19 Mar 2024

La realtà del suono: tradizioni musicali e riti del sussurro in Sardegna

Scritto da: Marta Serra

Nel grande calderone dell’oralità sarda è immediato l’inserimento, in chiave di memoria storia e antropopoiesi, della tradizione etnomusicologica. Ce ne parla Marta "Jana Sa Koga" Serra, strega, antropologa, studiosa di pratiche ancestrali dell'isola e curatrice di una rubrica sull'esoterismo in Sardegna. Canto a tenore, launeddas, brebus, Sciola e Maria Carta: un viaggio nel suono, tra ricerca di armonia e esoterismo.

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Il patrimonio immateriale culturale delle sonorità tradizionali è sterminato e ben si coagula attorno alla definizione di identità radicata, in quanto espressione di una visione naturale dell’esistenza. Tutti i suoni tradizionali fanno riferimento diretto alla terra e alla natura nella cultura isolana. Lo possiamo notare dall’oggi con l’arte rivoluzionaria delle pietre che cantano di Pinuccio Sciola e dal profondo ieri con le launeddas, lo strumento più antico e più radicato nella ritualità culturale, tra il sacro e profano.

SUONO DI CANNE E RICERCA DELL’ARMONIA

Abbiamo testimonianza dell’utilizzo di uno strumento a fiato a tre canne fin dall’epoca nuragica grazie al bronzo itifallico ritrovato a Ittiri nel 1907, che inquadra le launeddas come uno degli strumenti più antichi al mondo. Tutt’oggi, le sue specifiche accordature, l’insufflazione diretta e la respirazione circolare – nonché il suo radicato utilizzo nei tempi della festa sacra e profana – lo rendono uno strumento affascinante per le sue origini e la sua longevità. D’altronde, come dice con un suo chiaro aforisma uno dei più grandi esponenti della valorizzazione e tutela di questi antichi suoni, Vincenzo Cannova, “bisogna avere radici forti per non andare dove tira il vento”.

suono
Giardino sonoro di Sciola, foto di Ettore Cavalli

Come spiega lui stesso a ogni presentazione del suo libro di aforismi, l’etnomusicologia sostiene l’ipotesi per cui le tre canne siano l’oggetto musicale più antico da cui si è tratto poi l’esempio per il canto a tenore e quindi il canto a cuncordu. Le armonie di queste nostre canne, in danza tra vento e legno vivo, ci ricordano la presenza del metallo dentro la pietra dura della nostra consapevolezza. Esotericamente is launeddas sono la ricerca dell’armonia della trinità umana nella sua composizione: corpo, anima e spirito. Indicano nella natura il punto di riferimento assoluto per la crescita dell’essere umano. Sempre a cerchi concentrici, come nell’acqua del loro radicamento.

SONORITÀ E NATURA, SONORITÀ E SACRO

Agli accordi tutti musicali de is launeddas si affiancano quelli del canto a tenore che nella loro composizione di oghe, mesu oghe, bassu e contra si riferirebbero al sottofondo sonoro del paesaggio agro-pastorale, ogni luogo in base alle proprie peculiarità territoriali. Questa pratica musicale tradizionale è un serbatoio infinito di cultura orale perché alle melodie si affiancano le parole rigorosamente in poesia de sa oghe che improvviserà o proporrà un particolare repertorio in base al contesto in cui si manifesta l’azione creativa. Anche qui, tra sacro e profano, è evidente la capacità di questo tipico canto di suscitare memorie ancestrali ed emozioni sempiterne.

Così il canto a cuncordu che sottolinea, anche nel suo repertorio, l’importanza della presenza sonora radicata durante le cerimonie sacre

Le profondità sonore ricordano, non a caso, tanto i canti viscerali delle profondità della terra dei popoli radicati nelle grandi distese della Mongolia, quanto quelli trascendentali dei monaci tibetani nei loro monasteri tra le nuvole. Suono che riporta al vecchio mondo, che ormai non ricordiamo più ma aneliamo nei nostri viaggi di coscienza interiore. Così il canto a cuncordu che sottolinea, anche nel suo repertorio, l’importanza della presenza sonora radicata durante le cerimonie sacre. Quattro suoni che ne creano un quinto, cambiando la realtà. Il quattro è la base del labirinto, la Jana-porta dell’ultrasensibile, per cui il canto a tenore e il cuncordu tecnicamente sono la manifestazione della possibilità di lavorare sull’apparato sensoriale personale.

PRATICHE ESOTERICHE TRADIZIONALI PRIVATE

Che il suono nell’isola rappresentasse il cardine della modifica della realtà è sempre stato chiaro per me: essendo sardofona ho subito imparato a riconoscere e amare profondamente tutto il vastissimo e variegato patrimonio linguistico della nostra cultura che si esprime con sfumature musicali affascinanti. Ho per esempio conosciuto Chiara Vigo, colei che si definisce l’ultima “Maestro” tradizionale del bisso, alchimista della via dell’acqua salata che trasforma le chiome di mare in oro attraverso una struttura sonora che in Sardegna chiamiamo Brebus. Is brebus sono delle parole rigorosamente in lingua sarda con formulazione fissa o variabile che hanno lo scopo di trasformare la realtà. Rendono le cose ciò che sono con lo scopo di curare, proteggere o ristrutturare.

suono

Il termine è relazionabile al verbum di giudaico-cristiana memoria, ma anche al versus in tutte le sue sfumature semantiche mediterranee. Ovviamente ben condito dall’onnisciente fenomeno della metatesi che esprime magnificamente la funzione onomatopeica dell’atto del sussurrare, bisbigliare e borbottare. Perché i brebus non vanno acclamati e scanditi, ma lasciati liberi di agire attraverso vibrazioni specifiche che ci si tramanda da tempi immemori. Ebbene, proprio grazie al “Maestro” del bisso di Sant’Antioco ho potuto verificare che il suono ritualizzato trasforma la materia e eleva lo spirito.

Esistono brebus per molte cose in Sardegna e ogni formula viene tramandata attraverso pratica tendenzialmente chiusa con attenzione alla divisione per competenze e capacità. Le donne operano tendenzialmente nella socialità comunitaria a tutti i livelli di funzione “dalla culla alla bara”, mentre gli uomini operano nel settore fisico del comparto economico a radice agro-pastorale. Per fare due esempi quindi le donne praticano sa mixina de s’ogu, l’acqua contro il malocchio, mentre gli uomini praticano is brebus po sa carri, i rituali per sistemare la struttura corporea di umani, animali e piante.

suono sardegna
Suonatori di launeddas
RITUALITÀ CATARTICHE COMUNITARIE

Gli operatori tradizionali operano al servizio della comunità, ma in ambito privato, con un contatto cara a cara, faccia a faccia col richiedente. Esiste anche una struttura comunitaria che nei sincretismi e nelle rifunzionalizzazioni etnostoriche si esprime nelle liturgie cattoliche. Il suono come espressione di preghiera e profonda meditazione collettiva è un concetto ben piantato e molto caro al cristianesimo in generale e al cattolicesimo mediterraneo nello specifico. Se penso a questo concetto immediatamente visualizzo le numerose interpretazioni del patrimonio religioso sardo con l’Ave Maria di Maria Carta in prima linea.

La identifico come la Jana maista del canto femminile sardo con profondità vocali e interpretative che danno ragione al misticismo attorno alla sua figura di scacciatrice di ombre. Il collegamento è immediato con il canto di disperazione tipico del mondo femminile che è s’Atitidu, il pianto rituale cantato dalle donne in occasione della departizione di un membro della comunità: una preghiera e una declamazione rituale che sottolineava la Crisi della Presenza tanto cara a Ernesto De Martino. Il chiaroscuro isolano canoro per eccellenza si esprime, in questo senso, in tutto il suo acme nelle ritualità strutturate demologicamente della Settimana Santa.

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Sarde in costume tradizionale

Già dalla Quaresima ci si prepara alla morte e rinascita dell’esistenza per una catarsi collettiva e un rinnovamento naturale dello spirito. Si pensi alla grande funzione apotropaica che vediamo esprimersi con gli oggetti artigianali che i giovanissimi delle comunità costruivano per far rumore durante le cerimonie della passione: legno de is tauleddas e canne de is strociarranas che sottolineavano la disarmonia della tensione prima e durante la morte del Salvatore. Oppure si pensi al Lunissanti di Castelsardo in cui si vive la passione del Cristo in ogni sfumatura accompagnata dal suono del canto a cuncordu.

Ancora, si pensi alle ritualità de s’Atopu o Incontru in cui Maria di Nazareth rincontra suo figlio risorto nella commozione per la sconfitta della morte accompagnata in alcune zone dell’isola da launeddas con suonatori vestiti a festa e agghindati con pani rituali a indicare la consuetudine della rinascita naturale e in molte altre zone con l’esplosione dei colpi di fucile a squarciare il velo della morte. Ogni suono è frutto della fede, della certezza della terra. Con l’arrivo della primavera nell’isola la femminilità della Madre annuncia l’immortalità della continuità della natura, degli esseri umani e dello spirito.

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