Alex Zanotelli: “Disobbedienza civile per difendere la legge 185 sull’export di armi”
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Avete mai sentito parlare della legge 185? Probabilmente no, ma soprattutto in questa epoca in cui i conflitti che coinvolgono indirettamente il nostro paese non accennano a diminuire di intensità, è un testo fondamentale. Prima di tutto la legge 185 è nata nel 1990 dalla spinta di un grande movimento popolare che includeva I beati costruttori di pace, con Don Tonino Bello e altre numerose associazioni. E poi includeva tutte le organizzazioni di base, anche del mondo cattolico.
«All’epoca persi il mio incarico di direttore di Nigrizia proprio per le mie denunce sulle armi», ricorda Alex Zanotelli. «Penso che anche questo brutale provvedimento abbia ispirato tutto questo movimento consentendo di far approvare questa legge, che è un unicum in Europa». Con padre Zanotelli affrontiamo dunque la discussione sulla drammatica attualità, che rischia di vanificare i risultati ottenuti da quella grande mobilitazione.
Il Senato ha approvato le modifiche alla legge 185/90, che regolamenta le esportazioni di armi convenzionali. Con queste modifiche si vogliono cancellare gli obblighi di trasparenza e rendicontazione in Parlamento su export di armi e relativi finanziamenti. Se la legge passerà non sarà più possibile avere la lista delle banche armate e sarà compromessa la trasparenza.
Faccio una premessa illustrando brevemente la legge 185, che di fatto prevede un controllo prima di tutto parlamentare sulle armi e questo permette al Parlamento di fornire ogni anno i nomi delle banche che pagano per le armi. La supervisione sulle armi per noi è fondamentale per conoscere e poi boicottare le banche che finanziano l’industria bellica. Non avremmo mai potuto far anche la campagna contro le banche armate se non avessimo avuto questo strumento. Per esempio oggi sappiamo che l’80% degli investimenti per costruire armi in Italia proviene da tre gruppi: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Deutsche Bank.
Qual è la lettura che dai al tentativo di riforma della legge 185?
Il problema è in sostanza etico. Come faccio a mettere i miei soldi in una banca che costruisce strumenti di morte che poi vanno a uccidere persone in guerra? Menziono sempre il grande teologo che ha partecipato al concilio Vaticano secondo, Monsignor Chiavacci di Firenze. Bravissimo. Conosceva il problema finanziario meglio di tanti intellettuali e diceva che è un dovere etico e morale per un cristiano – ma anche per ogni cittadino – sapere dove mette i propri soldi e come quegli investimenti vengono utilizzati.
Ma questo principio fondamentale, che è stato alla base della campagna contro le banche armate, purtroppo non sta passando nell’ambiente ecclesiastico. Se le diocesi italiane ritirassero i propri soldi da queste banche, metteremmo in crisi la costruzione di armi. Chi l’ha capito è stato Crosetto, il ministro – ma non il nostro il ministro! – della difesa, che è turbato e infastidito dalle banche etiche, come ha dichiarato lui stesso, arrivando a ipotizzare la creazione di “una banca ad hoc per supportare l’export militare”. Ma adesso il problema più urgente è l’attacco alla 185/90; ecco perché abbiamo indetto recentemente a Roma una conferenza stampa per cercare di mettere insieme tutte le realtà che nel 1990 avevano portato a questa legge.
Una possibilità potrebbe essere attuare su larga scala una forma di obiezione del risparmiatore in favore della banca etica?
Penso che dobbiamo capire che non basta agire a livello individuale, ma dev’essere una campagna di massa e collettiva. E questo non soltanto per la costruzione di armi: purtroppo in Italia se ne parla pochissimo, ma il consiglio ecumenico delle chiese a Ginevra ha promosso una campagna contro le fonti fossili che è andata meglio della campagna contro le banche armate. Se manca la prospettiva collettiva si riduce tutto a un “io sono bravo perché non metto i miei soldi nella banca armata”. No, non è una questione di mettersi la coscienza a posto. Dobbiamo dare attuazione con forza ai principi della nonviolenza, la stessa forza che serve per i grandi boicottaggi dal basso.
La storica esortazione quella di Pertini “svuotiamo gli arsenali e riempiamo i granai” può essere invocata per le banche che finanziano le fabbriche di armi?
Certamente anche questo è un passaggio su cui riflettere con cura, così come per la campagna per boicottare le banche che finanziano i produttori di armi. Perché per le campagne ci vuole tempo e devono essere coinvolti tutti i soggetti efficacemente, altrimenti diventano fasulle. E soprattutto è necessario il consenso popolare e di massa.
Puoi commentare il comunicato stampa dell’ONU che si rifà alla sentenza della corte internazionale di giustizia del 26 gennaio nonché alla convenzione di Ginevra che chiede sostanzialmente agli Stati membri di interrompere l’export di armi verso Israele?
L’Italia ha un trattato secretato con Israele. Ha continuato e continua a vendere armi in tutto il periodo della guerra – o meglio, del genocidio. Agli Stati quello che importa sono gli interessi economici e finanziari e questo è un grande limite. Al contrario, quando si parla all’opinione pubblica si fa leva sulla coscienza della gente, che deve essere cambiata perché la grande rivoluzione che attendiamo arriverà dal basso e sarà nonviolenta. Ma questo avverrà solo quando la gente prenderà consapevolezza e urlerà e griderà: basta!
Pensi che quando la riforma della 185 arriverà alla Camera ci sarà una forte e massiccia manifestazione a Roma?
Non lo so, ma faremo di tutto. Purtroppo oggi è inutile parlare di pace. È totalmente inutile. E citerò sempre la testimonianza attiva ed efficace di padre Daniel Barragan, gesuita americano, che ha sostenuto e animato la resistenza negli Stati Uniti durante la guerra contro il Vietnam. Barragan diceva: «Ragazzi è inutile parlare di pace, perché fare pace costa come fare guerra». Quell’uomo ha fatto 44 mesi di galera negli Stati Uniti per le sue scelte.
Eppure sono convinto che oggi abbiamo bisogno di atti di disobbedienza pubblica e civile di massa. Serve la capacità di disobbedire, finire in tribunale, se serve anche in prigione. La mia proposta sarebbe quella di sollevarsi seriamente e di compiere gesti di disobbedienza civile dal basso. Si diventa più efficaci con un gesto di questo tipo, come i ragazzi di Ultima Generazione insegnano.
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