15 Mar 2024

Sentieri di felicità e inclusione lungo la via Francigena

Scritto da: Benedetta Torsello

Sin dalla sua nascita, l’associazione Sentieri di felicità si impegna a rendere l’esperienza del cammino più inclusiva, abbattendo barriere sociali e architettoniche. Con questo scopo, sono state rese quasi totalmente accessibili due ospitalità lungo la via Francigena e organizzati corsi su come condurre la joelette per portare in cammino anche persone con disabilità motorie.

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Lucca, Toscana - È un momento particolarmente significativo questo per la via Francigena, che esattamente trent’anni fa veniva certificata dal Consiglio d’Europa come itinerario culturale. Da quel riconoscimento di strada ne è stata fatta tanta – è proprio il caso di dirlo. I numeri di coloro che la percorrono, anche solo per un breve tratto, sono in costante crescita: si contano visitatori dai quattro angoli del pianeta, che giungono in Italia per scoprirne i paesaggi a un ritmo più lento, in bicicletta o addirittura a piedi.

Ma mettersi in cammino è davvero un’esperienza alla portata di tutti e tutte? Non sempre, purtroppo. La maggior parte delle ospitalità infatti non è accessibile o priva di barriere architettoniche. Eppure, come sostiene Giovanni Corrieri, presidente dell’Associazione toscana delle Vie Francigene, «per essere un vero cammino, deve essere un cammino che appartiene a tutti». Un cammino da percorrere prima di tutto con il cuore e poi con le gambe.

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UN CAMMINO ACCESSIBILE

Con l’intento di trasformare quella del cammino in un’esperienza davvero inclusiva, nel 2019 nasce l’associazione Sentieri di felicità. «La nostra storia è un incrocio di persone», racconta Roberta Gallina, vicepresidente dell’organizzazione di volontariato. «Tutto parte con l’acquisto di una k-bike e una raccolta fondi, supportata da un lungo cammino, da Lucca a Santiago, per poter rendere agibile un’accoglienza, sulla Via Francigena, a persone con disabilità».

La joelette, sebbene ancora poco utilizzata se non per brevi passeggiate su terreni sterrati, è una carrozzina monoruota fuoristrada per persone con disabilità motorie, che richiede dai due ai quattro accompagnatori per trainarla su sentieri sterrati e accidentati. Dopo un corso per accompagnatori di persone con difficoltà motorie, Roberta e gli altri volontari dell’associazione decidono di partire per un cammino di quattro giorni sulla via Francigena, con una joelette e una k-bike, su cui vengono accompagnati Loredana e Luciano.

Da questo viaggio nasce un docufilm diretto da Fabio Gigli, “Un cammino per tutti”, un racconto gioioso che restituisce senza retorica la bellezza di un percorso condiviso; l’affiatamento di un gruppo di persone che si conoscevano a mala pena prima di incamminarsi, ma anche la fatica, gli errori e gli imprevisti. Dalle parole di Loredana e Luciano traspare lo sforzo di percepire la stanchezza dei propri compagni di viaggio, accettarne l’aiuto, condividere la gioia di una nuova meta raggiunta.

È un privilegio sentire la stanchezza del proprio corpo, dice a un certo punto Loredana ricordando i giorni di cammino. I compagni e le compagne di viaggio, attraverso i propri sforzi nel condurre la joelette, le permettono in qualche modo di immaginare quella stanchezza. Mentre si è in cammino si impara a fidarsi senza resistenze, a chiedere aiuto, a mostrare le proprie fragilità molto più di quanto si riesca a fare nella vita di tutti i giorni.  

LA FRANCIGENA CONTROCORRENTE

Dal 2021 l’associazione Sentieri di felicità porta avanti un altro progetto, rivolto ai ragazzi a fine pena della casa circondariale di Lucca. “Libera tutti” è innanzitutto un viaggio introspettivo: «La possibilità di conoscersi meglio e creare una scelta alternativa a queste persone», sottolinea Samantha Cesaretti, presidente dell’associazione.

Si tratta di un cammino diverso, “contromano”, ovvero in direzione opposta rispetto a quella che conduce i pellegrini a Roma. Questo perché solitamente lungo la strada ci si porta dietro nuove conoscenze, nuovi incontri. Invece l’idea è quella di lasciare spazio prima di tutto a una ricerca personale, in cui gli incontri occupano brevi frangenti, prima di riprendere, passo dopo passo, la ricerca della propria strada.

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Per tre anni Sentieri di felicità ha condotto dei ragazzi a fine pena in questo viaggio controcorrente. Ne sono nati un docufilm, una mostra fotografica, un libro ed è in lavorazione una rappresentazione teatrale. Sulla strada si cerca di scoprire chi siamo, ma forse ancora di più chi vorremmo essere. Si assapora la libertà: quella dei propri piedi, della stanchezza nel corpo, della fiducia. Si riparte da zero.

«Prima ci giocavo, con la libertà», confessa Matteo, uno dei protagonisti del primo cammino libera tutti. Dopo quell’esperienza ne ha riscoperto il valore. Aveva sempre desiderato fare un viaggio a piedi e con Sentieri di felicità e ne ha avuto l’occasione anche in un momento difficile della propria vita. Ora continua a supportare le iniziative dell’associazione come volontario.

«Mi piace l’idea che si mescolino tanti mondi»,– prosegue Roberta. «Un mio sogno è quello di mettere insieme il mondo del carcere con il mondo della disabilità e quello dell’accoglienza attraverso un progetto condiviso». Nell’ottica di un’esperienza del cammino più accessibile, da diversi anni i volontari di Sentieri di felicità percorrono un tratto della Francigena con un gruppo di non vedenti.

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Camminare da soli è una sfida, ma farlo con qualcun altro è ancora più complesso, perché ci si deve mettere in discussione, rimodulare le proprie esigenze a quelle dei propri compagni. Trovare dei compromessi, a volte fare un passo indietro o mettere da parte i propri bisogni. «All’inizio temevo di usare le parole sbagliate», racconta Roberta. «Il nostro modo di parlare è legato soprattutto al senso della vista. Con loro ho capito di potermi esprimere serenamente, senza timore di calibrare ogni singola parola. Ho imparato a descrivere i colori e ciò che ci circonda come non mi era mai capitato prima».

IL SIGNIFICATO DELL’OSPITALITÀ

Da circa un anno inoltre, l’associazione Sentieri di felicità gestisce direttamente due accoglienze lungo la via Francigena, una ad Altopascio e l’altra a Badia Pozzeveri. Si tratta di spazi comunali, gestiti tramite un bando di co-progettazione, che devono attenersi a dei regolamenti che fanno capo sai al Comune che alla Regione Toscana. In cambio dell’ospitalità, i pellegrini lasciano unicamente un donativo. «È un po’ come andare controcorrente», fa notare Samantha.

«Nel nostro tempo, in cui tutto è dettato dal guadagno, si decide di donare qualcosa non in cambio di denaro. Si offre accoglienza e si dà completa fiducia a degli sconosciuti, accogliendoli in casa propria». Ad Altopascio l’ospitalità con otto posti letto è stata resa del tutto accessibile a persone con disabilità motoria, mentre ancora delle migliorie devono essere apportate a quella di Badia Pozzeveri.

Camminare da soli è una sfida, ma farlo con qualcun altro è ancora più complesso

Con i suoi venti posti letto, l’ospitalità di Badia Pozzeveri sorge nell’ex canonica e nell’ex casa del colono annessa all’abbazia camaldolese di San Pietro, un prezioso sito archeologico lungo l’antica via Francigena, purtroppo per il momento chiuso al pubblico perché non ancora messo in sicurezza. Al contrario la foresteria è già aperta ai pellegrini che desiderano trascorrere la notte prima di rimettersi in viaggio.

Quella del cammino è di fatto un’esperienza molteplice, vissuta da chi si sposta e da chi resta, dagli abitanti del luogo e dai volontari delle accoglienze. C’è una sottile ma decisiva differenza tra accogliere e ricevere, come accade in tutte le strutture turistiche. Chi fa l’ospitaliere, come gli abitanti di un territorio, è a suo modo in viaggio, anche se resta nello stesso posto. E offrire l’accoglienza in cambio di un donativo è un atto di generosità che sembra appartenere a un tempo lontano, quasi perduto per sempre.  

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