domanda. Intanto ci teniamo stretti e proviamo a capire cosa è successo. Il cambiamento climatico non è solo una notizia letta in un articolo sul giornale, ma qualcosa che abbiamo vissuto sulla nostra pelle così come la scelta inevitabile di dover lasciare la propria casa. Quante saranno le persone che d’ora in avanti saranno obbligate a mettersi in cammino e scappare?». Domandarselo è un dovere politico e umano di ognuno di noi.
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