4 Apr 2024

Nancy Cassalia: “Libertà, ascolto e decostruzione per fare educazione alla legalità in Calabria”

Scritto da: Tiziana Barillà

Questa settimana, nel viaggio dentro le attività di CCO in Calabria, approfondiamo il lavoro nelle scuole con i laboratori di Palcoscenico della legalità. Ne abbiamo parlato con Nancy Cassalia, che ci ha raccontato come l’associazione porta avanti un percorso di educazione alla legalità partendo dalla decostruzione dei luoghi comuni e dalle storie di chi combatte o ha combattuto le mafie sul territorio.

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Nancy Cassalia è lei stessa il risultato degli sforzi quotidiani dell’educazione alla legalità. Quando era un’adolescente calabrese, studentessa di Gizzeria, un piccolo paese vicino Lamezia Terme, una sua insegnante è entrata in classe per chiedere chi di loro volesse partecipare a un festival del libro sulle mafie. A Nancy e una sua compagna è bastata un’occhiata per accettare la sfida. Quel festival si chiama Trame e dal 2011 ospita a Lamezia scrittori, giornalisti, magistrati e studiosi che si incontrano nelle piazze della città per discutere e presentare libri dedicati al fenomeno delle mafie e della ‘ndrangheta.

Da allora, Nancy ha coltivato il suo impegno con l’associazione Libera e nelle attività delle politiche giovanili in Calabria, fino all’incontro con CCO – Crisi come opportunità. Oggi è una formatrice a tutti gli effetti, di anni ne ha 30 ed è rimasta in Calabria dove si occupa dei Laboratori di educazione alla legalità nelle scuole, condotti dagli attori e formatori dello spettacolo teatrale “Se dicessimo la verità – ultimo capitolo”

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Nancy Cassalia

«Ho scelto di rimanere», racconta Nancy. «Il mio impegno nel terzo settore, in particolare nell’educazione alla legalità, ha basi sin da adolescente. Adesso che mi ci fai pensare, ho trascorso metà della mia vita in macchina girando per le scuole della nostra regione», scherza. Nel 2019 entra in un team tutto al femminile e va a Roma per formarsi perché, dice, «per quanto noi siamo state militanti nell’antimafia c’è sempre da imparare nuove metodologie o nuovi percorsi».

Finalmente i primi laboratori di Palcoscenico della legalità in Calabria si tengono a gennaio 2020, poi fermati causa pandemia e ripresi nel 2023 «quando il Progetto Ponti è arrivato in Calabria dandoci la possibilità di ricominciare», continua Cassalia. «Solo con questo progetto lo scorso anno abbiamo tenuto 72 incontri in 36 classi, nel territorio del Catanzarese, della Piana di Gioia Tauro e della Locride». 

Attraverso giochi di ruolo, esercizi di concentrazione, di ascolto dell’altro, di condivisione, gli studenti vengono spinti a ragionare sui concetti di legalità e impegno civile. Vengono analizzate vicende che riguardano le realtà territoriali specifiche in cui vivono e studiano le classi coinvolte, con l’obiettivo di stimolarle a osservare il proprio comportamento quotidiano, quello della propria famiglia, del quartiere, nell’ottica di assunzione di responsabilità, cittadinanza attiva ed educazione alla legalità.

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Francesco “Kento” Carlo, rapper, scrittore e formatore

Nel corso degli incontri si introducono e si discutono i temi affrontati nello spettacolo. «Coinvolgiamo i docenti che sappiamo più inclini ma cerchiamo anche le scuole in cui c’era più difficoltà», continua Nancy. «“Non sono i sani che hanno bisogno del medico ma i malati” diceva Don Milani e vale anche per noi. Perché è più facile lavorare in contesti già formati, più difficile è riuscire a entrare in contesti dove ci sono difficoltà, che siano legate al progetto scolastico, alla situazione territoriale o alla presenza della ’ndrangheta». 

Con Nancy andiamo a esplorare il metodo di CCO nell’educazione alla legalità: un approccio informale e intersezionale, che garantisce grande flessibilità nei ragionamenti, unito però al rigore dei contenuti e dei valori del messaggio. «Abbiamo un approccio molto informale», conferma Nancy. «Non entriamo in classe facendo una lezione, entriamo e ci sediamo sui banchi, l’aspetto frontale non appartiene al metodo di CCO, lavoriamo sempre in cerchio e cerchiamo di fare sempre attività dinamiche». Grazie all’approccio intersezionale, da quattro anni, CCO si occupa di carcere minorile con un progetto che si chiama “Presidio culturale permanente” e che, anche grazie al contributi di artisti calabresi come Kento, ogni settimana tiene laboratori di rap ai giovanissimi detenuti. 

Attraverso giochi di ruolo, esercizi di concentrazione, di ascolto dell’altro, di condivisione, gli studenti vengono spinti a ragionare sui concetti di legalità e impegno civile

Qualunque sia il grado di difficoltà che avvolge i giovani calabresi, la sfida è costruire un clima di fiducia e di ascolto. «Soprattutto il punto cardine è: non esistono risposte giuste o sbagliate, ma siamo lì per capire insieme», spiega Nancy. «Non abbiamo verità assolute, partiamo sempre dall’ascolto, questo significa che prima di portare qualunque tematica in classe non cerchiamo di capire da che punto partiamo».

Vengono scelte con cura le storie da raccontare nelle scuole soprattutto per una questione di prossimità sia territoriale che di età, affinché le storie non siano qualcosa di troppo lontano da loro. «Grazie e attraverso la ricerca di Sabrina Garofalo, Sulle tracce dell’anti-ndrangheta, ripercorriamo anche le storie positive del territorio: le tante esperienze che testimoniano il riscatto sociale in Calabria, dalle cooperative sociali alle testimonianze dei familiari delle vittime».

Prima di salutare Nancy le chiedo uno sforzo, un’immagine che possa portarci in classe con loro quantomeno con l’immaginazione. «Quando scriviamo la parola “mafie” e ci soffermiamo sull’importanza delle parole e di chiamare le cose con il loro nome, viene sempre fuori la parolina “’ndrangheta”. E allora scriviamo sulla lavagna anche “andros agathos”, che significa “uomo valoroso”, chiedendo ai ragazzi quali siano secondo loro i valori della ’ndrangheta, puntualmente vengono fuori i luoghi comuni come, per esempio, “non toccano le donne e i bambini”. A quel punto iniziamo un percorso di decostruzione di questi luoghi comuni, in questo caso per esempio attraverso il racconto di storie di vita vera, come quella di Maria Chindamo». 

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