11 Giu 2024

La Cooperativa Madreselva e il sogno di un appennino che sta rinascendo

Scritto da: Francesco Bevilacqua

Fare rete, riabitare, trasformarsi, essere un luogo di bellezza. Sono questi alcuni dei concetti chiave emersi dalla nostra chiacchierata con Eugenia Marzi, guida ambientale escursionistica della Cooperativa Madreselva. Con lei abbiamo parlato delle attività che Madreselva svolge in appennino, del suo legame con le aree interne e di come valorizzarle, riabitarle, tornare a viverle in maniera armonica.

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Bologna, Emilia-Romagna - «Io sono molto legata al territorio appenninico che sento come casa e luogo che più mi rappresenta». Inizia con questa dichiarazione d’amore la mia chiacchierata con Eugenia Marzi, guida escursionistica ambientale e parte del team della cooperativa Madreselva. Eugenia e Madreselva possono essere considerati un po’ i custodi del prezioso patrimonio racchiuso fra valli e cime dell’appennino tosco-emiliano. Non solo dell’aspetto naturalistico, che è il loro pane quotidiano, ma anche di quel retaggio culturale che l’urbanizzazione, il turismo di massa, la velocità e la superficialità stanno lentamente diluendo.

La cooperativa Madreselva accompagna ogni anno centinaia di persone – fra cui molte giovani, come quelle che partecipano alle settimane verdi, i campi estivi itineranti di cui abbiamo parlato qui – a riscoprire e riprende contatto con le aree interne, spesso considerate marginali. La parola d’ordine? Fare rete! Ma partiamo dal principio e torniamo indietro fino al 2007, quando viene fondata Madreselva.

Madreselva
Eugenia Marzi
Puoi raccontarci brevemente la storia, gli obiettivi e le attività della cooperativa Madreselva?

Cooperativa Madreselva nasce nel 2007 e si occupa di educazione ambientale, escursionismo e turismo lento, e accoglienza. Madreselva infatti gestisce un rifugio di montagna, il Rifugio Segavecchia, nell’alta valle del Silla nel Comune di Lizzano in Belvedere in cui è possibile dormire e mangiare una cucina locale. Oggi Cooperativa Madreselva è composta da un gruppo di giovani di provenienze diverse che hanno deciso di impegnarsi insieme lavorando per questo territorio. Condividiamo il legame con mondo selvatico, il valore e il potere del camminare, l’idea di un’educazione a contatto con la natura, la volontà di fare rete nel territorio, di promuovere le realtà locali e virtuose, di coinvolgere i più giovani, e di collaborare con realtà artistiche e culturali.

Qual è il tuo ruolo in Madreselva e quando e perché sei entrata a far parte della cooperativa?

Dentro Cooperativa Madreselva seguo i progetti di educazione ambientale con le scuole e i giovani e mi occupo delle settimane verdi estive. Sono entrata nel 2018 quando contattai la cooperativa per lavorare come guida al Parco Storico di Monte Sole. Da lì non ne sono più uscita, contenta della squadra, dei valori e vedendo futuri possibili.

Come cooperativa avete diverse collaborazioni, non solo con realtà che si occupano di attività outdoor ma anche con istituzioni, compagnie artistiche, progetti comunitari e altro. Quanto è importante fare rete per voi?

Fare rete negli ultimi anni è diventato tanto importante quanto inevitabile in un Appennino che cambia e in cui fioriscono sempre nuove realtà di giovani. Fare rete in Appennino vuol dire unire le forze per il proprio territorio e innescare sinergie che spesso portano nuove visioni, vigore e vitalità nei progetti. Fare rete in Appennino vuol dire anche avere una voce più forte quando si parla di sviluppo locale, di servizi, di accessibilità e vivacità culturale in territori che per la loro natura geografica sono difficili.

Madreselva

Negli ultimi anni Cooperativa Madreselva si impegna in alcuni festival nel parco del Corno alle Scale, LookAp – una rassegna per bambini e famiglie –, Articoltura – festival di arte e cultura – e Poesando – festival di poesia e cammino, che vedono il coinvolgimento di una rete di artisti e realtà legati al territorio. Inoltre collabora con ITACA, il festival del turismo responsabile nella tappa bolognese di Monzuno.

Credo che la montagna rappresenti il connubio perfetto fra Natura ed esseri umani, quindi scoprirla è un’esperienza non solo di vita all’aperto ma anche culturale e antropologica. Personalmente, come vivi questi due aspetti?

Sono appassionata fin dal periodo dell’università della cultura orale e antica di queste montagne e ho svolto due tesi su questi temi. L’Appennino per la sua conformazione ha permesso fin dall’antichità un connubio armonioso tra essere umano e natura, che tendiamo a definire come due cose separate ma che in fondo non lo sono affatto o quanto meno non dovrebbero esserlo.

Fare rete in Appennino vuol dire unire le forze per il proprio territorio e innescare sinergie che spesso portano nuove visioni, vigore e vitalità nei progetti

La sua relativa lontananza dalle grandi città ha fatto sì che ancora oggi sia un luogo che conserva resti vivi della nostra storia, un habitat ricco e diversificato, in cui è ancora possibile sperimentare una esistenza lenta, a contatto con la natura ma anche con quello che resta di una cultura che sta scomparendo e che cede il posto a generazioni nuove e vivaci appassionate di questo territorio.

Credo infatti che oggi questa “restanza” nelle terre più alte sia possibile con una scelta consapevole e desiderata. Per me vivere l’appennino è anche vivere un mondo rituale fatto di canti, di balli, di riti e di storie che ancora oggi molti gruppi ripropongono facendo vivere e dando senso nei contesti odierni a un pezzo della nostra storia che altrimenti andrebbe perso.

Oggi si sente parlare sempre più di “deficit di Natura”, tu lo percepisci? Se sì, quali sono le modalità migliori per provare a colmarlo? 

Il “deficit da natura”, ci insegna Louv, è una sindrome da “allontanamento da natura”, una carenza che abbiamo noi esseri umani come risultato del nostro distacco con l’ambiente selvatico. Non credo di essere in grado di rispondere davvero a questa domanda solo basandomi sulle mie esperienze, sono però convinta – e questo lo confermano diverse ricerche – che tornare ad avere una relazione più intensa e continuativa con la natura e il fuori, ovvero con il reale, ridurrebbe disturbi oggi frequenti come ansia, stress, disturbi dell’attenzione, paure, senso di solitudine, noia.

Madreselva
Scegli tu se lasciarti guidare dall’immaginazione o dal raziocinio per rispondere a questa domanda: come vedi il futuro della montagna italiana? In che modo Madreselva si adopera per realizzare la sua visione? 

Come nella maggior parte degli ambiti credo che anche noi guide/operatori turistici/ristoratori/educatori… dobbiamo saper cambiare, come dite anche voi! Saper modellarsi, trasformarsi, riaddattarsi, con velocità e prontezza, con visioni sensibili e dettate dai bisogni che, appunto, continuamente cambiano. Trasformazione mantenendo saldi i principi in cui crediamo e per cui vogliamo lavorare stringendo nuove alleanze, intraprendendo anche nuove strade. Noi siamo in una parte d’Appennino che oggi vede davvero molti giovani dalla città spostarsi, creare, inventare e impegnarsi per il territorio. Allo stesso tempo molti di questi vanno, si fermano e radicano o ripartono, rimangono per qualche mese, tornano, passano.

Generazioni credo in movimento, ma anche che portano dinamismo, e io stessa mi sento in questo viaggio. Come ha detto un amico che si occupa di comunità montane, chiunque decida di abitare un luogo, anche se solo per un’ora di passaggio, in quel momento lo abita e partecipa a quella comunità. Credo quindi che il nostro appennino si stia trasformando tanto e che si stia anche riempiendo di risorse davvero diversificate. Lo vedo in un futuro più abitato, anche da stranieri, lo spero vivace culturalmente, con più servizi, un’alternativa possibile anche per famiglie con bambini e bambine. Lo vedo come un luogo di bellezza.

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