12 Giu 2024

Educazione alimentare nelle scuole: ecco perché è importante introdurla

Scritto da: Valentina Tibaldi

L’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo ha ospitato pochi giorni fa un importante momento di incontro e di confronto sul tema dell'educazione alimentare. Già, perché se da un lato studi e dati ci dicono che questo è un argomento di importanza capitale, dall'altro lato va capito come inserirlo nel contesto didattico e scolastico in modo efficace, senza trascurare aspetti come la formazione del personale educativo e i menù delle mense.

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Cuneo - Partire dalle nuove, nuovissime generazioni per ricostruire dalle basi una cultura del cibo che ne colga appieno il valore: risvolti sociali, relazionali, territoriali, economici e ambientali compresi. In occasione delle recenti celebrazioni del proprio ventennale, l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo si è resa promotrice – insieme a Slow Food Italia, le Comunità Laudato si’, l’Università degli studi di Torino, l’Università del Piemonte Orientale e il Politecnico di Torino – dell’appello Col cibo si educa, col cibo si cambia, nel quale si esorta il Governo a inserire l’educazione alimentare tra le materie di studio nelle scuole di ogni ordine e grado

Una proposta che, se ragionata passo passo e attuata nel modo giusto, ha in potenza la forza di una rivoluzione, necessaria a riappropriarsi della responsabilità di scegliere consapevolmente cosa mettere nel proprio piatto e perché. Non a caso l’appello è stato lanciato nella giornata inaugurale, davanti a una platea di 800 persone, in rappresentanza di più di 300 realtà dell’industria alimentare italiana, delle principali istituzioni del territorio e 12 rettori di atenei piemontesi e del resto della penisola, chiamati all’azione per dare massima eco all’iniziativa.

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Rinaldo Riva (foto di Aaron Gomez Figueroa)

Da dove partire per rinsaldare un legame sacro che ha sempre connesso naturalmente, intuitivamente e senza dubbio alcuno il benessere del corpo e dello spirito a un’alimentazione sana, a filiera corta o cortissima, rispettosa delle risorse e degli ecosistemi? Come farlo garantendo coerenza tra teoria e pratica, buoni propositi e fatti? Abbiamo approfondito il discorso con Rinaldo Rava, Vicepresidente dell’Università di Scienze Gastronomiche.

Educazione alimentare come insegnamento obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado. Quali sono i “perché” alla base dell’appello?

L’Università di Scienze Gastronomiche nasce 2004 per far fronte alla mancanza, a livello accademico, di un insegnamento che intendesse il cibo in maniera olistica e multidisciplinare: una lente per leggere la società, con le annesse dinamiche politiche, economiche, sociali e culturali.  Nel 2017 il riconoscimento da parte del Ministero dell’Università della classe di laurea in Scienze Gastronomiche è stata una grande vittoria politica che, ratificando ufficialmente la dignità di questo approccio, ha portato all’apertura di corsi in Scienze Gastronomiche in 15 università in Italia.

Oggi quello di cui ci rendiamo conto è che tale ingresso dalla porta principale dell’accademia si scontra con una mancanza di conoscenze di base e di tessuto formativo. Il cerchio può chiudersi solo se riusciamo a incidere fin dai primi anni e per farlo si deve passare per la scuola, che è democratica, trasversale e obbligatoria. Per portare veramente il cibo al centro, è infatti necessario costruire delle competenze fin dai primi anni, per consentire ai bambini di avere degli strumenti di interpretazione adeguati. Al momento, nelle scuole ci sono dei progetti ma non esiste un percorso istituzionalizzato e formalizzato. Lo spirito dell’appello è proprio il riconoscimento che oggi è giunto il momento di compiere uno scatto ulteriore.

Educazione alimentare
Quali obiettivi vi siete preposti con questa call to action? Quali, a livello pratico, i passi per raggiungerli? 

L’obiettivo è raggiungere una massa critica tale da far comprendere ai decisori politici che questo tema non si può più eludere. Abbiamo appena lanciato l’appello, in occasione del nostro ventennale, ma il 2024 è anche l’anno del ventennale di Terra Madre. Da qui a Terra Madre, a fine settembre, l’obiettivo è lavorare alla costruzione di una grande rete di associazioni, di soggetti che a vario titolo possano farsi portavoce di queste istanze.

Dalla primissima diffusione dell’appello, sono già nati dei gruppi spontanei all’interno delle scuole, animati da studenti che hanno iniziato manualmente a raccogliere adesioni. Un ragazzo di San Giorgio Canavese, ad esempio, si è presentato al ventennale con un plico di 1200 firme, raccolte a mano nel suo liceo. Proprio le scuole sono il nostro primo target: abbiamo già costituito un gruppo di studenti ed ex studenti di Scienze Gastronomiche, che farà un lavoro di diffusione capillare con presentazioni nei vari istituti.

L’educazione alimentare corrisponde a ciò che mangiamo e se non cambiamo ciò che mangiamo è inutile pensare di fare grandi cose

Ma la mobilitazione dovrà essere ampia e varia. Così Slow Food metterà in campo tutte le sue relazioni istituzionali, l’Università tutti i suoi contatti sociali, allo stesso modo le comunità Laudato si’ mobiliteranno il mondo cattolico, e via dicendo. Dovrà nascere una grande alleanza e una grande mobilitazione generale per raggiungere, tra la fine del 2024 e l’inizio del 2025, i numeri necessari a dare peso reale a questo appello. 

Nel momento in cui si dovesse introdurre l’educazione alimentare nelle scuole, cosa è necessario fare per renderla efficace e portatrice di un cambiamento reale?

Sicuramente bisognerà partire dalla formazione del personale. L’azione dovrà essere congiunta. Da un lato la formazione diretta dei bambini: bisognerà costruire programmi, realizzare flussi di trasmissione di competenze, definire che cosa è importante che questi ragazzi sappiano. Dall’altro, la chiave per rendere possibile ed efficace la misura è appunto la formazione del personale: dei docenti sì, ma anche di chi lavora nelle mense, si occupa degli approvvigionamenti, degli acquisti, dei menu.

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Carlo Petrini (foto di Aaron Gomez Figueroa)

Si tratta di una rivoluzione copernicana perché significa andare a incidere non soltanto sui programmi scolastici, ma sull’intera impostazione delle scuole. Il lavoro deve essere complessivo e sinergico, per evitare che i concetti tradotti in insegnamento in aula non abbiano gambe. Se io allievo, dopo che ho fatto la mia lezioncina sul sistema alimentare, vado a mensa e sperimento un tipo di alimentazione basato su linee guida completamente diverse, allora l’iniziativa ha poco senso. L’educazione alimentare corrisponde a ciò che mangiamo e se non cambiamo ciò che mangiamo è inutile pensare di fare grandi cose.

In questo quadro, crediamo che la figura del gastronomo- così chiamiamo il laureato in Scienze Gastronomiche- possa giocare un ruolo di primo piano. Banalmente, dal mio punto di vista, se la proposta va in porto deve portare con sé il fatto che il gastronomo è la figura titolata a insegnare l’educazione alimentare nelle scuole, a fare formazione al personale docente e al personale amministrativo. 

Educazione alimentare come buona pratica dunque e come punto fondamentale dei patti educativi nelle scuole…

Esatto. L’educazione alimentare non dovrebbe essere una materia in più, ma un approccio diverso, che comporta il ripensare i patti educativi e il disegno complessivo della scuola. L’educazione alimentare deve avere uno spazio in aula, ma ancor di più spazio nelle pratiche scolastiche: dall’orto alla mensa, alle merende, alle gite. Senza quella parte, diventa una materia sterile.

educazione alimentare2

Dopo Expo 2015, con il tema Nutrire il Pianeta e la sigla del patto di Milano delle città, vediamo che un grosso cambiamento è già in atto. Vediamo nascere e crescere costantemente un movimento di politiche alimentari, sempre di più le amministrazioni locali a livello comunale, a livello regionale o addirittura a livello sovranazionale si stanno coordinando per avere food policy adeguate. Tuttavia se a livello di politiche si stanno facendo passi avanti, manca materialmente l’aspetto formativo a scuola e con l’introduzione dell’educazione alimentare vogliamo inserire proprio questo tassello.

Dobbiamo fare un lavoro di base sulle comunità educanti, quindi ovviamente la scuola è il primo passo, ma volendo sognare in grande, stiamo parlando di mettere insieme le politiche locali del cibo e l’organizzazione dei servizi alimentari nelle scuole con le materie che si insegnano. Ecco, nel momento in cui avremo questo, allora forse avremmo fatto bingo. Non credo sia un obiettivo raggiungibile a breve, ma penso che sia importante che questa richiesta parta da noi, con questo appello: è necessario farlo, non si può fare tutto, subito e bene, ma dobbiamo mettere nero su bianco che questa è la strada seguire.

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