3 Apr 2024

Disability Film Festival: parlare di disabilità oltre gli stereotipi pietistici o eroici

Un festival pop con un linguaggio semplice e diretto che vuole parlare di disabilità superando visioni stereotipate e pregiudiziali e creando un terreno culturale in cui persone con e senza disabilità possano convivere. Il tutto con un doveroso occhio all'accessibilità e all'abbattimento delle barriere. È questo l'intento della rassegna cinematografica Disability Film Festival, giunta alla sua seconda edizione.

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Torino - Il Disability Film Festival è una rassegna cinematografica che ha l’obiettivo di promuovere un cambio narrativo nei confronti della disabilità attraverso il cinema. La manifestazione, nata nel 2022, si svolge a Torino ed è organizzata Volonwrite, un’associazione attiva dal 2009 nel campo della comunicazione sociale multimediale sulla disabilità. Il Disability Film Festival rappresenta un esempio di come sia possibile promuovere un cambiamento culturale verso l’inclusione attraverso l’arte, creando una narrazione condivisa alla quale prendano parte tutte e tutti, persone disabili e non disabili. Ho chiesto Marco Berton, uno degli organizzatori, di raccontarci qualcosa in più sul festival.

Potreste raccontarmi in breve qualcosa sul Disability Film Festival, come nasce, perché e come si evolve nel tempo?

L’idea del Disability Film Festival nasce nell’anno del decennale di Volonwrite con l’obiettivo di andare oltre il semplice racconto giornalistico della disabilità. Per farlo siamo partiti da due presupposti: Torino come capitale italiana delle rassegne cinematografiche tematiche e la contemporanea assenza di un focus specifico sul tema. L’obiettivo è quello di cambiare le prospettive, abbattendo le barriere culturali attraverso la potenza dei linguaggi espressivi – non solo cinema ma anche libri, arte e musica – e gli incontri con attivisti e attiviste, portandola al di fuori della propria comfort zone.

Disability Film Festival

La direzione artistica è quindi orientata alla creazione di momenti in cui prendere la parola, senza essere coperti dalla maggioranza e senza la pretesa di mettersi in cattedra per affermare verità assiomatiche, ma facendo del confronto la chiave per una rappresentazione sfaccettata.

La narrazione della disabilità nella nostra società è spesso legata a un’idea di dolore, tragedia o, all’opposto, all’ideale del superamento dei propri limiti, quella che l’attivista Stella Young definì “inspiration porn”. In che modo il cinema – ma direi in generale l’arte – può aiutare a comprendere mondi spesso poco conosciuti come quello della disabilità e a scardinare stereotipi che non ne rappresentano la realtà?

Innanzitutto prendendo una posizione chiara: nel nostro caso, nel selezionare l’intera proposta culturale optiamo per un approccio identitario della disabilità, costituito da un insieme di caratteristiche cruciali che plasmano la persona e il proprio modo di essere. Le narrazioni di cui siamo costantemente alla ricerca devono quindi presentare le persone con disabilità da una prospettiva il più possibile interna e verosimile: se decidiamo di portare una rappresentazione lontana dagli stereotipi pietistici o eroici, lo facciamo consapevolmente per mettere in luce le criticità e praticare il confronto.

In generale, la prova del fermento del cinema e la voglia di rendere la diversità una questione cruciale è dimostrata dal proliferare di rappresentazioni di ogni tipo, sia nel mainstream che sui circuiti indipendenti – basti pensare alle nomination agli Oscar di “Poor Things” e “Anatomy of a fall” – da cui cerchiamo di attingere.

Disability Film Festival
Sulla pagina del Disability Film Festival è scritta una cosa che trovo davvero bella e cioè che la manifestazione ha “l’obiettivo di promuovere un’evoluzione culturale attraverso l’arte stessa sviluppando la sinergia tra persone con e senza disabilità”. Tu sai che a me più che di inclusione piace parlare di convivenza come processo che vede un movimento reciproco degli uni verso gli altri. Come pensi che una manifestazione come la vostra possa contribuire a creare una realtà di questo tipo?

Prima di tutto grazie a un’offerta culturale che vede nel protagonismo, nell’autodeterminazione e nell’autorappresentazione delle persone disabili la sua essenza: non a caso il ruolo di direttrice artistica è ricoperto da Carmen Riccato, una persona con disabilità di comprovata competenza nel campo del cinema. L’idea è quella di offrire un punto di vista interno, intimo e in grado di valorizzare le reciproche identità.

Un secondo aspetto importante riguarda il target: il Disability Film Festival infatti non è rivolto a una platea di esperti, bensì a un pubblico eterogeneo. Infatti si caratterizza per essere una rassegna volutamente pop, con contenuti pop divulgati attraverso un linguaggio semplice, diretto, leggero, informale. Anche gli spazi giocano un ruolo fondamentale: a ospitarci infatti è una location dove si svolgono abitualmente eventi culturali e che si caratterizza come luogo di incontro, condivisione, scambio e contaminazione. A tenere insieme tutti questi elementi è un approccio intersezionale in grado di sovrapporre diverse tematiche.

Disability Film Festival
Un argomento spesso poco discusso al di fuori degli ambienti che si occupano di disabilità è quello dell’accessibilità. In particolare, l’accesso alla cultura è spesso negato alle persone disabili da una serie di barriere – architettoniche, sensoriali, cognitive… – di cui la società non sempre pare essere consapevole. Qual è la vostra esperienza nella progettazione del festival, le difficoltà che avete incontrato e i risultati raggiunti anche sul territorio nel sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento?

A Torino, grazie alla costante attività di sensibilizzazione, l’attenzione delle istituzioni e degli operatori culturali verso le esigenze delle persone disabili – soprattutto motorie e sensoriali – è cresciuta notevolmente. Questo clima ha giovato anche al Disability Film Festival e si è concretizzato in una relativa facilità nel trovare una location adatta e nel reclutare professionalità competenti.

Chiaramente si può fare sempre di più e meglio, soprattutto nei confronti delle disabilità intellettive e delle neurodivergenze, così come in termini di nuove tecnologie. Uno dei punti più critici è stato sicuramente quello della scarsità di risorse: per problemi di budget infatti non abbiamo potuto utilizzare le piattaforme di caricamento, condivisione e fruizione di film audiodescritti e sottotitolati.

Nel selezionare l’intera proposta culturale optiamo per un approccio identitario della disabilità

Puoi anticipare qualcosa sulla prossima edizione del Disability Film Festival?

Per il 2025, l’idea è quella di mantenere lo stesso format perfezionando alcuni aspetti: primo tra tutti quello dell’accessibilità, garantendo un’esperienza ancora più coinvolgente non solo attraverso l’interpretariato LIS, la sottotitolazione e l’audiodescrizione dei film, ma anche attraverso la resa accessibile dei concerti e la sottotitolazione live dei talk. Il tutto grazie a una collaborazione ancora più stretta sia con le associazioni che con le istituzioni, compresi gli atenei. Inoltre, stiamo valutando la possibilità di elaborare un bando di concorso per allargare la partecipazione e creare ancora più interesse.

Nonostante il tema non si ancora stato definito infine, la chiave che useremo per rappresentare la disabilità sarà quella dell’immedesimazione, a cui affiancare quella visibilità necessaria ad amplificare le possibilità di esistere e avere voce. L’obiettivo è quello di coinvolgere nuovi pubblici, come quello dei giovanissimi, presentando titoli, esperienze e diversità che finora non hanno trovato spazio.

Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti frutto della collaborazione fra Hangar Piemonte e Italia Che Cambia che ha lo scopo di raccontare la trasformazione culturale che stanno mettendo in atto persone, organizzazioni e intere comunità intorno a noi.

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