Polo petrolchimico di Siracusa, una storia di mala politica tra immobilismo e disastro ambientale
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Siracusa - Nell’VIII secolo a.C. i colonizzatori megaresi dell’Ellade si stanziarono nel tratto di costa poco sopra Siracusa attratti da una serie di condizioni favorevoli: un porto sicuro, una popolazione locale mite e tanta acqua a disposizione. 2700 anni dopo tali condizioni non sono cambiate di molto, a colonizzare l’area non sono stati più i megaresi, ma le tante compagnie che si sono avvicendate nel polo petrolchimico a nord della città aretusa attratte, anche loro, dall’abbondanza delle acque di falda, da una manodopera a basso costo e dalle gabbie salariali.
I nuovi “megaresi” non hanno portato quella ricchezza e quella prosperità tanto agognata, hanno invece contribuito a definire un territorio completamente devastato dall’inquinamento: i veleni industriali si sono infiltrati ovunque dall’aria, al suolo, alle falde acquifere. La storia del polo petrolchimico sorto tra Augusta e Siracusa è una storia comune ad altre parti d’Italia.
È la storia di uno sviluppo basato sull’idea di crescita infinita, di quella eterna contrapposizione tra tutela dell’ambiente e della salute e diritto al lavoro, di un sistema corrotto di procuratori, magistrati, politici e industriali. Nel caso di Siracusa, un territorio di agrumeti e pascoli è stato consegnato ai giganti del petrolchimico per farne ciò che ne volevano, negando qualsiasi altro tipo di sbocco o alternativa e rendendo gli abitanti del luogo facilmente ricattabili.
Il POLO PETROLCHIMICO DI SIRACUSA, TRA GEOPOLITICA E RAPPORTI INTERNAZIONALI
Il giornalista Fabio Lo Verso nel libro Il mare colore veleno ricostruisce, tra le tante cose, anche la storia del polo industriale. Il primo stabilimento risale al 1949, per opera dell’imprenditore lombardo Angelo Moratti che impiantò la RASIOM, l’ex Raffineria Siciliana Oli Minerali – a poca distanza la NATO aveva costruito tempo prima un pontile per navi e sommergibili dell’Alleanza Atlantica – poi venduta alla Esso nel 1961 e nel 2018 al gruppo algerino Sonatrach, la principale compagnia petrolifera del continente africano. Moratti ha pensato bene di importare dal Texas, nell’immediato dopoguerra, gli impianti di una fabbrica dismessa grazie all’appoggio dei responsabili del piano Marshall, che gliene hanno fatto dono, e a un credito ricevuto dal Banco di Sicilia.
Sono bastati un pontile e tre serbatoi in prestito della Marina Militare Italiana per dare avvio alla produzione. Negli anni successivi è arrivato il gruppo milanese Edison che ha costruito gli impianti della Società industriale Catanese (SINCAT) e più tardi della CELENE. La presenza di Montecatini, la successiva fusione con Edison in Montedison negli anni ‘60 e l’arrivo della Esso hanno trasformato il polo petrolchimico di Siracusa in un centro nevralgico dell’energia a livello mondiale con Augusta, in particolare, al centro dell’intesa tra Italia e Stati Uniti.
Trent’anni dopo dell’industria privata italiana era rimasta ben poco: mentre la Montedison, colpita dagli scandali nel 1991, trasferiva la produzione all’EniChem e all’Eni, la famiglia genovese Garrone, proprietaria del marchio ERG, nel territorio di Priolo Gargallo dava vita all’ISAB, l’ultima fabbrica di raffinazione del polo. Nel 2002 acquistava dall’Eni gli impianti e i serbatoi dell’ex Montedison unendo così i siti di raffinazione di Augusta e Priolo.
Quelle stesse fabbriche sono poi passate di proprietà alla compagnia russa Lukoil dal 2008 agli inizi del 2023 e da maggio dello stesso anno al gruppo Goi Energy, una società con sede a Cipro sostenuta principalmente da investitori israeliani. Oggi l’Eni è l’unica azienda italiana rimasta e sotto diverse denominazioni ha continuato a operare nel settore chimico. Una moltitudine di bandiere sventolano dunque nel polo petrolchimico di Siracusa, secondo in Europa, dove si raffina il 30% del fabbisogno nazionale di idrocarburi.
Settant’anni di storia tra raffinerie, aziende chimiche, una fabbrica di Eternit, cementifici, centrali elettriche e fabbriche di gas. Costruzioni e stabilimenti che sono arrivati fino a sotto le abitazioni, che hanno spianato ettari di terreni e raso al suolo borghi interi, come nel caso di Marina di Melilli, un villaggio di pescatori distrutto per fare spazio a nuovi stabilimenti. È nota a molti la storia dell’ultimo abitante, Salvatore Gurreri, che non ha voluto lasciare la sua casa sulla spiaggia ed è stato trovato morto, “incaprettato”, nel 1992.
VELENI NELL’ARIA, NELL’ACQUA E NEL SUOLO INTORNO AL POLO PETROLCHIMICO DI SIRACUSA
Trenta chilometri di costa intrisi di materie tossiche di ogni tipo sotto gli occhi di tutti e il silenzio e l’immobilismo della politica. Nel “quadrilatero della morte” la chimera del posto fisso si è rivelata una mera illusione – nella provincia di Siracusa il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 20%, per arrivare oltre il 50% tra i giovani – e la modernità tanto agognata e desiderata non ha fatto la vera fortuna di questi territori.
L’agricoltura è stata completamente soppiantata e privata delle sue braccia, finite a popolare raffinerie e impianti chimici, consegnando così il futuro e il progresso a un’industria che non ha mantenuto le promesse con le quali aveva illuso i sogni e le speranze di diverse generazioni, facendo leva sul desiderio di portare più soldi a casa e trasformatosi in turni snervanti tra fumi irrespirabili, acidi, ammoniaca e tanti altri veleni che si sono diffusi anche al di fuori degli stabilimenti.
«Chi ha inquinato ci ha lasciato in eredità migliaia di ettari di suolo da bonificare con i nostri soldi, hanno sfruttato l’impossibile. Su 5.800 ettari è stato bonificato appena il 2,2%. Lo stesso vale per i fondali del porto, circa 10.000 ettari con una ventina di milioni di tonnellate di fanghi da togliere», commenta Enzo Parisi, storico attivista di Legambiente Augusta.
Le sostanze sversate nel mare provengono dalle industrie del polo petrolchimico di Siracusa, mentre nel territorio se ne trovano altre provenienti da fuori, come le 9000 tonnellate di scarti siderurgici dell’Ilva, trasferite in una discarica tra i territori di Augusta e Melilli. Risulta ancora complicato collegare i vari inquinanti diffusi nella zona ad un’industria specifica del polo.
A differenza di siti come Porto Marghera o Ilva, qui non è ancora scattata l’attenzione mediatica che i vari processi giudiziari hanno acceso altrove. Sono in pochi a conoscere quanto avviene da decenni nell’area, le morti in eccesso, di cui parleremo in un prossimo articolo, le bonifiche promesse e mai realizzate.
IL POLO PETROLCHIMICO DI SIRACUSA E I GIOCHI DELLA MAGISTRATURA
Con l’inchiesta “Mare Rosso” agli inizi degli anni Duemila – il processo per lo sversamento di mercurio in mare provocato da EniChem – sembrava che potesse iniziare un nuovo capitolo. Si scoprì che lo sversamento non era stato un fenomeno isolato, ma andava avanti da decenni. La retata ordinata dal sostituto procuratore Maurizio Musco e gli arresti dei vertici dell’azienda facevano bene sperare.
Peccato che da lì a qualche anno l’inchiesta sia stata archiviata e un impiegato si è assunto le colpe. «Si è scoperchiato un vaso di Pandora, un sistema con metastasi a Taranto e a Milano. Il cosiddetto Sistema Siracusa, una rete di corruzione, che faceva capo agli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore e che non si fermava alla sola Siracusa, nata per tutelare gli interessi delle aziende. È stata smascherata la corruzione di un gruppo di magistrati i quali, invece di difendere i diritti e la salute delle popolazioni, hanno preferito i propri tornaconti personali, stabilendo amicizie, interessi economici, assumendo anche ruoli strategici», continua Enzo Parisi.
È solo nel 2019, con l’inchiesta No Fly, incentrata sulla qualità dell’aria, che si è potuto stabilire per la prima volta un nesso tra ricoveri, morti e inquinamento industriale grazie a un lavoro congiunto tra ricerca scientifica e giustizia. Gli stabilimenti, infatti, sono stati posti sotto sequestro per la natura inquinante delle emissioni.
L’ULTIMO SCANDALO DEL POLO PETROLCHIMICO DI SIRACUSA, SEQUESTRATO IL DEPURATORE PER DISASTRO AMBIENTALE
A giugno 2022 un ennesimo scandalo: la magistratura ha messo i sigilli all’unico depuratore dei reflui dell’area industriale gestito dall’Industria Acqua Siracusana (IAS). «Il depuratore funziona perché il laboratorio scrive numeri a minchia!…se si viene a sapere fuori, che noi non abbiamo controllato mai un cazzo!», riporta il giornalista Antonio Fraschilla nella sua inchiesta a L’Espresso. Dalla sua inaugurazione nel 1983, secondo gli inquirenti il depuratore non ha mai funzionato.
L’inchiesta non ha fermato le grandi aziende, complice anche la politica. «L’interlocuzione tra il mio Governo e i ministri Urso e Pichetto Fratin ha dato luogo all’approvazione di un decreto legge che ha scongiurato la paralisi dell’attività dell’impianto con conseguenze irreversibili e gravissime per tutta l’area industriale», ha dichiarato Renato Schifani, presidente della Regione Sicilia in merito al depuratore di Priolo. Il Governo nazionale con il “Salva Isab e IAS” ha ritenuto di fatto la zona industriale del siracusano, compreso l’impianto sequestrato, sito di interesse nazionale assolutamente strategico nel settore energia.
La Procura di Siracusa ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, in particolare sulla norma per cui «in caso di sequestro preventivo da parte dell’autorità giudiziaria di stabilimenti industriali dichiarati di interesse strategico nazionale o di impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il depuratore IAS, consente al giudice di autorizzare la prosecuzione dell’attività se sono state adottate misure di bilanciamento tra le esigenze dell’attività produttiva e dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente», spiega Legambiente Sicilia.
Secondo l’associazione ambientalista, il decreto interministeriale sostituisce le prescrizioni più rilevanti delle autorizzazioni vigenti, consentendo l’immissione di reflui connotati da percentuali di inquinanti di gran lunga superiori ai limiti di legge. Si prevede inoltre la misurazione della media mensile dei valori anziché giornaliera, consentendo alle aziende di effettuare degli scarichi di reflui caratterizzati da picchi giornalieri di inquinanti potenzialmente illimitati. Spetterà alla Corte Costituzionale l’ultima parola. «Si fanno leggi per garantire un assetto industriale non più funzionale, così come si è fatto per l’Ilva a Taranto, che assicurano la produzione e non la salute delle persone. Con questa politica riusciremo mai a venir fuori da questo pantano?», conclude Enzo Parisi.
Questi sono solo alcuni dei tanti avvenimenti inspiegabili che accadono nel polo petrolchimico di Siracusa. Nelle prossime settimane, attraverso una serie di approfondimenti, ve ne racconteremo degli altri. Solo conoscendoli è possibile trovare antidoti all’insensatezza e all’incoerenza politica del nostro paese.
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