Santa Maria La Palma, quando nel vino batte un cuore sardo – Io Faccio Così #401
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Sassari - Una doverosa premessa. Come a quasi tutte e tutti gli italiani mi piace il vino, ma non sono un intenditore. Non solo non faccio girare il vino nel bicchiere con aria sognante e non riconosco castagne e pinoli quando sorseggio un rosso, ma non so nemmeno le tipologie di vino, non conosco le cantine famose, insomma sono un vero disastro, un po’ come con i motori. Ciò non significa ovviamente che non possa riconoscere un buon vino quando lo bevo, ma sottolineo questa mia ignoranza per specificare che non avevo la minima idea che la Sardegna fosse terra di vini, terra di vini importanti, terra di vini speciali.
Uno dei motivi per cui amo il mio mestiere è che mi porta spesso ad approfondire e scoprire ambiti della vita esplorati poco in precedenza. Ed eccomi giunto nei pressi di Alghero, presso la Cantina Santa Maria La Palma. Simone Bussu, direttore generale dal 2023 della cantina stessa, ci riceve subito e ci accompagna in un ufficio ricco di bottiglie affascinanti. Qui comincia a raccontarci come tutto ebbe inizio.
SANTA MARIA LA PALMA, TANTI PICCOLI TERRENI E UN’UNICA GRANDE CANTINA
Come si evince anche dal sito, tutto inizia nel 1946 nelle campagne della Nurra, dove centinaia di ettari furono bonificati e assegnati a un gruppo di contadini provenienti da diverse aree della Sardegna e del nord Italia. Tra questi, nel 1959, cento decidono di diventare soci e fondare la Cantina Santa Maria la Palma. A facilitare l’operazione – si legge sul sito – “terre fortunate, accarezzate dal vento e scaldate dal sole in cui passato e futuro si incontrano, vivendo l’uno nell’altro”. Sottolinea Bussu come «le nostre radici sono nel territorio, siamo contadini che hanno coltivato l’uva piano piano, commercializzato i vini sotto il brand aragosta ed espandendoci – piano piano – dal territorio di Alghero a tutto il mondo».
Oggi Cantina Santa Maria La Palma è una delle più importanti in Sardegna e in Italia, i soci sono diventati 300 e coltivano una varietà di terreni di oltre 800 ettari, rappresentando una delle estensioni vitate maggiori dell’intera isola. La sua peculiarità quindi resta la “distribuzione” della gestione. Lo ribadisco perché so che mentre si legge ci si distrae. Il fatto che questa cantina abbia 300 soci significa che c’è una grande cantina con tanti piccoli appezzamenti curati da tante diverse famiglie di viticoltori esperti, affiancati dalla supervisione di un team di agronomi ed enologi.
Questo permette di selezionare i terreni specifici per ogni tipologia di vite: dal Vermentino di Sardegna al Cannonau, passando per il Cagnulari, la Monica, il Cabernet, sino a vitigni internazionali come Sauvignon e Chardonnay. Nel corso del 2023 – si legge ancora sul sito ufficiale – la Cantina Santa Maria La Palma ha prodotto e commercializzato oltre 5,5 milioni di bottiglie. I suoi vini sono distribuiti in tutta la Sardegna, in Italia e in oltre 50 paesi in tutto il mondo, dall’Inghilterra alla Germania, dagli Stati Uniti al Giappone, dal Sudafrica all’Indonesia. Una realtà imprenditoriale che continua a portare avanti un sogno: far conoscere Alghero, la Sardegna e i suoi vini in tutto il mondo”.
DAL VERMENTINO DOC ARAGOSTA ALL’AKÈNTA SUB, IL VINO SUBACQUEO
Nella mia ignoranza, non solo non sapevo che in Sardegna si facesse del buon vino, ma mai e poi mai avrei legato il vermentino a questa – da me amatissima – isola. E invece scopro che un Vermentino di Sardegna, il “famoso Aragosta”, viene proprio da qui! E che una delle ultime sperimentazioni della Cantina è un vino subacqueo, chiamato Akènta Sub.
Mi spiega Bussu che questo vermentino è diventato negli anni il vino bianco più venduto in Italia, mentre l’Akènta è uno spumante extradry di successo di cui esiste anche una versione subacquea, l’Akènta Sub, un vino affinato sott’acqua nella Cantina Subacquea di Sardegna; intorno ad esso è nato anche l’Akènta Day, un evento aperto al pubblico che permette di assistere all’emersione di una cantina subacquea portata in alto da un elicottero, celebrata con una grande festa. A questo proposito, nella video-storia allegata a questo articolo, potrete vedere le immagini del vino in questione.
«Il marchio Akènta è leader in Sardegna. Akènta significa a “chent’annos”, cento anni, il brindisi sardo per eccellenza. Non dimentichiamo infatti che in questo territorio ci sono tantissimi centenari. Il vino subacqueo inoltre è ecosostenibile 100%. Abbiamo creato un piano integrato di filiera con l’università di Pisa, Udine e Sassari e cercheremo di capire cosa succede. Il vino raggiunge il suo massimo nel fondale per assenza di luce, temperatura costante e moto ondoso che riesce a farlo muovere continuamente. Inoltre, non sprechi energia elettrica né trasporti. Noi andiamo sul punto del mare prestabilito e facciamo immergere la cantina subacquea sott’acqua: il team di sub l’appoggia sul fondale e fa dei controlli mensili, per verificare che sia tutto ok.
«Specifico che le bollicine le facciamo noi – precisa Bussu – perché il 99% di quelle sarde vengono fatte fuori, non essendo una tradizione nostra, mentre noi le facciamo qui dalle uve dei nostri soci». In generale oggi la cantina Santa Maria La Palma comprende 780 ettari vitati, conta 50 dipendenti, oltre 6 milioni di bottiglie vendute, con un fatturato di 23 milioni di euro circa. Circa 2 milioni di bottiglie all’anno vanno ai ristoranti, bar ed enoteche, con progetti ad hoc per la ristorazione.
BRINDARE ALLA SARDEGNA, TORNANDO A VIVERCI O VENENDO A VIVERCI
Come spesso accade per le belle storie che popolano l’Italia che Cambia, intorno ad aziende di successo si attivano meccanismi di ritorni. Ritorni di persone, in questo caso sardi, emigrati all’estero o in continente e tornati nella propria terra grazie a questa iniziativa. Non solo. Molti lavoratori – oggi sono 50 i dipendenti e 300 i soci – vengono dal nord Italia. Racconta Bussu come ci sia un nuovo management di ragazzi giovani con esperienze professionali all’estero che aveva voglia di tornare nell’isola. «Oggi si occupano della produzione, dell’affinamento e della commercializzazione dei vini che avviene soprattutto per le uve vermentino al livello nazionale».
«L’Aragosta è ormai un importante brand nazionale, mentre in Sardegna è sempre più diffuso un altro brand di proprietà della cantina, il brand Akènta», continua Bussu. «Ogni progetto portato avanti dalla cantina è figlio di una tradizione che da sempre unisce innovazione e amore per la propria terra: questo rappresenta il punto di partenza per una realtà imprenditoriale attenta all’ambiente e alla sostenibilità, consapevole che la crescita economica di un territorio vocato deve necessariamente passare per uno sviluppo sostenibile».
LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE…
E allora parliamone di questa “sostenibilità” che va tanto di moda oggi. Sara vera o sarà greenwashing? La domanda è sempre lecita in questi mondi. Bussu però mi tranquillizza: «Grazie a un imponente impianto fotovoltaico, il 65% dell’energia utilizzata dall’impianto produttivo centrale è generata dal sole, sposando pienamente la produzione di elettricità da energie rinnovabili».
Si tratta di un impegno iniziato anni fa, «che ci ha portato anche a ricevere il premio Ecofriendly attribuito dalla Guida Vini Buoni d’Italia del Touring Club e che proseguirà in futuro, puntando al raggiungimento nel 2025 della copertura del 100% dei consumi tramite energie rinnovabili. Stiamo cercando di attivare anche una comunità energetica con i nostri soci che con un piccolo pannello fotovoltaico potranno interagire. Lavoriamo molto sull’efficientamento, per tendere verso un “impatto zero” nei confronti dell’ambiente».
… E LA SOSTENIBILITÀ UMANA
«Quando serve – spiega ancora Bussu – facciamo da garanti ai nostri soci, fungendo da intermediari con le banche stesse. L’accesso al credito infatti è un problema per tutti. Eroghiamo poi corsi di formazione sulla potatura, la gestione del vigneto, ma anche su aspetti commerciali, sulla conoscenza del bilancio, sulle professionalità necessarie all’interno dell’azienda. Organizziamo pranzi e cene sociali e ovviamente anche aperitivi! Nel centro di Alghero abbiamo creato un wine bar che vuole essere centro di aggregazione per i soci e simpatizzanti».
IL COSTO DELL’UVA E I CAMBIAMENTI CLIMATICI
In tempi di crisi climatica e fenomeni meteorologici estremi, il costo delle materie prime è fluttuante. «Noi paghiamo l’uva in base alla qualità anziché in base alla quantità. Una pianta con uva ha un prodotto di grande qualità. I nostri soci sono tenuti a conferire tutte le uve prodotte, a parte una piccola produzione a uso personale. Abbiamo un assetto societario chiuso, non permettiamo l’ingresso di nuovi soci, ne abbiamo 300 che seguono le regole delle cooperazione e in funzione di questo ci muoviamo per costruire il futuro che speriamo ci dia la possibilità di prendere nuovi soci e allargare l’areale della raccolta».
Mentre fino al 2017 il clima non aveva creato problemi negli ultimi anni le cose sono cambiate: «Nel 2017, 2019 e 2021 abbiamo avuto problematiche importanti che hanno dimezzato la nostra produzione. Per motivi sia metereologici che di mercato abbiamo quindi soci in un’areale diverso da quello di Alghero, così diversifichiamo il “rischio meteorologico”. Inoltre le diverse zone hanno diverse vocazioni: Alghero per il vermentino, visto che siamo di fronte al mare, l’Ogliastra per il Cannonau e così via.
BUSSU HA FATTO COSÌ
Chi segue Italia che Cambia, sa che raccontiamo spesso storie di persone che hanno cambiato vita o realizzato il proprio sogno. Non potevo quindi non chiedere a Bussu di raccontarmi un po’ della sua storia, considerando che ricopre il ruolo attuale solo dal 2023. «Ero una persona che voleva andare fuori, imparare e tornare per restituire alla Sardegna quello che quest’isola ci ha dato», spiega.
«Essere isolani isolati ti fa venire voglia di emergere, di andar via ma anche di tornare. Quando sei lontano vivi una sorta di nostalgia, come la saudade brasiliana. Ho studiato alla Bocconi, ho fatto un master a Londra, dove ho poi lavorato per varie multinazionali prima di tornare qui, dove ho iniziato il percorso cooperativo prima nel settore lattiero caseario – ero il direttore commerciale della più grande cooperativa di questo settore per dieci anni – e poi la selezione per direttore generale per la cantina».
Simone ricopre questo ruolo da quando aveva 41 anni, «un’età per la quale in Inghilterra sei già vecchio, mentre in Sardegna sei ancora giovane. Qui c’è gente lungimirante, la cantina è un mix tra nord Italia e Sardegna. Sono contento di lavorare qui anche per la ricaduta sul territorio: intorno a noi purtroppo ci sono caseggiati vuoti, è rimasta solo la cantina, tutto il resto è fallito. Questo territorio va avanti grazie alla cantina, che è capace di attrarre professionalità importanti. Quando lavoravo nelle multinazionali ero un numero, mentre qui rispondo in prima persona ai soci, al CDA, e questo mi fa crescere al livello etico e personale».
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