Cosa faresti se finissi su un’isola deserta? Esperimento di filosofia a scuola
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Bologna, Emilia-Romagna - Quest’anno più di 200 bambine e bambini delle scuole primarie di Bologna si sono imbarcati in un’avventura filosofica per la quale hanno dovuto vestire i panni di veri e propri esploratori del pensiero. Ma prima di raccontarvi le tappe del loro viaggio, le loro scoperte e fatiche, è bene che vi dia una cornice generale. Da diversi anni il Quartiere S. Stefano di Bologna partecipa all’esperienza regionale di ConCittadini, un progetto di cittadinanza attiva che promuove progetti nelle scuole sui temi della memoria, dei diritti e della legalità.
L’avventura di cui vi parlavo si inserisce in questo contesto e per questo anno scolastico è stata progettata per le otto scuole primarie del Quartiere dalle filosofe e dai filosofi dell’associazione Filò – il filo del pensiero. Quest’anno per il progetto di ConCittadini Filò ha deciso di creare una grande cornice narrativa che coinvolgesse tutte le otto classi: la costruzione di una nuovo luogo politico, sociale e umano.
Abbiamo preso ispirazione da alcuni classici della filosofia: Thomas More – che nel 1516 pubblicò il libro Utopia, in cui descriveva un’isola retta da istituzioni giuste sulla quale i cittadini vivono felicemente – e il più antico Platone, che nella sua opera in forma di dialogo La repubblica risalente all’inizio del IV secolo a.C., considerava il progetto di una città ideale governata in base a principi filosofici. Le classi hanno dovuto affrontare tante prove, rompicapi filosofici e domande complesse, per trovare risposte e soluzioni per le quali è stato necessario un continuo confronto in gruppo.
Il punto di partenza in ogni classe è stato lo stesso esperimento mentale: l’arrivo su un’isola deserta – almeno apparentemente – e lontana da tutto e da tutti. Con le mie colleghe e colleghi filosofi di Filò, quando abbiamo fatto la progettazione abbiamo immaginato una serie di tappe con dei possibili temi da affrontare; ma il progetto è sempre e solo un’orizzonte regolativo, perché appena messo piede sull’isola ciascun gruppo-classe ha ovviamente preso strade diverse. Proverò a darvi un’idea, pescando un po’ di qui e di là, dell’aspetto che hanno preso i nostri incontri.
In una delle mie classi, appena ho introdotto lo scenario, le bambine e i bambini hanno fatto emergere molte domande sull’isola; così, verso la fine del primo incontro, ho chiesto loro di fermarsi un attimo a riflettere su quella a loro parere più importante rispetto alla situazione in cui si trovavano. Ciascuno di loro ne ha scritta una su un foglietto e l’incontro dopo le abbiamo lette. Eccolo alcune: “Come faremo a sopravvivere sull’isola deserta?”, “ma perché è successo proprio a noi?”, “ci sarà da mangiare sull’isola?”, “come faremo a riconoscere il cibo buono da quello velenoso?”, “quando potrò tornare a casa?”, “moriremo?”, “com’è fatta l’isola?” […].
Abbiamo fatto un lavoro di analisi e concettualizzazione delle domande in cui la classe era molto coinvolta, così ho chiesto loro di provare a individuare quali bisogni o desideri stavano dietro di esse. Un compito non facile, che però hanno capito e preso con molta serietà. Hanno enucleato 11 punti – tra cui sopravvivere, protezione, salute, sentirsi amati, bisogno di tranquillità, capire il perché – ai quali, a quel punto mi hanno suggerito, bisognava trovare delle soluzioni, andando con mia gioia verso una delle tappe che avevamo immaginato in sede di progettazione.
In tutte le classi ci sono stati momenti di costruzione dell’isola e, se in questa classe siamo partiti dalla soluzione dei loro bisogni così eterogenei, in altre si è partiti dalla necessità di organizzarsi da qualche parte per dormire e mangiare o dalla riflessione, subito più programmatica, di costruire delle abitazioni e quindi dei villaggi – come volete vivere, da soli o insieme? Che forme date ai vostri villaggi? Dove li collocate sull’isola?… In un’altra classe infatti, dove i bambini erano abituati a stare in piccoli gruppi consolidati, appena sbarcati sull’isola deserta è subito emerso il problema della convivenza, dell’esclusione e dell’inclusione.
Così i villaggi, come le soluzioni messe in atto – complessi sistemi di carrucole per trasportare i viveri, castelli di sabbia con stanze per chi si ammala, rifugi sugli alberi dove riunirsi quando qualcuna ha paura, colture di piante per mangiare e per curarsi, … – hanno preso forma a partire dai principi che le classi istituivano e problematizzavano e hanno trovato una prima concretizzazione in disegni e progetti. Più volte i bambini hanno espresso il desiderio di realizzare concretamente i progetti ideati, il che non è stato ovviamente possibile a causa della scarsità di fondi, lasciando però immaginare prospettive affascinanti.
La parte più corposa degli incontri è stata dedicata alla riflessione sull’organizzazione sociale, politica ed etica delle isole. Come si prendono le decisioni in gruppo? Qual è il metodo migliore? Il metodo migliore è anche il più giusto? Cosa succede se c’è disaccordo? Ci dovrebbero essere delle regole sull’isola? Se sì, perché, se no, perché? E se qualcuno non rispetta le regole, cosa succede? Quale forma di organizzazione vorreste darvi?
In alcune classi, si è indagato inoltre come avrebbero reagito se fosse arrivata in lontananza un’altra nave: Chi pensate che ci sia sulla nave, degli invasori, dei soccorsi, qualcuno che vuole venire a vivere qui perché ha saputo che si sta bene? Senza sapere cosa vogliono, li fate attraccare sull’isola deserta?
La filosofia può rispondere in modo sorprendente alle finalità sottese al progetto regionale di ConCittadini poiché, se praticata attraverso il dialogo di gruppo, riesce a offrire quelle esperienze autentiche che, seguendo il pragmatismo deweyano, esse sole riescono a essere occasione di conoscenza. In esse il fisico e il mentale, l’attivo e il passivo, non sono separati come spesso accade nei banchi di scuola, ma uniti. Da una parte quindi il dialogo filosofico attuato attraverso il metodo della comunità di ricerca (Dewey, Lipman) è un’esperienza di quei procedimenti che si raccolgo sotto la dicitura “cittadinanza attiva”, dall’altra è un’occasione per indagare e perlustrare oggetti, argomenti e questioni importanti per le bambine e i bambini.
I percorsi si sono conclusi con un evento aperto alle famiglie, che è stato occasione sia per raccontare la propria isola sia per fare delle attività insieme. “Ma ora i genitori ci vengono a prendere e ci portano via dall’isola?”, ha chiesto una bambina in una delle mie classi. Così abbiamo indagato insieme quest’ultima domanda:
- sì, forse ora ce ne andiamo via dall’isola e torniamo a Bologna
- sì, e magari spieghiamo agli altri cosa abbiamo imparato e inventato!
- per me no, non stiamo andando via, non dobbiamo andare via per forza
- magari i nostri genitori vengono sull’isola!
- forse l’isola appare di notte, quando dormiamo, come in un sogno comune, e poi sparisce quando sorge il sole
- però dato che siamo in IV secondo me abbiamo ancora un’anno intero per stare insieme sull’isola, fino alla fine della V!
- forse l’isola è una cosa che rimarrà sempre dentro di noi
E voi, come costruireste la vostra isola ideale? Per prendere ispirazione vi lascio la carta dei diritti che ha scritto una classe quinta:
- Diritto di partecipare alle discussioni
- Diritto di avere le stesse opportunità
- Diritto di riposarsi
- Diritto di cambiare compiti
- Diritto di allontanarsi per un po’ dal villaggio, per prendersi del tempo per sé e per stare da solo e riflettere
- Ognuno ha il diritto di avere qualcosa da mangiare
- Tutti hanno il diritto ad avere un proprio spazio per riflettere
- Ognuno ha il diritto di esprimere le proprie opinioni
- Chiunque ha il diritto di parlare dei suoi problemi
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