Tra romanticismo e realtà, il cambio vita è una scelta complessa: la storia di Giulia Piazza
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Oristano - Il cambio vita non è cosa facile. Spesso si tratta di un’opzione raggiungibile grazie al privilegio economico, a una condizione di partenza che offre sempre possibilità altre, libere deviazioni al tragitto percorso. Storie sensazionali di manager stanchi di una routine monotona diventata gabbia che scelgono di cambiare; storie di giovani che decidono di intraprendere strade alternative con il privilegio del coraggio e dalla consapevolezza di avere tutta la vita davanti. Quelli del cambio vita sono racconti che spesso romanticizzano la realtà tralasciando difficoltà, dubbi e punti di partenza. Ma non tutti.
La storia di Giulia Piazza – giornalista, addetta all’ufficio stampa, lavoratrice nel settore della comunicazione a tutto tondo – è una testimonianza che affronta e attraversa diverse emozioni: felicità, frustrazione, paura, dubbi, consapevolezza del proprio punto di partenza, della determinazione per il suo punto di ritorno. La sua è una voce fuori dal coro che racconta il suo cambio vita come una scelta fatta “per amore di me stessa”, senza alcuna garanzia.
Chi è Giulia Piazza?
Sono nata a Oristano, i miei nonni avevano casa vicino al mare, lontano da tutto il resto. Qui ci sono nata, ma non ci ho mai vissuto, infatti sono andata a Cagliari da piccolina, poi a Sassari, città in cui ho fatto i primi anni del liceo classico. Da lì sono stata a Roma dove ho finito il liceo, infine a Bologna per l’università e poi un master in project management culturale al femminile. Dopo mi sono trovata scherzosamente in un progetto culturale in cui c’erano dei concerti, cinema, un sacco di cose e ho provato a fare questo lavoro. Mi sono divertita, per cui ho cominciato un percorso tramite tirocini e stage. Sono giornalista pubblicista.
A un certo punto il cambio vita e il ritorno in Sardegna.
Lavoravo nel mio settore con un contratto a tempo indeterminato, avevo le mie amicizie, i miei affetti; avevo tutto quello che per la società ti serve per vivere bene. In qualche modo però sentivo che stavo sfruttando male non solo il mio tempo, ma anche i miei soldi. Mi sentivo un po’ il criceto che corre dentro una ruota e non si ferma mai e se si ferma un po’ è perduto perché poi deve riflettere. Avevo 36 anni e in quella periodo della vita ho cominciato ad avvicinarmi sempre di più alla Sardegna. Non che prima non ci pensassi o non volessi tornare, però nella frenesia della vita lavorativa si torna quando il lavoro lo permette.
Non sono tornata per una ragione lavorativa o sentimentale o qualcosa legato agli affetti: non avevo una rete familiare alla quale appoggiarmi. Anche se da un certo punto di vista è stata una scelta per amore, ma per amore di me stessa. È una scelta che ti pone molto a contatto con la solitudine, a contatto con la tua interiorità. Non ho avuto un grande supporto dalla maggior parte delle persone che mi stavano attorno, ma io ormai ero satura e mi chiedevo in continuazione cosa stessi facendo della mia vita, mi sentivo ingabbiata in una città in cui non volevo più stare, dove non mi apparteneva niente. Volevo tornare nella mia Isola, fine.
E come è andato il rientro?
Quando sono rientrata ufficialmente avevo 37 anni. Ho aperto una partita IVA e ho inviato carrellate di CV in tutta l’Isola. Casualmente, tramite una mia conoscenza lavorativa, ho trovato impiego sempre nel settore della comunicazione e ora continuo imperterrita a svolgere questo lavoro di consulente.
Qui poi mi sono avvicinata all’arrampicata sportiva, che mi ha consentito di conoscere anche territori nuovi all’interno della Sardegna stessa e ho scoperto anche la passione per il surf. Il rapporto con l’Isola è un rapporto di amore e odio: ci sono momenti in cui ti danno fastidio i suoi soliti difetti e altri in cui ami i suoi soliti pregi. Nella nostra isola ci sono tanti scogli che ancora abbiamo bisogno di superare per cercare di essere più uniti.
Si parla spesso di cambio vita, ma per effettuare una scelta di questo tipo è di grande aiuto disporre di una buona base, anche economica. Cambiare è spesso un privilegio.
Quando sono andata via da Bologna sono andata nella casa dei nonni che non ci sono più. Volevo vedere nel concreto se la scelta fosse realizzabile, ma in cuor mio sapevo di aver già scelto. Sono tornata con una determinazione che penso si abbia poche volte nella vita: per fare un cambio così ci vuole una buona base economica e se non sei ricca, devi compensare con la determinazione ed essere disposta a tutto. Nella nostra regione c’è meno lavoro rispetto ad altre: il grandissimo scoglio nella mia scelta di ritornare era il fattore lavoro, ma era anche un po’ la scusa che non mi faceva prendere effettivamente la decisione che in cuor mio sapevo già di aver preso.
Quindi posso dire che in base alla mia esperienza senza grandi capitali a disposizione, ma con un forte desiderio di tornare si può fare. Io a Bologna avevo una casetta; certo, era in affitto, ma era perfetta. Finalmente da sola, dopo anni di convivenza con altri coinquilini ero riuscita ad avere una casa tutta per me, avevo la mia vita, la mia stabilità, però mancavo io, stavo appassendo. L’inizio non è stato semplice, ma in tutto questo tempo non ho mai pensato per un secondo di tornare a Bologna, mai, neanche nei periodi più difficili.
In conclusione, dal punto di vista delle politiche per il ritorno in Sardegna hai suggerimenti?
Bella domanda. Ciò che mi viene in mente è che sarebbe bello se la Regione come Ente creasse una sorta di piattaforma in cui le persone che vogliono ritornare nell’Isola possano mettere a disposizione ciò che hanno da offrire e che tale offerta venga messa in contatto con le aziende e la richiesta effettiva che c’è nei territori. Non intendo un classico sito in cui si offre lavoro, ma una piattaforma regolata dalla Regione dove si possa effettivamente mettere a sistema il valore delle persone che vogliono ritornare in Sardegna con le realtà già esistenti.
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