Tempo di turismo, tra narrazioni, stereotipi e realtà: intervista a Federica Marrocu
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Sud Sardegna - Sardegna paradiso incontaminato, dove però le acque tossiche del rio Irvi e rio Piscinas sono teatro di uno sfregio ambientale che va avanti da trent’anni. Sardegna terra di longevità, ma anche regione al quart’ultimo posto nel panorama italiano per efficienza e dotazione in ambito sanitario, in cui due persone su dieci rinunciano alle cure. Il nostro sound è il rumore del mare sotto però un cielo spesso squarciato dai rumori delle esercitazioni militari; il turismo è ciò di cui si deve vivere – mai si dice “convivere” – in una terra che sembra esistere nell’attesa di un altro che la definisca.
Le narrazioni che accompagnano la promozione turistica della Sardegna sono spesso una rappresentazione forzata del reale, dove capita che la quotidianità venga nascosta sotto il tappeto dell’esigenza. Quale? Per Federica Marrocu, quella di una «Sardegna parco giochi per turisti dove nessuno abita, dove quello che viene raccontato non è pertinente rispetto alla realtà e il caso di Piscinas ne è emblema: ci si preoccupa di come andrà il turismo in quella zona, non del disastro ambientale che lì va avanti da decenni».
Il turismo negli ultimi anni è spesso bussola delle azioni nel territorio. Dalla socialità – pensiamo ad esempio al Capodanno a Cagliari, raccontato più come un’occasione per portare turisti che come un evento nell’Isola per l’Isola – alle azioni in risposta ai problemi della Sardegna: negli ultimi giorni ad esempio il sindaco di Arbus, in merito al “fiume di veleni” a Piscinas, ha definito «vergognoso» far girare quel video sui social, in quanto «pubblicità negativa che scoraggia i turisti». È davvero così determinante?
Il turismo viene tirato in ballo spesso senza logica: a Capodanno ad esempio, aveva senso pensare che persone da fuori avrebbero affrontato il viaggio verso la Sardegna per sentire Marco Mengoni? In una situazione in cui neanche le persone sarde riuscivano ad avere accesso ai biglietti? Io per prima mi pongo problemi di carattere etico nella scelta delle tipologie di tour da fare e sui contenuti della comunicazione, anche perché penso che un cambio di prospettiva sia necessario.
Su Piscinas: non è assurdo che ci si stia preoccupando dei turisti piuttosto che di un problema di salute pubblica? Si continua a veicolare un concetto di terra desolata come se non ci fosse una comunità che vive e che è interessata a vivere l’Isola. Sono narrazioni problematiche e spesso dietro ci sono dinamiche di potere dove le priorità sono i soldi e il consumo, non la valorizzazione. Anche perché non può esserci valorizzazione senza tutela e da questo punto di vista, ad esempio, stiamo ascoltando le popolazioni locali? Quelle sottoposte alla narrazione martellante su concetti come: del turismo abbiamo bisogno?
Ecco, ma del turismo si ha davvero bisogno? È così impattante a livello economico?
I dati non ci dicono questo, siamo comunque sotto il 10% anche se a livello di propaganda il turismo è raccontato come un settore in grandissima crescita. Pensiamo alle parole che vengono utilizzate, il 2024 è stato annunciato “anno da record dei croceristi” ma in questo business, chi ci guadagna? Qual è la ricaduta reale sui territori? Questo è poi lo stesso periodo in cui i gestori iniziano a lamentarsi della mancata presenza di manodopera, ma la resistenza della manodopera in realtà è estremamente confortante: è successo in tanti momenti della storia che a un certo punto la manovalanza bassa abbia rifiutato in massa condizioni lavorative che non comportano per la persona e per le comunità reali miglioramenti di vita.
Restiamo sulle parole, anche quando si parla della famosa boccata di ossigeno. “Autunno in Barbagia per noi è boccata d’ossigeno”, ad esempio. Ma davvero possiamo andare avanti a boccate d’ossigeno? Non è sostenibile, è chiaro che non lo è: sei sul pelo dell’acqua, sul punto di annegare se cerchi la boccata.
Poco si ragiona invece sull’impatto del turismo nei territori, anche ambientale.
Pensiamo agli spazi sottratti alla natura per creare resort. O quando si parla di crociere a emissioni zero come se l’inquinamento fossero solo le emissioni; non si considera quello acustico, dello spazio. Cagliari ad esempio ha pochissimi punti di raccolta differenziata, si nota anche quando passa l’orda dei croceristi. Se guardiamo alla mobilità, i trasporti in Sardegna nascono con l’obiettivo di movimentare non le persone, ma le merci e dall’800 non sono mai stati implementati. La logica non è quindi il benessere e la mobilità della persona e il nostro impatto non può essere sostenibile in un mondo in cui ci spostiamo da un posto all’altro in questo modo, occupando poi i luoghi.
Pensiamo anche all’abitudine a geotaggarsi, un fenomeno che comporta spesso il sovraffollamento dei luoghi ma anche l’improvvisa comparsa di toponimi completamente errati. Questi ultimi vanno a sovrapporsi alla toponomastica originaria ribrandizzando i luoghi: Sadali, che è diventato il borgo degli innamorati [il paese è devoto a San Valentino ndr]. Ma anche lo stesso utilizzo spropositato del termine “borgo”, come se in Sardegna ci fossero effettivamente così tanti luoghi definibili tali. Anziché recuperare la toponomastica originaria, tornare alla memoria comunicativa, si sceglie di fare tutt’altro.
Nell’azione di contro-narrazione sui social è passato in rassegna Autunno in Barbagia. Questo è il periodo delle varie manifestazioni di Primavera, ma la narrazione al di fuori della stagionalità spesso non cambia di molto. Quali sono gli aspetti critici?
Uno dei presupposti della nascita – negli anni ’90 – di questo genere di manifestazioni era la destagionalizzazione del turismo, ma questo non è accaduto anzi, a partecipare sono soprattutto persone sarde: l’Isola viene ancora visitata soprattutto durante i mesi estivi. Tra l’altro, anche in questo caso siamo davanti alla cosiddetta economia del bisogno, un’immissione di liquidità una tantum che crea l’illusione di interventi salvifici. Nella realtà però alimenta la subalternità, perché non si è in grado di produrre in continuità e in autonomia.
Sulla narrazione poi, anche in questo caso si vende una Sardegna stereotipata. La Sardegna più autentica, Barbagia come territorio dove vivono i sardi veri: è una feticizzazione del tipico, la trasformazione di prodotti identitari in prodotti di consumo; è una messa in scena di cose di Sardegna.
Altra questione su cui si soffermano sia le narrazioni che le contro-narrazioni è il folklore. Prima di tutto, chiariamo che cosa si intende.
Prendo in prestito le parole di Omar Onnis sulla differenza tra tradizione e folklore: tradizione è quello che fai per te, folk quello che fai per l’altro. Non credo sia un qualcosa da demonizzare completamente, lo stesso Omar Onnis sottolinea però anche il carattere emancipativo del folklore sardo: il problema alla base è il fatto che in Sardegna le persone vengono alfabetizzate come italiane, con un rapporto quindi con la cultura sarda che non è omogeneo, scontato o diretto. Spesso apprendere la lingua sarda ad esempio è una questione di fortuna, nessuno ce la insegna ufficialmente.
La tradizione però è quello che lega le comunità, il collante: attorno ai rituali si rafforzano i legami. Ma questo meccanismo assolutamente virtuoso rischia di perdere tutto questo significato se viene trasformato in prodotto di consumo. Il carattere emancipativo del folklore sardo sta nella spontaneità, nella nascita di momenti collettivi di condivisione come unu ballu tundu improvvisato, che non è pensato per intrattenere ma per identificarsi.
In conclusione, quali sono le finalità dietro l‘azione di divulgazione?
Cerco di offrire un punto di vista diverso, interno. Provo a portare in un contesto come i social media – dove la Sardegna-cartolina fa da padrona con mare cristallino, spiagge deserte, persone che fanno cose tipiche – una narrazione che rovescia i luoghi comuni mettendo in evidenza le problematicità del settore in cui io stessa lavoro. Il tutto, provando ad avviare una critica collettiva che ci porti a riflettere sul fatto che forse è il caso di trovare modalità di narrazione e rappresentazione diverse rispetto a come abbiamo fatto finora. E che sì, è il caso di iniziare a parlare di convivere di turismo.
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