Spazi personali e collettivi: la cultura del gesto in Sardegna
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All’interno delle dinamiche culturali tradizionali sarde il gesto e in generale la gestualità hanno un grande ruolo identitario e sociale. Nell’immaginario esoterico le specificità dei gesti, nella coscienza della loro espressione, sono atti primari di modifica della realtà, in chiaro collegamento col pensiero magico. Il primo elemento che ci viene in mente riguardo il contesto isolano è senza dubbio il saluto a mano aperta tipico della bronzistica antica e tipico della quotidianità delle comunità rurali attuali.
SALUTI E RIVERENZA
Uno dei gesti più significativi è da individuare nel saluto a palmo aperto parallelo e accostato alla parte superiore del corpo. Lo ritroviamo nella gran parte dei reperti archeologici in miniatura di bronzo, patrimonio della nostra storia sarda. È molto probabile che due uomini adulti della stessa o di altra comunità che si incontrano nello stesso territorio o in territorio altro dell’isola si salutino in questo modo: si tratta di un gesto quotidiano molto presente nella memoria culturale ed è identificativo della gestione degli spazi personali e collettivi. La terra equivale simbolicamente al corpo e in questa equivalenza si cerca equilibrio nelle relazioni.
Questo gesto significa “io ti riconosco e mi mostro a te”. Inoltre far vedere il palmo pulito e alto significa manifestare pace, dimostrare la non aggressività. Esotericamente è un gesto significativo di apertura alla condivisione energetica a distanza: indica l’annuncio della disposizione al servizio e all’aiuto verso l’altro. Non a caso nelle statue in miniatura di bronzo è spesso associato all’offerta o a simbologie di potere come il bastone o il pugnale.
PORTAMENTO E REGALITÀ NEL GESTO
Mi viene spesso in mente ciò che lo scrittore Igor Sibaldi disse in un suo convegno sulla Cabala a Cagliari a cui partecipai anni fa e cioè che grandi esempi di regalità li aveva incontrati solo in certi sardi anziani dell’entroterra. All’interno della serie di libri I racconti della Nuraghelogia di Raimondo De Muro, l’autore definisce questo portamento adàsiu e lo identifica come caratteristico della nostra cultura e parte integrante dei valori da insegnare alle nuove generazioni. Questo portamento specifico predispone al rispetto altrui in quanto l’altro indica anche me, in termini spirituali.
Secondo questa logica è facile individuare segni reverenziali negli atti di saluto considerati sacri soprattutto all’interno delle stesse comunità. Abbassare leggermente il capo nell’incontro con chiunque è un atto reverenziale esattamente quanto togliersi il cappello: si mostra riconoscenza per l’incontro soprattutto se quotidiano quindi intimo. Negare il saluto a qualcuno invece equivale a negarne l’esistenza in termini di ruolo e funzione sociale, ma anche di legame identitario e interiore. Tanto più sarà stretto il legame con chi si incontra tanto più dovrà essere confidenziale il saluto, ma sempre senza dimenticare l’uso di un linguaggio che rispetti le leggi universali.
FORMULE BENEAUGURALI E RECIPROCITÀ DEL DONO NEL GESTO
Lo spazio personale diventa collettivo quando il ruolo sociale ha una funzione fondante per la continuità della comunità. Non può accadere quindi che le famiglie protagoniste di passaggi fondamentali dell’esistenza come nascita, crescita e morte vengano ignorate in un contesto pubblico. All’interno del saluto ravvicinato si mettono in moto una serie di dinamiche di linguaggio formulare che dimostri attenzione e rispetto dell’altro come per se stessi.
In caso si incontri una donna con figli la formula sarà benaugurale con lo scopo di allontanare le avversità fisiche e spirituali: “A ddu connosci mannu e bonu” ovvero “Che possiamo incontrarlo adulto e di buon cuore” a cui si risponde sempre con “Deus ollat” cioè “Dio lo voglia”. Formule simili, che vanno contestualizzate linguisticamente e antropologicamente, esistono per i riti di passaggio attualmente sincretizzati coi sacramenti cattolici come l’eucaristia durante l’infanzia o in periodo adulto il matrimonio.
Le formule richiamano la conservazione dell’abbondanza e l’esaudimento dei desideri e della volontà dei protagonisti degli eventi. Stessa cosa accade in caso di dipartita di un membro della comunità, per cui è richiesta la partecipazione collettiva in cui si esprime cordoglio attraverso la formula “A ddu connosci in sa Santa Gròria” ovvero “Che possiamo ritrovarlo in paradiso” con relativa risposta di affidamento alla Provvidenza.
Le formule sono spesso accompagnate da un dono, simbolo di reciprocità e manifestazione di presenza ed esistenza comunitaria. Esso può rappresentare aiuto materiale spesso economico, ma anche s’agiudu inteso come collegamento spirituale: “noi ci siamo per voi”. Il concetto di reciprocità si esprime nella locuzione agiudu torrau inteso come restituzione dell’aiuto.
LA FESTA E IL BALLO
I tempi di festa sono quelli in cui le gestualità diventano totalmente collettive e lavorano in sincronia affinché la comunità si mostri come un unico organismo pronto ad aprirsi alla devozione dell’intero territorio, dell’intera isola o dello sconosciuto altro. La festa muove lo spazio fuori dal tempo lavorativo e ne definisce le pause con esaltazione dell’abbondanza collettiva attraverso orge alimentari comunitarie e familiari e soprattutto attraverso le sonorità tradizionali. Il ballo diventa così momento di condivisione fisica dello spazio e del tempo circoscritti alla specifica devozione ma estesa al propiziare la continuità identitaria. Di grande importanza la gestualità del ballo universalmente riconosciuto come sardo dai sardi: il ballo tondo, su ballu tundu.
La creazione di un cerchio da parte dei partecipanti mentre si avvicinano l’uno all’altro a manu tenta, in una stretta di mano intima che segue i ritmi cadenzati dai piedi che con grande compostezza e abilità floreale, stimola la terra affinché tutti vengano salutati, riconosciuti e benedetti da essa. Attraverso il ballo si rinsaldano le relazioni sociali e intercomunitarie, si creano nuove relazioni smuovendo nuove energie e soprattutto si raggiunge uno stato di coscienza di totale pace interiore: l’inconscia creazione di un uroboro umano in un’epifania di radicamento e regalità.
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