Arrivano i nostri: quando durante il Neolitico l’essere umano ha colonizzato la Sardegna
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Riprendiamo il racconto sui primi abitanti della Sardegna preistorica lì dove l’abbiamo lasciato e cioè sul finire del Mesolitico. In quest’epoca, alcune località dell’isola avevano iniziato a essere abitate da piccoli gruppi di popolazioni nomadiche che viaggiavano via mare dalla penisola per sfruttare le risorse animali e vegetali di un territorio praticamente privo di competitors come quello sardo.
In Sardegna non vi era alcun carnivoro di grossa taglia che potesse costituire un pericolo o un potenziale avversario per l’essere umano. Queste popolazioni potevano dunque dedicarsi indisturbate alla raccolta di frutta, verdure, tuberi, bacche e radici, così come alla pesca e alla caccia della fauna sarda, di piccole dimensioni, cosa che facevano con l’ausilio di trappole. Sembrerebbe che vi fossero tutti i presupposti per stanziarsi stabilmente sull’isola: eppure, queste popolazioni mesolitiche non lo fecero mai.
I dati archeologici mostrano che nel Mesolitico piccoli gruppi umani abitarono la Corsica e la Sardegna solo occasionalmente e per brevi periodi, sfruttando perlopiù le protezioni offerte dalla morfologia del luogo come le grotte e i ripari sotto roccia, senza costruire insediamenti stabili. Le cose cambieranno per la nostra isola con il Neolitico, dando avvio a una storia di popolamento che continuerà ininterrotta fino a oggi.
IL NEOLITICO
Canonicamente, il termine “Neolitico” significa “Età della pietra nuova” e indica il periodo più recente – ovvero, il più vicino a noi – della preistoria. Questa periodizzazione esiste innanzitutto perché la stragrande maggioranza degli utensili utilizzati nella preistoria – per tagliare, incidere, raschiare, pungere – e che si sono conservati fino a noi sono, appunto, in pietra. Nella preistoria non era nota la lavorazione dei metalli: la pietra era dunque il materiale più tagliente e resistente; sfruttato per realizzare tutta una serie di strumenti per i quali, più avanti, si preferiranno i metalli come il rame e il ferro o le leghe metalliche come il bronzo.
Il Neolitico è dunque, per convenzione, un’epoca “nuova” rispetto al Mesolitico, in cui si perfezionano le tecniche di lavorazione della pietra producendo utensili di aspetto e qualità differenti. Ma il Neolitico è anche e soprattutto l’epoca di radicali cambiamenti nello stile di vita dell’essere umano, che influenzeranno drasticamente le future vicende storiche della nostra specie. È in questo periodo infatti che le comunità umane, da prevalentemente nomadi quali erano, iniziano ad adottare uno stile di vita stanziale, basando la propria sussistenza non più sulla sola ricerca di risorse disponibili in natura – tramite la caccia e la raccolta –), ma sul loro controllo e produzione per mezzo della coltivazione delle piante e l’allevamento degli animali.
In altre parole, con “Neolitico” si indica il periodo della nascita dell’agricoltura e dell’allevamento. Ovviamente si tratta di una convenzione, che non vale ovunque e non si è data contemporaneamente, nelle stesse cronologie. Nella cosiddetta Mezzaluna Fertile in Medio Oriente – uno dei luoghi del mondo in cui si ritiene che le comunità umane abbiano “inventato” – o “scoperto”– con tentativi, esperimenti ed errori, l’agricoltura e l’allevamento – il Mesolitico confluisce senza soluzione di continuità nel Neolitico, perché sono gli stessi cacciatori-raccoglitori a sviluppare le conoscenze e tecniche per produrre da sé le proprie risorse anche alimentari. In Sardegna, la situazione sarà molto diversa.
ESPLORARE E COLONIZZARE: GENTI NEOLITICHE SULL’ISOLA
Non posso parlare del Neolitico della Sardegna senza far riferimento agli studi del professor Carlo Lugliè, scomparso nel luglio del 2023, docente di Preistoria e Protostoria all’Università di Cagliari ed esperto di queste cronologie. Lugliè nota che sull’Isola gli strati archeologici neolitici non sono mai direttamente sovrapposti a quelli riconducibili al Mesolitico: al contrario, c’è uno scarto di circa 500 anni tra le ultime evidenze della presenza di cacciatori-raccoglitori e i primi insediamenti di agricoltori-allevatori.
Questo periodo coincide con quello che in archeologia e paleoclimatologia è chiamato “evento 8k”, cioè un episodio di repentino raffreddamento delle temperature globali, avvenuto circa 8200 anni fa, della durata di alcuni secoli. Non ne abbiamo certezza, ma le rigide temperature potrebbero aver contribuito a rendere difficoltosa la navigazione costiera nel Tirreno durante il tardo Mesolitico, tagliando fuori l’isola dalle rotte migratorie.
Questo lungo “vuoto” temporale, durante il quale la Sardegna appare sostanzialmente disabitata, così come le marcate differenze nel pool genetico delle rispettive popolazioni, dimostrerebbero secondo Lugliè che le genti neolitiche che appaiono nella documentazione archeologica sarda dal 5700 a.C. sono un popolo nuovo, di provenienza diversa dagli antichi popoli mesolitici. In altre parole, i cacciatori-raccoglitori – o per meglio dire, pescatori-trappolatori-raccoglitori – che abitarono occasionalmente l’isola non sono imparentati con i gruppi di agricoltori-allevatori che vi si stanziarono poi stabilmente qualche secolo più tardi.
La cosa più interessante è che queste genti neolitiche, approdate nella Sardegna del VI millennio a.C., praticavano già l’agricoltura e l’allevamento: arrivavano dunque sull’isola portando con sé un bagaglio di conoscenze nuove da mettere in pratica nel selvaggio e ancora disabitato territorio sardo.
COME SOPRAVVIVERE?
I pochi dati paleoclimatici sulla Sardegna del Medio Olocene mostrano che, durante il primo Neolitico, la vegetazione dell’isola doveva consistere soprattutto in una fittissima macchia mediterranea con diverse specie di Erica e Cistus, e dai sempreverdi Quercus, Pistacia, Olea, Juniperus e Arbutus, in particolare in altura. Le estati dovevano essere più calde e secche e gli inverni più freschi e umidi di quelli attuali, accompagnati da frequenti incendi spontanei. In un primo periodo, questa fitta vegetazione deve aver rallentato lo sviluppo di un’economia agricola di villaggio, perché i pochi resti archeologici – come le macine per la lavorazione dei cereali – e palinologici suggeriscono solo un modesto utilizzo dei terreni a seminativo durante il VI millennio a.C.
Le genti neolitiche approdarono in una Sardegna in cui era faticoso e complesso praticare l’agricoltura, e in cui era totalmente assente una fauna che potesse essere addomesticata e allevata per ottenere latte, carne e altri derivati. Le specie di piccola-media taglia che popolavano l’isola durante il Mesolitico dovevano essere le stesse anche nel Neolitico. Come fecero le nostre antenate e i nostri antenati a sopravvivere?
In un modo ingegnoso e incredibile, soprattutto in tempi tanto antichi, ovvero introducendo sull’isola, con trasporto via nave, delle specie vegetali e persino animali già addomesticate, ripopolando di fatto l’ambiente della Sardegna con una popolazione vegetale e faunistica utile all’uomo. Tra gli animali, i primi a esseri introdotti nel VI millennio a.C. furono gli ovini, i caprini e i suini e in un secondo momento anche i bovini.
In una situazione come questa si capisce perché per lungo tempo queste popolazioni dovettero continuare a vivere in larga parte di metodi di sussistenza preneolitici come la caccia e la raccolta di vegetali, con i quali integravano i prodotti di una pastorizia prevalentemente nomade. Questi primi veri e propri abitanti della Sardegna erano dunque semi-nomadi, forse più dei loro predecessori, perché esplorarono e colonizzarono sistematicamente l’isola insediandosi in tutti gli habitat più favorevoli, comprese le montagne e le aree interne.
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