Perché parlare di relazione essere umano-animale è biologicamente sbagliato? Ce lo spiega l’etologo
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Genova - Dominanza, maschio alfa, quante sono le false credenze sugli animali inculcate nella nostra testa? «Noi pensiamo agli animali come se fossero scesi dalla Luna e li trattiamo come entità diverse da noi, ma ci dimentichiamo che anche noi siamo animali, chiarisce subito Francesco De Giorgio, etologo antispecista. «Ecco perché parlare di interazione uomo – animale è biologicamente sbagliato. Questo è il primo punto da cui partire per divulgare consapevolezza. «Per poter interagire con maiale, una gallina o anche un cane – prosegue – bisogna prima entrare nella propria animalità, che molti umani hanno perso, esplorare, camminare a carponi, fare serpentine, strisciare in complicità con gli animali».
Mentre De Giorgio parla, gesticola, si accuccia, ancheggia. Così mani, gambe e piedi, come zampe, raccontano molto di più delle parole di come si comportano gli animali del suo rifugio permanente a Pieve di Teco, Sparta – Riserva dell’Animalità, dove da anni vive con animali liberati dalla morsa dello specismo. La loro liberazione, quindi, non riguarda solo macelli, allevamenti o situazioni di maltrattamento, ma anche l’etologia più classica, per una conoscenza del mondo animale scevra da antropocentrismi, specismi, credenze, convinzioni e retaggi del passato.
I CINGHIALI IN CITTÀ, NUOVI SOGGETTI ATTIVI A FAVORE DELLA BIODIVERSITÁ
I cinghiali, in questo momento storico, sono gli animali divisivi per eccellenza. «Negli ultimi anni, però, nella comunità scientifica internazionale vengono definiti “ingegneri ecosistemici” e tantissimi studi ne evidenziano il ruolo di facilitatori di biodiversità». Su questi temi l’etologo pone molto l’attenzione nel libro “L’era del cinghiale metropolitano”, recentemente pubblicato in modo indipendente insieme alla collega Alessandra Alterisio, in cui si evidenzia il grande valore ecologico del cinghiale, che contribuisce in modo significativo allo sviluppo dell’ecosistema terrestre e, in misura minore, di quello acquatico.
«Quel loro modo di agire, che da molti è visto come nocivo, pericoloso e molesto sotto tanti punti di vista, in realtà è fondamentale proprio per la produzione di biodiversità». Il grufolare, per esempio, crea buoni letti di semina per le piante che hanno bisogno di terreno nudo e luce per germogliare; lo sfregarsi sugli alberi, lo sguazzare nelle pozze e la costruzione del proprio “nido”, aumentano la complessità e l’eterogeneità strutturale degli habitat influenzando la diversità delle specie, la composizione e il funzionamento dell’habitat.
«Eppure se parliamo di biodiversità – prosegue De Giorgio –, questo concetto che solitamente viene applicato alle specie naturali, oggi, anche se sembra paradossale, pare includere anche le specie domestiche e zootecniche. Il noto asino di Martina Franca, ad esempio, interessato anche da diversi contributi per l’allevamento, viene spesso nominato quando si parla di specie a rischio estinzione. «Ma c’è da chiedersi se a questo asino interessa la prosecuzione della sua specie o se piuttosto gli preme di più che la sua soggettività venga riconosciuta. Così come i cinghiali, che vengono trattati come gruppo astratto, esistono in realtà con tutte le loro soggettività. Dobbiamo, quindi, porci in un’ottica più articolata pensando all’etologia e alla conoscenza animale, per non cadere in una errata standardizzazione».
LE CAPRE DI ALICUDI
L’etologo sta lavorando proprio adesso alla redazione di una relazione richiestagli dalla Rete dei Santuari, da Vitadacani e da LAV, a supporto di alcune azioni legali che si stanno portando avanti per tutelare le capre di Alicudi. «Abbandonate diversi anni fa e oggi rinselvatichite, hanno nel tempo riconquistato la loro selvaticità». Il sindaco di Alicudi, però, ha presentato un piano di eradicazione, promuovendo l’iniziativa di donare le capre agli allevatori che ne hanno fatto richiesta entro il 10 aprile, prevedendo quindi una immissione nella filiera alimentare e la possibilità di macellazione. «Gli animali, oltretutto, dovrebbero essere prelevati dagli allevatori stessi sull’isola e l’operazione genererà sicuramente caos e traumi emotivi in questi branchi». Ecco perché LAV sta lavorando per individuare una strada comune e condivisibile, al fine di risolvere la questione per il bene degli animali e della percezione dell’isola stessa nel mondo.
Da chi è partita la protesta che ha generato questa azione di contenimento? Da alcuni abitanti, ma soprattutto da una colonia di turisti stagionali tedeschi infastiditi dalla presenza delle capre, soprattutto sulla parte di isola da loro abitata. Eppure da uno studio del 2020 le capre risultano importantissime per la biodiversità delle isole del Mediterraneo e per la salvaguardia di alcune specie animali, come i falchi. Sono, quindi, dei guardiani delle biodiversità delle isole, esattamente come i nostri cinghiali metropolitani.
«Dobbiamo allenarci a ragionare in modo più ampio: se un cinghiale arriva in città è sicuramente perché trova cibo, ma non è solo questo. Da millenni c’è un istinto innato che rende gli animali – e quindi anche noi – esseri di movimento e in movimento. D’altronde anche noi umani ci siamo evoluti proprio grazie al movimento, proprio perché un animale senza movimento non risponde alla sua animalità, Allora, affinché non sia tutto guidato dall’irrazionalità, che genera il meccanismo di azione-reazione, dobbiamo entrare nella logica animale e osservare il mondo che ci circonda attraverso un filtro cognitivo, che porta a un’educazione all’animalità».
Se vuoi approfondire questi temi, dai un’occhiata alla nostra guida sul benessere animale, nella sezione Selvatici.
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