Petilia Policastro, il paese calabrese rinato grazie ai murales e ai libri di Giuseppe e Manuela – Calabria sarai Tu #3
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Crotone - Firenze, Milano, Berlino, Londra, Tokyo. E, dopo un lungo viaggiare, il ritorno a Petilia Policastro, in provincia di Crotone. La storia di Giuseppe e Manuela è tracciata sui muri di Vico Leone, con i colori dei murales di Giuseppe Caruso e le parole custodite da sua moglie Manuela. Lei insegnante di inglese, lui storico dell’arte che si divide tra diverse scuole calabresi. Hanno deciso di tornare, e restare, per coltivare bellezza. «Ci sono gruppi di potere e politici che tendono a banalizzare la “restanza” che spesso diventa uno slogan, uno specie di moda, una parola d’ordine per attrarre risorse e creare nuove ricchezze», ci ha messo in guardia il professor Vito Teti, padre della “restanza”, nell’intervista rilasciata al bizzòlo.
«Abbiamo bisogno di politicizzare la “restanza”, dare un senso politico a questo restare, inserirlo in una nuova questione meridionale perché è l’intero Sud a correre il rischio di svuotarsi e diventare un deserto». E un senso, Giuseppe e Manuela, lo hanno trovato in un paese che dei suoi circa 12mila abitanti di un tempo, ne conta oramai a malapena 8mila. «Ci viviamo, almeno cerchiamo di renderlo migliore per noi e per gli altri», dice Manuela. «Molti si dicono “se mi conviene lo faccio, altrimenti no”, senza considerare che se migliora la comunità in cui vivi ne guadagni anche tu».
Prima è nato il Vicoletto, con i murales, quando durante il Covid Caruso inizia a dipingerne le pareti. «Questo mi ha permesso di incontrare la gente, di parlare con loro. Quando disegnai la bambina che annaffia volevo dare un messaggio ai nostri bambini, dire loro di rispettare l’ambiente, ma un operaio di Petilia – un muratore per la precisione – mi fermò per dirmi che lì ci vedeva mia moglie che annaffia con la cultura e il sapere i nostri bambini del paese. In quel momento ho avuto per la prima volta la visione del Vicoletto».
Tra le opere – che trovate anche su Google Maps – ce n’è una che è stata recensita dalla rivista online americana Street Art Utopia, come tra i sei murales più “vibrant”, più emozionali al mondo. Hansel, il fratello di Gretel, un’ombra nera di un bimbo che si dondola su di un’altalena tra gli uccelli. «Un paese non è come lo vedi. Un paese è come lo vivi», dice Giuseppe. «E il nostro paese io lo vedo bello» ma, aggiunge tra il serio e il faceto, «mia moglie di meno».
E Manuela non esita a spiegarne il perché: «Il nostro paese lo vedo “in via di sviluppo”», ridiamo ma in fondo stiamo dicendo qualcosa di molto serio: «Sono proiettata all’estero, mi piace viaggiare e quando sono fuori e vedo cosa si può fare, Petilia mi pare piccolissima. Ma è anche vero che qui hai molto spazio per creare. Ed è questo che mi ha convinta a restare: dare qualcosa ai giovani che altrimenti non potrebbero avere. Come, del resto, non abbiamo avuto noi quando eravamo ragazzi».
E quel qualcosa che non c’è, o non ci sarebbe, per esempio, è una libreria di 6000 volumi completamente gratuiti a disposizione degli abitanti di Petilia: Libri liberi. Narrativa, thriller, biografie, romanzi storici e di fantasia, scienza, attualità, fumetti, libri per bambini e in lingua originale. Dopo due anni di lavori presso una casa che viene loro donata, aprono i battenti a settembre 2023 e, senza che sia nemmeno necessario fare una richiesta specifica, il paese ha risposto inviando centinaia di titoli.
«È arrivato di tutto, pensa che siamo riusciti a completare tutte le categorie che normalmente trovi in una libreria tradizionale. Dovresti vedere i bambini, quando vengono a trovarci sono eccitati e cantano di gioia! Una reazione che non ti aspetti», continua Manuela. «Arrivano le famiglie che scelgono la libreria alla passeggiata al centro commerciale o i ragazzi più timidi che non sanno come relazionarsi al paese». Dietro i colori sgargianti dei murales e le magiche parole dei libri c’è un lavoro costante e paziente iniziato nel 2010, quando Manuela decide di costruire la sua scuola di inglese a casa della nonna. «Grazie alla scuola è stato tutto possibile, lì abbiamo incontrato una intera generazione e le loro famiglie».
Come fate a mettervi in ascolto della comunità?, chiedo. «All’inizio grazie alla scuola siamo riusciti a creare relazioni con i ragazzi e i loro genitori. Parli, ascolti le necessità. Prima di fare la libreria, ne parlavo anche con loro di questo nostro progetto. E un alunno mi ha detto di non aver mai visto una libreria», racconta Manuela. Quante volte, chi scrive ha letto classifiche impietose con i calabresi, sempre in fondo ai dati – non rosei – dei lettori italiani. «Se non vedi una cosa non sai nemmeno che esiste».
Se pure quando avranno vent’anni andranno via, che sia per conoscere il mondo o per cercare lavoro, questi bambini non hanno forse il diritto di crescere nel miglior modo possibile? Altrimenti saranno condannati a sentirsi inadeguati. E partire o comunque affrontare la vita dopo aver letto e studiato o no, non è la stessa cosa. «Quando visitiamo i college inglesi incontriamo molti ragazzi di ogni parte del mondo, da città più grandi, paesi che noi consideriamo poveri, e sono abituati a prendere una metro o organizzarsi con i mezzi. Da noi non ce ne sono e i nostri ragazzi restano lì a guardare. Perciò tutto quello che è nelle nostre possibilità – come una libreria – dobbiamo farlo».
Ci vogliono tempo e costanza e ci vuole anche un racconto sano delle esperienze sane. «Dalle nostre parti ormai, specie al Sud, ci hanno abituati a lavorare con i progetti; io e mia moglie abbiamo fatto tutto con i nostri soldi e con una piccola raccolta spontanea di circa 2800 euro», ci tiene sottolineare questo punto Giuseppe. «Ho 500 euro sul conto, eppure ce la facciamo. Lo dico per comunicare un messaggio chiaro: se ci mettiamo di buona volontà non abbiamo bisogno che arrivino grandi finanziamenti per fare qualcosa».
Già, si può fare impresa senza rincorrere il profitto, si chiama impresa sociale. «Il paese lo ha capito quando è arrivata la Rai, quando sono arrivati gli altri», nota Giuseppe. E come dargli torto. Spesso è necessario che gli altri ci riconoscano prima che ci riusciamo a vedere per quello che siamo, specie al Sud. Eppure le cose accadono ugualmente. «Abbiamo acceso la voglia di colorare e leggere in un pezzo di Calabria, semplicemente lavorando con le nostre mani e accogliendo l’aiuto delle persone semplici come noi, che ci sostengono e ci vogliono bene».
L’importanza di colorare, oltre che leggere, in una regione come la nostra vive sotto lo scacco perenne di una street art diventata moda, con il rischio che sempre la moda porta con sé di svuotare ogni cosa. Non è per “portare i turisti quaggiù” che Giuseppe e Manuela si prendono cura del loro paese e della loro comunità. «Quello che dici è vero, ci sono paesini pieni di murales – che, tra l’altro, se non vengono curati diventano brutti e imbruttiscono i paesi. Un’opera funziona se ha dei valori dentro, se ha un’anima».
«Molti mi dicono “fai un telaio” – conclude Giuseppe –, ma la Calabria non ha bisogno di telai, quelli servono a chi viene da fuori e continua a vederci sempre come una sorta di tribù indigena. Noi abbiamo bisogno di tecnologia, di comunicazione, di strutture, non di telai». Prima di salutarci, c’è ancora un’opera che merita di essere menzionata: il gioco della campana. Un giorno una signora molto anziana, con le gambe piegate dalla fatica e del lavoro, trovandosi a passare dal Vicoletto, ha poggiato la sua borsa su uno scalino e si è messa a giocare a campana. Un paese è come lo vive soprattutto chi lo abita.
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