Le Case Matte in cui disabilità, inclusione e turismo si incontrano
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Taranto, Puglia - Vincitrice assoluta del premio BITAC 2023, la Cooperativa ISACPro di Taranto è nata nel 2015 dall’idea di una decina di donne, professioniste della sanità mentale, con l’intento di essere una terra di mezzo tra l’assistenzialismo e l’”empowerment” a supporto di persone con disabilità.
In una terra in cui la fragilità fisica o psicologica è spesso considerata “un difetto” e la cultura famigliare non promuove un dialogo aperto sulle necessità emotive dei singoli famigliari, le psicologhe e psicoterapeute alla base della Cooperativa hanno creato un gruppo formato anche da professioniste che hanno studiato nel nord Italia, ma che hanno scelto di tornare a Taranto e unirsi alla ISACPro. Enrica Sibillio e Chiara Massafra sono tra le fondatrici e le operatrici delle attività della Cooperativa.
Enrica, Chiara, voi fate parte delle 11 ragazze che lavorano per la ISACPro a Taranto. Volete raccontare ai nostri lettori com’è nata la Cooperativa e per quali principali motivi?
Il tutto è iniziato dal fatto che, come operatrici della sanità mentale, ci siamo rese conto che l’offerta era infinitamente inferiore ai fabbisogni reali della nostra città e del suo territorio. Dieci anni fa qui le persone con fragilità non godevano di alcun appoggio da parte della società civile e neppure le loro famiglie. Erano persone emarginate, con tante domande senza risposta. Ci siamo quindi organizzate in questo gruppo di professioniste per offrire dei servizi a prezzi molto calmierati al fine di sovvenire a questo vuoto esistente. Fin dall’inizio abbiamo ottenuto degli spazi presso i preti Salesiani ed è in questo luogo che riceviamo le visite delle persone e delle famiglie.
Abbiamo iniziato anni fa con una ragazza con la sindrome di Down e ora sono più di 80 le famiglie con diverse tipo di disabilità, neuro-divergenze, ritardi cognitivi, disturbi comportamentali, autismo che si rivolgono a noi. Oppure sono famiglie in cui nessun membro presenta patologie, ma che ci contattano per capire come comportarsi con i figli. Chiaramente per noi ogni individuo e ogni famiglia hanno un proprio profilo e un percorso personalizzato; sulla base di quello vengono portati avanti dei programmi specifici e si progetta insieme il futuro.
Come vi sostenete economicamente?
Nasciamo grazie a un bando regionale che ci ha permesso di creare questa piccola struttura. Le famiglie pagano rette mensili che permettono loro di seguire i percorsi, ma anche di pagare i nostri stipendi. Noi non siamo volontarie, la nostra vita non ce lo potrebbe permettere; inoltre pensiamo che un lavoro di volontariato non avrebbe questo livello di professionalità. .
Come siete organizzate tra di voi?
Non siamo tutte di Taranto, ma il nostro lavoro ci da così tante soddisfazioni che ci fa piacere ogni giorno percorrere un po’ di chilometri. Operiamo in modo “matriarcale”, ovvero in senso orizzontale, con una buona comunicazione che permette una sinergia senza gerarchia, anche se per forza deve esserci sulla carta. La rappresentante legale è Mariangela Cavallo, ma di fatto le decisioni le prendiamo insieme, anche se è faticoso a volte metterci tutte d’accordo, tuttavia è anche quella la bellezza del nostro lavoro.
Le persone arrivano da noi grazie al passaparola, anche perché non trattiamo solo famiglie tarantine, ma giungono da tutta la provincia perché la gente sente parlare bene di noi. Il nostro obiettivo è che, una volta terminato il percorso con noi, le persone “fragili” e le famiglie diventino autonome. L’unico grande problema che resta è a livello dei giovani, dei ragazzi più grandi che sono inseriti nelle famiglie, ma che avrebbero necessità di prospettive più grandi e concrete, come un lavoro che li includa nella comunità. Le Case Matte in cui disabilità, inclusione e turismo si incontrano. Hanno bisogno di socializzare oltre la famiglia e di non sentirsi emarginati e soli.
Cos’è il progetto Case Matte?
Allo scopo di colmare la solitudine dei ragazzi che seguono o hanno seguito un percorso con noi, ci siamo inventate il progetto Case Matte, che fin dall’inizio ha coinvolto altre organizzazioni che si occupano di turismo: l’associazione La Palomba e la Cooperativa Stream. Insieme a loro, i nostri ragazzi vanno alla ricerca di luoghi e personaggi poco conosciuti dal turismo a Taranto. Da questa scoperta nascono storie raccontate, si ritrovano luoghi dimenticati della nostra città, si incontrano situazioni in cui si compiono inattese azioni di fratellanza, di supporto reciproco, che senza questo progetto nessuno avrebbe mai conosciuto.
Ovviamente questi tour sono nati per dare ai nostri giovani la possibilità di sentirsi utili e farsi degli amici, oltre che per creare nuovi luoghi di socializzazione. Infatti prima di accompagnare i turisti i ragazzi vanno in cerca di artigiani poco conosciuti, negozietti tradizionali, persone che hanno tanto da raccontare e, grazie al modo di fare naturale e “genuino”, riescono a farsi delle nuove conoscenze e convincere quelle persone a far parte di un nuovo tipo di turismo.
Ovviamente i turisti che decidono di partecipare a questo progetto rappresentano una nicchia, che però è in crescita. Molti tra loro si sorprendono delle reazioni dei nostri ragazzi, ovvero del fatto che possano parlare, spiegare, fare “delle battute”, ridere, cantare, ballare. In questo modo possono guardare la disabilità di una persona come non hanno mai fatto prima e, allo stesso tempo conoscono una Taranto come non hanno mai visto prima di allora.
Case Matte è riuscito a rispondere a un bisogno dei nostri partners di servire una nicchia di turisti che abbiano a cuore alcuni valori. “Iniziato nel maggio del 2018, da subito abbiamo riscontrato un grandissimo successo. Da allora cerchiamo di tenere la narrazione alta attraverso i social media. Fino al 2022 il tour si svolgeva una volta all’anno, ma abbiamo ricevuto così tante richieste che da quest’anno abbiamo deciso di organizzarne uno per ogni stagione.
Spiegateci meglio chi sono in “casamattari”…
In totale i ragazzi sono 15, ma nessuno di loro è obbligato a organizzare un tour, dipende se a loro piace oppure no. Noi cerchiamo di costruire progetti che incontrino il piacere e le necessità di ognuno di loro. In base al tour e alle Case Matte vediamo quali siano i ragazzi interessati. L’ultima volta, pochi giorni fa, erano in tre, tra cui la giovane che abbiamo identificato come la nostra “PR”, una ragazza che abita nel quartiere dove avviene la passeggiata, mentre un’altra è l’addetta a foto e video degli eventi. A volte anche noi ci meravigliamo con gioia di quanto riescono a fare in autonomia, coraggio e dignità i nostri ex o attuali pazienti.
Per quanto riguarda i “casamattari”, ogni persona è diversa, ogni storia è a sé, e ogni volta sono grandi scoperte per tutti. L’ultima tappa l’abbiamo organizzata pochi giorni fa e tra i vari personaggi abbiamo incontrato una bibliotecaria che ci ha parlato di antiche storie, di cultura, ed era sinceramente entusiasta. Incredibilmente tutto quello che creano i ragazzi ha un senso, tanto da perdersi nel tour, e il gruppo intero rimane incantato di quello che succede.
Partiamo con una linea guida, ma poi “il viaggio” è basato sulle relazioni umane e ogni volta è come fosse la prima . Durante i prossimi tour pensiamo di organizzare dei laboratori alla fine delle tappe, come laboratori di serigrafia con tinte naturali, oppure workshop di foto con altri partners che fanno parte delle Case Matte o altre idee a cui stiamo pensando.
Due parole sul premio BITAC?
Con il premio al BITAC i ragazzi si sono “gasati” e quindi per noi il progetto Case Matte resta molto importante. A Ravenna, per il BITAC, abbiamo portato due ragazze con noi, Claudia e Marina, vivendo l’esperienza del viaggio insieme, dormendo in bus e tutte le tappe con gioia. Loro erano molto felici e alla fine, dopo il premio, tutti i partecipanti volevano parlare con noi. Marina, che era stanchissima, a un certo punto ha esclamato “vado io a parlare con quel signore”, così poi ce ne siamo andate a dormire!
Avete già altre idee in mente?
Vorremmo cercare di allargare i nostri servizi anche ad altre famiglie che affrontano momenti di difficoltà; per questo dobbiamo prima lavorare più a fondo su di noi, rimodellando il mondo che vorremmo vedere tra dieci anni. Ci rendiamo conto che tutti avrebbero bisogno di una guida che permetta di rendere autonome le persone.
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