Praticare l’accessibilità a Palazzo Strozzi: come ripensare il museo insieme
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Firenze, Toscana - A Palazzo Strozzi di Firenze l’accessibilità è diventata una occasione di ricerca che ha coinvolto il settore Educational del museo, persone con varie disabilità, caregivers e una rete di organizzazioni del territorio che si occupano di benessere sociale e salute. Ne ho parlato con Irene Balzani, responsabile dell’area Famiglie, progetti di accessibilità e scuole della Fondazione Palazzo Strozzi.
Cosa si intende per accessibilità in un contesto museale dove non ci sono collezioni permanenti e gli spazi sono continuamente ripensati in funzione di mostre e attività sempre diverse? «Nell’arco dell’anno – spiega Irene Balzani – proponiamo due mostre che cambiano gli spazi e il modo di percepire il luogo. Le opere abbracciano diverse epoche, dall’arte antica a quella contemporanea, e linguaggi artistici differenti, ma manteniamo costanti le proposte rivolte ai pubblici. In questa continuità, i progetti si moltiplicano: dalle famiglie alle scuole con una crescente attenzione nei confronti dell’accessibilità».
A più voci è la prima progettualità sviluppata dalla fondazione fiorentina con l’obiettivo di coinvolgere persone che vivono con demenze e caregiver in un ciclo di incontri e laboratori che accompagnano la scoperta delle opere in mostra. I laboratori, guidati ogni volta da una o un artista differente, coinvolgono il gruppo nella creazione di narrazioni corali e azioni performative che abitano le sale museali e che in alcuni casi sono state tradotte in libri d’artista.
Il progetto è andato avanti anche durante la pandemia da Covid in una modalità a distanza che ha permesso di mantenere viva la relazione instaurata con la comunità coinvolta. La durata nel tempo e la molteplicità di offerta sono questioni centrali in un contesto nazionale che ancora tende a vedere l’accessibilità negli spazi culturali come un servizio secondario e che non offre ai pubblici con disabilità una ampia possibilità di scelta.
Altro aspetto fondamentale è il passaggio da una progettazione unidirezionale – secondo cui il museo confeziona un servizio per una categoria di persone – a un’ottica di co-progettazione, che prevede il dialogo a monte con le comunità interessate e con gli enti locali che svolgono una funzione di intermediazione. Dopo A più voci, si sono aggiunti il progetto Sfumature con la partecipazione di giovani con neuro-divergenze, e Connessioni, che intercetta un bisogno espresso da enti locali che si occupano di disabilità intellettive e salute mentale di sviluppare nuove attività di accoglienza nel museo. Da questa richiesta, nasce un progetto centrato sulle esigenze specifiche delle persone partecipanti.
Uno degli impatti sociali più rilevanti è il cambiamento di atteggiamento da parte degli enti che operano nel territorio, i quali hanno individuato nel museo un interlocutore aperto e sensibile, con cui progettare insieme, partendo dai bisogni delle comunità di riferimento: «All’interno del progetto Connessioni, abbiamo intercettato l’esigenza di attivare il coinvolgimento dei teenagers, quella fascia di giovani dai 13 ai 18 anni che durante la pandemia ha visto un significativo aumento delle condizioni di fragilità. Spesso gli educatori ci hanno riportato la necessità di proporre loro attività al di fuori dalla scuola, che sviluppino la relazione con l’arte e la cultura in modo da suscitare benessere».
Messa a fuoco l’intenzione di eliminare barriere fisiche e culturali che impediscono o rendono difficoltose le relazioni sociali, l’arte può assumere un ruolo centrale nel produrre benessere. Per raggiungere questo obiettivo, i progetti di accessibilità di Palazzo Strozzi utilizzano svariati linguaggi artistici, dalla narrazione nei progetto A Più voci, alla danza contemporanea in Corpo Libero, nato in dialogo con il Fresco Parkinson Institute di Firenze e il Centro Parkinson di Villa Margherita (Kos Care) di Vicenza e in collaborazione con il progetto Dance Well promosso dal CSC – Centro per la Scena Contemporanea di Bassano del Grappa.
In questo processo la comunità artistica si dimostra essenziale nel pensare modalità creative di coinvolgimento che afferiscono alla dimensione del poetico, del sensibile e del con-tatto per fare del museo un posto più accogliente e vivibile. Accessibilità quindi che mette al centro le persone, nelle loro molteplici soggettività, abilità, provenienze, età e contesti di vita, valorizzandone la presenza nel museo.
Una sperimentazione interessante è lo sviluppo di percorsi di accompagnamento con interprete LIS, la Lingua dei Segni Italiana, realizzato in collaborazione con l’Ente Nazionale Sordi di Firenze. I percorsi – il plurale qui è importante – hanno inizialmente coinvolto persone adulte sorde. Sono stati poi ripensati per essere godibili anche da persone udenti e da bambine e bambini, con l’obiettivo di favorire la partecipazione di famiglie composte da persone sorde e non. La realizzazione di progetti aperti è importante, in questo caso, per favorire non solo la partecipazione delle persone sorde di ogni età e del tessuto sociale in cui vivono, ma per promuovere la conoscenza della Lingua dei Segni a un pubblico ampio.
Uscendo da una mentalità di progetto per abbracciare invece una cultura del processo, senza cesure di continuità, quale dovrebbe essere l’obiettivo a cui tendere? «Il nostro scopo è non limitare l’accessibilità al nostro lavoro, ma dimostrare che Palazzo Strozzi può essere un luogo dove, ad esempio, bambine e bambini autistici possono venire, godersi la mostra a modo loro, perché non c’è un solo modo di vivere l’arte, e poi possano tornare in autonomia o andare in un altro museo».
Perché secondo Irene Balzani è proprio questo che dovrebbe fare la cultura: «Prima di tutto essere pronta ad accogliere le persone in modo che possano partecipare attivamente. Per essere pronta, noi operatori dobbiamo attrezzarci affinché l’accessibilità non sia soltanto un buon risultato isolato, ma un approccio sistemico e globale».
Mantenere una attenzione alta e quotidiana è il primo requisito per praticare l’accessibilità. Uscire da una visione performante, per cui l’accessibilità finisce quando termina il progetto speciale, per abbracciare una responsabilità collettiva che si traduce in uno sguardo vigile e informato sui tanti aspetti che coinvolgono l’accessibilità: la rimozione delle barriere fisiche, sensoriali e digitali, la formazione interna degli staff, il coinvolgimento attivo e continuativo delle comunità, la valorizzazione delle culture disabili. Ho chiesto ad Arturo Galansino, Direttore Genenale della Fondazione Palazzo Strozzi, come possono cambiare le istituzioni museali grazie alla sfida dell’accessibilità:
«A Palazzo Strozzi ci impegniamo a rendere i nostri contenuti accessibili a tutti i pubblici, sempre pensando a rendere rilevanti e aderenti al nostro tempo tutte le mostre e le attività culturali che creiamo, sia lavorando con artisti del presente che quando lavoriamo con opere d’arte del passato», conclude la responsabile dell’area Famiglie, progetti di accessibilità e scuole.
«Lavorare sul tema dell’accessibilità rappresenta oggi un modo di rendere aperto e vivo un museo o uno spazio culturale, ma anche una sfida a ripensare in maniera più ampia il ruolo delle istituzioni culturali nelle strategie di sviluppo sociale e di fruizione alla cultura». Cosa possiamo imparare dall’esperienza virtuosa di Palazzo Strozzi? Cinque principi del saper fare: prendersi un impegno di continuità, offrire pluralità, progettare insieme, attraversare linguaggi diversi e nutrire una attenzione costante.
Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti frutto della collaborazione fra Hangar Piemonte e Italia Che Cambia che ha lo scopo di raccontare la trasformazione culturale che stanno mettendo in atto persone, organizzazioni e intere comunità intorno a noi.
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