Mourning circle, il cerchio delle lacrime: fare uscire il dolore può guarire
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“Piango ed ecco la Terra mi ha di nuovo”
J.W. Goethe
Anni fa’ feci un percorso in cui si incontravano CNV – che sta per Comunicazione Nonviolenta – e meditazione Zen. Lì per la prima volta feci esperienza di un “mourning circle” – mourning è difficile da rendere in italiano, ma si potrebbe tradurre con “celebrare il lutto”, “piangere le lacrime”, “onorare il dolore”. Ne rimasi profondamente toccata e meravigliata.
Dopo gli eventi drammatici in Palestina mi sono chiesta come poter contribuire nel mio piccolo. Mi è tornata alla mente del cuore l’esperienza dei “mourning circles” che abbiamo offerto più volte all’interno dei seminari di Spiritualità del creato, nei cerchi di CNV e ho sentito di proporre varie serate. Sono stata colpita dall’interesse che l’iniziativa ha suscitato e dall’alta partecipazione. Si tratta di uno spazio/tempo, circa un’ora e mezza, in cui ci si ritrova online o in presenza per lasciare essere il dolore, per piangere e per celebrare il lutto – ossia qualsiasi forma di perdita: di un progetto, di una persona, di un lavoro, di una speranza – attraverso parole, lacrime e ascolto.
Un luogo dove il mio dolore può essere detto, pianto, ascoltato, ricevuto e accolto nel caldo silenzio del cerchio empatico. Nessun commento, nessuna rassicurazione o consolazione. Stare eretti, morbidi e aperti di fronte al proprio e altrui dolore. Al centro del cerchio il vaso delle lacrime, una ciotola con acqua. Chi lo desidera può andare al centro e lasciando gocciolare l’acqua dalle dita della mano iniziare dicendo: «Le mie lacrime sono per…». Tra un intervento e l’altro un paio di respiri tutti insieme e il canto di un’antica nenia. Al termine dell’incontro l’acqua del vaso delle lacrime viene versata a una pianta, così che quelle lacrime possano andare ad abbeverare la vita.
Ci accompagnano le parole dell’eco-filosofa e attivista spirituale Joanna Macy: «Osate fare esperienza del dolore. Non abbiate paura del suo impatto su noi stessi e sugli altri. Non andremo in pezzi, perché non siamo oggetti che possono rompersi», e, aggiunge Matthew Fox, “quando il nostro cuore si spezza, è allora che la compassione può iniziare a fluire attraverso di esso” (Matthew Fox, Spiritualità del creato. Manuale di mistica ribelle, Gabrielli, pagina 42).
Ogni volta per me è come vivere una magia, un ossimoro, perché le lacrime diventano perle vitali, i cuori si “cuor*toccano” e si alleggeriscono… e qualcosa si posa, torna a casa tra gli umani. Dopo un “mourning circle” respiro calore umano, un profondo senso di vicinanza, quasi reverenza, e paradossalmente un senso di leggerezza.
Una partecipante, insegnante universitaria, mi scrive il mattino seguente: “Stamattina mi sono alzata con molta più energia di ieri. La mia lezione è fluita senza fatica e in mia piena presenza. L’interesse degli studenti era visibilmente più alto. Sento che tutto questo è una conseguenza del nostro cerchio di comunione di ieri sera. Ho ripulito in me canali intasati, liberato da ostruzioni. Poco fa il titolo di un manifesto appeso ad un muro ha catturato la mia attenzione: Festival del coraggio. Ecco, di coraggio si tratta”.
E un’altra partecipante, Martina, dice: “L’ho sentito davvero tanto come una cosa preziosa… come qualcosa di antico che è ora di recuperare e moltiplicare, per aver cura del tanto dolore di questo mondo. Per me è stato molto bello e sacro avere con noi la candela, l’acqua e il canto. Ho sentito calore, presenza e tanta accoglienza”. Bruno: “Il dolore vissuto da soli è un veleno, il dolore condiviso diventa un farmaco”.
Il dolore può essere profondamente sociale. L’esperienza di condivisione del dolore può essere una via alla compassione. “Riconoscendo il nostro dolore noi siamo salvati, cioè guariti. Rifiutando di mascherare la disperazione cosmica che la vita ci elargisce a piene mani rendiamo possibile la guarigione, perché ci permettiamo di entrare nelle nostre ferite e nella nostra vulnerabilità. Lasciando che il dolore sia dolore lasciamo anche che la guarigione sia guarigione, e invece di guarire le nostre proiezioni o la nostra oscurità immaginaria guariamo ciò che veramente duole, ciò che veramente è profondamente oscuro”. (Matthew Fox, In principio era la gioia, p. 194). Concludo una poesia che amo.
“Dicono che piango per niente – Non è mica vero. Mi viene addosso un dolore – da fuori viene e allora piango. Non posso non piangere. Un po’di dolore di questo mondo scassato viene da me, perché io sono brava a piangere sono un’esperta di lacrime. Piango per bene io con cura, lenta piango e senza rumore. Da qualche parte qualcosa va a posto se piango. La zampa rotta d’un animale, qualche vecchia infreddolita, uno che ha fame, uno che non ce la fa. Sistemo piccole cose se piango, lo so – anche se non le vedo. Non c’è bisogno di vedere tutto. Lo so così, io senza prove so”.
Voce appena della sarta Mirka, Mariangela Gualtieri, Quando non morivo, Einaudi
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