Una carta deontologica per raccontare la disabilità esiste già, ma bisogna applicarla
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Il più delle volte le modalità con cui si affronta il tema dell’accessibilità non sono funzionali a una reale presa di coscienza. Lo si tratta spesso con ottica abilista, che racconta la disabilità come tragedia o lo fa attraverso le imprese definite eroiche di persone di cui viene enfatizzato l’impegno “nonostante” la disabilità, focalizzandosi sulla diversità tra corpi disabili e non, allo scopo non di raccontare la varietà delle imprese umane ma di rimarcarne l’alterità, la differenza. Ma nella realtà, per sua natura complessa, caratterizzata dalla molteplicità di forme e sfaccettature, qualsiasi elemento forma la sua unicità nella diversità.
A questo punto, l’obiettivo della narrazione dovrebbe essere non favorire una monocromia che guarda alle altre tonalità come colori che non ce l’hanno fatta, ma raccontare la molteplicità. Ecco, partendo dal fatto che l’informazione è – o dovrebbe essere – uno scambio di conoscenza tra due o più persone all’interno di una comunità, nel momento in cui nella società ci sono delle categorie marginalizzate o invisibilizzate, come spesso accade con le persone con disabilità, informare senza escludere è possibile? Abbiamo intervistato in materia Francesca Arcadu, vicepresidente di UILDM Sassari – l’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare –, collaboratrice giornalistica e formatrice sui temi della disabilità e della comunicazione.
INFORMAZIONE E LAVORO ACCESSIBILE
L’accesso all’informazione è un diritto che dovrebbe essere garantito a tutti. Quello che in merito Francesca Arcadu sottolinea è come «la tecnologia abbia reso più accessibile e democratica l’informazione, vista la disponibilità di siti mainstream e la diffusione attraverso più canali, molti dei quali gratuiti. Certo sulla qualità e la comprensibilità c’è ancora ampio margine di miglioramento, ma dal punto di vista dell’accessibilità alle persone con disabilità sensoriale ad esempio, sono stati fatti molti passi avanti: si pensi alla possibilità di accesso ai testi scritti e ai video attraverso sistemi di sottotitolatura e lettura vocale».
Tra le varie conseguenze dell’abilismo che invischia la nostra società, ci sono però gli ostacoli all’accesso al mondo del lavoro per persone con disabilità. I dati del 2022 della Commissione Europea certificavano come in Europa le persone occupate siano il 75,6%, mentre quelle con disabilità occupate il 51,3%. Il divario tra i due tassi è di oltre 20 punti, un dato che non può e non deve essere trascurato.
Parlando di giornalismo, essendo quest’ultimo un mestiere, secondo il parere di Francesca Arcadu, risulta un campo «accessibile e accogliente grazie alla dematerializzazione dei luoghi di lavoro, delle redazioni e della formazione, fattori che permettono di lavorare a distanza, motivo per cui ci sarebbero sempre più giornalisti e giornaliste con disabilità». Arcadu sottolinea come «questo sia un valore aggiunto, oltre naturalmente alla preparazione e la competenza che sono la base di qualsiasi mestiere. Portare il punto di vista delle persone con disabilità dentro il cuore del giornalismo credo sia solo un bene».
“LE PAROLE SONO IMPORTANTI”
Nei racconti che trattano il tema della disabilità ci sono spesso degli aspetti problematici. Francesca Arcadu afferma infatti che «la narrazione della disabilità nei mezzi di comunicazione, mainstream o meno, è spesso divisa tra due opposti: da una parte il racconto della tragedia, di vite difficili e disperate fatte di sofferenza, dall’altra le gesta di disabili eroi, possibilmente sportivi o comunque dotati di qualche virtù, che si adoperano per superare la disabilità essendo performanti tanto e più dei non disabili».
«Questi modi di raccontare hanno in comune l’errore di lasciar fuori tutto ciò che sta in mezzo, ossia la “normalità” di vite quotidiane fatte di più aspetti, non solo quello legato alla disabilità. Tra gli errori più frequenti inoltre vi è senz’altro quello di identificare le persone con disabilità unicamente col loro deficit, concentrando la narrazione su quello a discapito di tutto il resto». L’utilizzo di espressioni scorrette o discriminatorie, come già messo in luce, oscilla tra il pietismo e il sensazionalismo. Da qui l’esigenza di una carta deontologica che dia delle “istruzioni” per raccontare e parlare di disabilità in maniera adeguata.
PER UNA CORRETTA RAPPRESENTAZIONE DELLE PERSONE CON DISABILITÀ
In merito alla carta deontologica, Arcadu racconta come «la proposta della Carta di Olbia nasce nel 2019 in occasione di un corso sul tema organizzato proprio nella città gallurese da Odg Sardegna e Giulia giornaliste, in collaborazione con le associazioni Sensibilmente Odv e Uildm Sassari, per parlare della corretta rappresentazione delle persone con disabilità nei media a fronte della trattazione poco rispettosa che spesso viene diffusa. Nel 2022 è poi nato il documento, che venne consegnato al presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti Carlo Bartoli, sotto forma di proposta di una carta deontologica sulla rappresentazione delle persone con disabilità nei media».
Dietro la Carta, un gruppo di lavoro composto da professionisti insieme a rappresentanti di associazioni che lavorano con e per le persone con disabilità e i loro diritti. Caterina De Roberto, Vannalisa Manca e Susi Ronchi, per Giulia giornaliste Sardegna in collaborazione con Veronica Asara di Sensibilmente Odv, Francesca Arcadu di Giulia giornaliste e Uildm, Unione italiana lotta alla distrofia muscolare, e Sara Carnovali, avvocata, phd in Diritto costituzionale.
La carta deontologica di Olbia nasce allo scopo di fornire conoscenze e supporto all’informazione concernente la disabilità, sia nei principi che nella parte relativa al linguaggio, essendo quest’ultimo un forte veicolo di stereotipi, pregiudizi, ma anche un importante strumento con cui comunicare in maniera costruttiva e dunque intervenire sulla società stessa. La Carta pone l’attenzione sul fatto che la persona dovrebbe essere al centro della comunicazione: la disabilità dovrebbe far parte del discorso solo se rilevante ai fini dell’informazione.
«ORA APPLICHIAMOLA»
Nel mondo del giornalismo esistono già delle Carte deontologiche: si pensi alla Carta di Treviso sui diritti dei bambini, la Carta di Perugia che offre linee guida su come trattare argomenti di comunicazione sulla salute, la Carta di Roma che tratta invece di comunicazione riguardante richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti o la Carta di Milano, che riguarda le notizie concernenti carceri, persone in esecuzione penale, detenuti o ex detenuti.
«La proposta della Carta deontologica – prosegue Arcadu – è poi confluita nella guida “Comunicare la disabilità. Prima la persona, la guida per una comunicazione adeguata e rispettosa delle persone con disabilità”, realizzata dal Coordinamento per le pari opportunità dell’Ordine nazionale, curata dai giornalisti Antonio Giuseppe Malafarina, Claudio Arrigoni e Lorenzo Sani a cui il gruppo delle donne della Carta di Olbia ha collaborato con un capitolo dedicato alla doppia discriminazione delle donne con disabilità e alla realtà dei caregivers – in massima parte donne». In conclusione, un appello: «Ora che la guida esiste non resta che applicarla tenendola sempre a portata di mano in redazione o accanto al PC».
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