7 Giu 2024

Food for life: a Genova cittadini al lavoro per costruire nuove politiche del cibo

Scritto da: Valentina D'Amora

Riduzione degli sprechi, alimentazione più sana, produzioni più sostenibili. E se vi dicessimo che le politiche del cibo si possono costruire dal basso e noi cittadini possiamo proporre iniziative interessanti e concrete per il futuro della nostra città? È successo a Genova, dove la scorsa settimana piazza don Gallo si è trasformata in un laboratorio a cielo aperto per ragionare insieme proprio sulle politiche locali del cibo. Tante persone hanno dimostrato di avere il desiderio di partecipare attivamente e sentirsi coinvolte, perché il cibo ci riguarda a 360°.

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Genova - Per quanti la visione di Food for profit, il film di Giulia Innocenzi e Pablo D’Ambrosi, è stata illuminante? In queste ultime settimane il documentario ha toccato la sensibilità di molti, avviando un acceso dibattito attorno ai sussidi europei agli allevamenti intensivi e più in generale all’attuale sistema alimentare che, nel suo complesso, è fonte di sfruttamento, inquinamento, danni alla salute, interessi economici e politici di pochi, forti pressioni delle lobby dell’industria della carne e dell’agroindustria verso il Parlamento e la Commissione europea.

Ma il cibo è anche vita. Possono allora le politiche alimentari locali provare a correggere la rotta per contribuire a creare una società migliore, non solo per chi lavora nella filiera del cibo ma anche per tutta la comunità? Ne ho parlato con Roberta Massa, coordinatrice della rete Ricibo – ve l’abbiamo presentata qui –, il cui lavoro attuale si orienta sempre più nella direzione della costruzione di una nuova politica del cibo e che il 29 maggio ha incontrato in piazza Don Gallo associazioni locali e cittadini durante Food for profit life – Verso una visione collettiva delle politiche locali del cibo di Genova e della Liguria.

Roberta, raccontaci: questo primo appuntamento è nato dalla visione di Food for profit, il documentario di Giulia Innocenzi?

Sì, vedere Food for profit per noi è stato come aprire del vaso di Pandora. Toccare con mano il lato oscuro del cibo ha attivato una serie di domande su quali e di chi sono le responsabilità e su quale visione di futuro abbiamo. Si è innescato un percorso spontaneo di riflessione sul cibo e sui modelli di produzione, accesso e consumo a livello urbano.

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 ph: Carlo Ceccarelli – CRUO studio
Voi come Ricibo però fate già moltissimo per ridurre gli sprechi.

Sì, ma ultimamente ci siamo resi conto che sapere di poter dare al cibo una destinazione giustifica la produzione di spreco, perché tanto c’è chi si occupa di recuperare le eccedenze. Questa però non è la reale soluzione né per il tema dello spreco né tantomeno per quello della povertà alimentare. Quando ci siamo ritrovati a dover smaltire bancali di patatine fritte abbiamo proprio iniziato a interrogarci sul senso di quello che stavamo facendo.

Sfamare una persona significa rispondere ai suoi bisogni, che non si risolvono semplicemente fornendogli un pasto con un apporto calorico sufficiente perché la povertà alimentare è un fenomeno molto più complesso e stratificato di quello che si immagina. Non è solo un bisogno alimentare, è anche un problema sociale, psicologico ed emotivo.

Vedere Food for profit per noi è stato come aprire del vaso di Pandora

Come lo definiresti?

Povertà alimentare significa andare in un supermercato ed essere costretti a comprare del cibo iperprocessato che non fa bene alla salute solo perché più economico, con il conseguente problema del rischio di obesità. Povertà alimentare è anche un problema sociale, perché significa non potersi permettere un caffè al bar o una cena in pizzeria una sera al mese. Promuovere una politica del cibo, quindi, è riunire le politiche che riguardano il cibo a livello trasversale – che toccano ambiente, sviluppo, urbanistica, bilancio ed educazione – e metterle tutte intorno a un tavolo, affinché non restino politiche frammentate che altrimenti non portano a risultati completi.

Nel 2022 ci eravamo già mossi in questa direzione con #GenovaSprecoZero, la campagna nata per sensibilizzare la cittadinanza sull’enorme spreco di cibo sul territorio genovese e chiedere al sindaco Marco Bucci di istituire un tavolo del Comune di Genova esclusivamente dedicato alle politiche del cibo. Il tavolo nel frattempo è nato e pur stentando ancora un pochino ad attivarsi, resta comunque luogo istituzionale dove possiamo portare delle istanze.

E come è andata la serata in piazza Don Gallo?

Molto bene, l’incontro era aperto alla cittadinanza tutta e hanno partecipato anche diversi gruppi di acquisto. Abbiamo innanzitutto presentato questo primo percorso nato due mesi fa insieme ad altre sedici associazioni locali. Come rete Ricibo abbiamo pensato di promuovere la visione di Food for profit in diversi contesti genovesi e abbiamo provato a costituire un collettivo che lo presentasse insieme, creando una call to action alle realtà del territorio.

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credit foto:  Carlo Ceccarelli – CRUO studio

Quando ci siamo incontrate per pianificare le date, abbiamo anche iniziato a ragionare sui diversi aspetti affrontati dal film legati a questo sistema di produzione malato, partendo dal tema degli allevamenti intensivi per arrivare a quello delle produzioni agroindustriali, che nel loro complesso hanno un impatto enorme. Il punto è che il tema del cibo non entra nelle politiche e nei programmi politici, nonostante sia la seconda causa di produzione di gas climalteranti e la prima di perdita di biodiversità, consumo di acqua e dell’introduzione all’interno dei sistemi biofisici di un pesante quantitativo di fertilizzanti chimici. Ecco perché il nostro obiettivo ora è proprio portare il cibo nelle politiche.

Quali sono le proposte che avete formulato per le istituzioni?

Sono due istanze molto semplici: la prima è chiedere al Comune che all’interno di questi tavoli istituzionali si impegni a costruire il prossimo bando 2028-2030 per le mense scolastiche, in un’ottica sostenibile e con un menu a base prevalentemente vegetale. La seconda richiesta che faremo sarà quella di impegnarsi per realizzare un processo partecipato di costruzione di una strategia di politiche del cibo genovese, affinché venga allargato al territorio che possano portare sul tavolo delle politiche che attualmente vede come soggetti partecipanti il Comune, Amiu, Confindistria, Confcommercio, Conartigianato, Unige, Ricibo, Banco alimentare e Forum terzo settore.

Replicherete?

Sì, quello che abbiamo sperimentato l’altra sera lo vorrei portare in ogni quartiere, anche perché il feedback dell’evento, da parte di tanti è stato: “Io non sapevo che il tema del cibo fosse un universo così variegato, che ci coinvolge così a 360°”. La percezione generale è che il consumatore finale venga caricato della responsabilità di non creare sprechi, però del sistema malato che porta il cittadino a utilizzare il cibo in una certa maniera nessuno ne parla.

Se una persona è povera compra cibo di pessima qualità o se lavora dodici ore al giorno la sera va a comprare cibi pronti nei supermercati aperti fino a tardi perché non ha tempo di cucinare. Spesso e volentieri i modelli di consumo dei cittadini sono condizionati pesantemente dal sistema urbano in cui vivono e dalle modalità di vita che hanno, legate a un sistema che sfrutta in ogni modo e misura le persone.

Ogni persona però dovrebbe poter scegliere e chiedere al Comune di impegnarsi nel costruire una strategia del cibo più sostenibile. Dobbiamo ripensare i modelli, sederci intorno a un tavolo e cercare di distribuire le responsabilità e metterci in rete, andando oltre le differenze, per evidenziare invece gli obiettivi che ci accomunano. Il collettivo è un luogo aperto a chiunque voglia partecipare.

Le Associazioni firmatarie: Rete Ricibo, Cittadini Sostenibili, Fridays for Future Genova, Gen-P, GenovaGreentosa, Greenpeace – Gruppo locale Genova, Gruppo Yoga Solidale Genova, ISDE- Sezione Regionale Liguria, La Bottega Solidale – Altromercato, LAV, Legambiente Liguria, Terra!, tRiciclo – Bimbi a Basso Impatto, Unigeco, VEGenova, WWF Genova, Associazione Comunità San Benedetto al porto.

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