“Il Tyrrhenian Link è l’ultimo tentativo di colonizzare l’Isola, poi non resterà più niente”
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Cagliari - Il simbolo di una rete, un punto di riferimento per tutte quelle persone che non vogliono cedere i terreni ai progetti di speculazione energetica e che non vogliono altre servitù nella terra che abitano. La lotta contro il Tyrrhenian link nelle campagne di Selargius ha il suo presidio: è sa barracca, una struttura dalle pareti essenziali ma con fondamenta resistenti, ancorate all’identità del territorio. Nasce in difesa delle campagne nell’agro in zona “Su Padru”, in uno dei terreni che subiranno l’esproprio: «Qua i proprietari hanno deciso di non vendere a Terna SPA per il progetto del Tyrrhenian Link», spiega Emanuele Mereu.
L’infrastruttura, volta a collegare la Sardegna con la Sicilia tramite un cavo sottomarino ad alta tensione, impegnerebbe 17 ettari di un territorio selargino che non è terra di nessuno, è luogo di tutti. Orticoltura, apicoltura, viticoltura, ma anche libero spazio naturale: nella società dove il capitalismo obbliga alla produzione, ribadire la funzionalità delle campagne serve a proteggerle da cementificazione e antropizzazione; ma ricordare l’utilità dei luoghi naturali in quanto tali serve a evitare che “incolto” diventi sinonimo di “nulla” e che tale apparente assenza di produzione giustifichi l’occupazione di quelle terre.
Iniziamo dagli albori: come e perché nasce sa barracca?
La mobilitazione è iniziata qualche anno fa, prima della costituzione del Comitato No Tyrrhenian Link: ci siamo uniti innanzitutto come persone che lavorano nelle campagne della zona, facevamo il mercato dei piccoli produttori. La sensibilizzazione è stata un percorso parallelo, frutto dalla memoria storica: qua esiste già una stazione Terna, abbiamo subito una prima, più piccola occupazione negli anni ’80, quindi prima ancora di sapere dove sarebbe stato il progetto del Tyrrhenian Link avevamo già iniziato a parlare, a conoscerci e a fare rete.
Dalle precedenti esperienze di lotta è nata poi l’idea di costruire un presidio anche fisico davanti alla minaccia dell’ennesima azione di Terna, soprattutto in virtù della portata del progetto. Abbiamo pensato che ribadire la nostra presenza nel territorio includendo chi in quel luogo vive e lavora sarebbe servito, ancora di più se in uno di quei terreni comprese nella progettazione. Dall’idea siamo passati subito alla pratica: occupare questo luogo con un presidio fisico, culturale e soprattutto di lotta è una questione di resistenza. Noi siamo qui da sempre, quando verrete a prendere questi terreni ci saremo sempre.
Che cosa accade al momento nei terreni interessati dal progetto Tyrrhenian link?
Ci sono orti, coltivazioni di mandorle, ulivi, vigne. C’è chi produce per sé e per la propria famiglia e chi invece versa. In queste zone cresce anche il famoso cappero selargino. Io ad esempio oltre all’orto ho anche delle arnie e per quanto riguarda le api il problema non è solo il terreno mancante, ma anche il fatto che soffrono l’inquinamento elettromagnetico. Sono terre che poi oltre alle case custodiscono anche la memoria storica di chi li ha vissuti.
La campagna qua è viva ed è attraversata, anche se c’è chi dice che sia abbandonata. Ma poi a prescindere, se si pensa allo sviluppo solo in ottica industriale, capitalista e colonialista, non abbiamo alternative: sa terra at a diventai cimentu e in su cimentu no ci pones nudda [la terra diventerà cemento e nel cemento non puoi piantare niente, ndr].
Di colonialismo energetico parla anche chi guarda al cosiddetto assalto eolico, fenomeno tra l’altro spesso collegato al progetto del Tyrrhenian Link.
Questa è l’ultima delle varie azioni coloniali. Le servitù militari, l’industrializzazione che ha lasciato il deserto, ora l’energia. In Sardegna troppe volte abbiamo lasciato agire chi detiene il potere di sfruttare i territori avendo però interessi altrove, la speranza è che questa volta non accada altrettanto. Tutto questo magna magna di terreni agricoli da parte di piccoli e grandi proprietari di aziende è un pericolo reale per la nostra Isola: che cosa vogliamo diventare? È una questione di autodeterminazione, dobbiamo capire cosa siamo, cosa vogliamo essere per noi e rispetto alla nostra terra.
Se non ci mettiamo noi in prima persona a lottare e chiamare le cose con il loro nome, la prossima ondata di colonialismo sarà l’ultima: in Sardegna non resta più niente. Dobbiamo dare una risposta che sia concreta e chiara, anche per questo col nostro presidio abbiamo sentito la necessità di mettere insieme più livelli: quello aggregativo, di conoscenza, culturale e insieme di lotta e contrapposizione al progetto del Tyrrhenian Link.
Come si sta in questa lotta?
Noi lo vediamo ogni giorno quel cantiere. C’è tanta rabbia e non solo tra chi fa parte dei Comitati: non c’è persona che non ti dica che con questi progetti si sta facendo qualcosa di molto negativo per il presente e per il futuro dei nostri territori. Ultimamente sono comparse molte scritte nei muri in campagna, danno l’idea della rabbia che c’è.
Come fino ad adesso i sardi in generale hanno risposto alla questione di questa speculazione spacciata per transizione energetica mi sembra positivo. Certo, il fatto che i progetti vadano avanti è frustrante, ma la risposta coesa è una buona cosa e deve continuare. La solidarietà deve essere forte, contro lo sfruttamento e la repressione serve l’unione di un popolo.
E l’unione siete riusciti a costruirla anche grazie a sa barracca, ponendo l’accento sull’importanza della socialità. Che cosa avete organizzato da quando a settembre 2023 avete annunciato il presidio?
Da quando l’abbiamo costruita abbiamo sempre portato avanti iniziative aggregative, dalla vendemmia collettiva ai pranzi, alle proiezioni dei film. Abbiamo dato vita a un posto che è simbolo del prendersi cura del territorio. Non mancano i mercatini dei piccoli produttori che permettono di conoscere chi abita questi luoghi e le iniziative musicali: le belle situazioni creano inclusione di persone e temi, ci si conosce nelle varie rivendicazioni, ci si trova e unisce. Se poi pensiamo al fatto che tutto ciò sta nascendo in luoghi che stanno distruggendo, acquista ancora più valore: il Tyrrhenian Link riguarda tutta la Sardegna, più siamo meglio è.
Un’ultima domanda: a cosa serve rivendicare il termine lotta?
Cultura, cura e lotta qua procedono insieme. Riconoscere una controparte, cosa non si vuole essere, chi vuole colonizzarti, ci fa riconoscere prima di tutto come comunità. Non è solo una lotta attuale, deve essere una lotta propositiva per capire cosa vogliamo dalla Sardegna, come possiamo prenderci cura dei territori, creare una consapevolezza collettiva e vivere il territorio in maniera sana. Sentiamoci popolo soprattutto nella lotta, perché significa trovare e avere coscienza del fatto che il nemico sta fuori e che gli strumenti per l’autodeterminazione sono in noi.
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