La lingua sarda, limba irmentigàda: meno fondi alle scuole, la certificazione è un miraggio
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Sulla lingua sarda, meglio l’apparenza della sostanza: è questo il curioso motto a cui si è ispirata la politica linguistica dell’uscente giunta Solinas. Negli ultimi cinque anni infatti la Regione non ha fatto altro che distribuire sovvenzioni per concorsi di scrittura o poesia, ristampe di libri, programmi televisivi o articoli giornalistici, spesso finiti in fondo alle homepage dei quotidiani online. Vale a dire i soliti interventi che, per quanto utili, non risolvono i problemi di un’idioma dal futuro incerto, denuncia un’ampia platea di studiosi, operatori e attivisti de sa limba.
In breve, troppo poco per una legislatura a trazione sardista, così poco che si può parlare di sardisti senza sardo. Eppure, su proposta dell’assessore regionale alla Cultura Andrea Biancareddu, il 17 settembre 2020 la giunta approvava il Piano di politica linguistica 2020/24 e cioè un ricco carnet di azioni di ben altro tenore rispetto agli interventi appena visti.
Ecco dunque il sostegno all’insegnamento dell’idioma nelle scuole, l’attivazione di una consulta incaricata di elaborare un sardo standard e il coordinamento degli sportelli linguistici – i cui compiti vanno dalla formazione del personale della pubblica amministrazione alla creazione di siti web plurilingue, passando per la realizzazione di corsi diretti alla cittadinanza. Ma i risultati sono sconfortanti: della consulta, peraltro prevista da una legge regionale, non si è vista l’ombra, il coordinamento degli sportelli resta una chimera e negli istituti scolastici la situazione è catastrofica.
«SEMPRE MENO FONDI, ANCHE PERCHÈ LA LINGUA SARDA NON SI FONDA NELLE SCUOLE»
Come detto, la politica linguistica della Regione valorizza l’insegnamento della lingua sarda nelle scuole di ogni ordine e grado. Si tratta certamente della misura più importante tra quelle previste dal piano appena citato: con le lingue, si sa, è meglio iniziare presto e tenersi in allenamento strada facendo. I problemi sorgono quando dalle enunciazioni di principio si passa alla pratica. Anche perché il sardo arriva in classe solo se istituti e docenti decidono su base volontaria di attivarne l’insegnamento. La Regione può intervenire in due modi: attraverso gli stanziamenti e, se così si può dire, attivando un’azione di moral suasion verso le scuole.
A detta degli operatori del settore i fondi sono tutt’altro che sostanziosi. «La Regione nel 2021 ha stanziato una miseria, 900mila euro per tutte le scuole sarde». Un altro addetto ai lavori, che chiede l’anonimato, racconta come sono andate le cose: «Il problema è che alla Regione sono arrivate richieste di spendita pari al 20% dello stanziamento. Ragion per cui negli anni successivi le risorse sono diminuite ulteriormente». In pratica la Regione si è limitata a prendere atto della situazione, senza colpo ferire. Tutt’al più aspetta che ci si attivi dal basso. «L’istituzione regionale è del tutto assente, ma anche le scuole dovrebbero chiedersi perché manchi la voglia di insegnare il sardo», chiosa polemica la fonte raggiunta da Indip.
LO STRANO CASO DELLA CONSULTA LINGUISTICA: PREVISA DALLA LEGGE MA MAI ISTITUITA
L’altro tasto dolente della mancata politica linguistica ha a che fare con l’elaborazione di un sardo standard che superi la proposta del 2006, la cosiddetta Limba sarda comuna (LSC) adottata in via sperimentale dal Governo Soru come lingua ufficiale per gli atti emessi dalla Regione Sardegna. La questione, come vedremo più avanti, va oltre l’ambito – per quanto importante – della pubblica amministrazione. Intanto va registrato che ci sono voluti oltre dieci anni per arrivare a una legge che individuasse l’organismo deputato a creare le nuove norme. Non basta, perché quella legge – approvata nel 2018 – ad oggi risulta ampiamente disattesa. Durante i cinque anni di giunta Solinas la consulta degli di esperti non è infatti mai stata istituita.
La legge è molto stringente: prevede che la consulta sia composta da ben 34 membri, tra esperti di tutte le varianti, rappresentanti delle università e delle autonomie locali e infine l’assessore competente con un suo dirigente. In altre parole la norma, che nelle intenzioni voleva garantire la massima partecipazione possibile, appare di non facile applicazione. Ma è difficile credere che l’organismo non sia stato istituito per questa ragione. Piuttosto, la politica non ha mai mostrato l’intenzione di attivarlo. «La giunta infatti – riferisce un appassionato di lingua sarda sentito da Indip – è stata parecchio immobile e non si è mai interessata alla questione. Di sicuro avrebbe potuto modificare la legge del 2018 per rendere meno complicata l’attivazione dell’organismo».
CERTIFICARE UNA LINGUA CHE NON C’È
La mancanza di uno standard di riferimento ha causato un paradosso probabilmente unico al mondo: in Sardegna è possibile certificare il proprio livello di conoscenza di una lingua che non ha regole standardizzate, il sardo per l’appunto. L’attestato è stato introdotto dalla Regione nel 2022 e, nonostante il peccato originale della mancata standardizzazione delle norme grammaticali, ha un valore ufficiale. Ad esempio, è necessario per diventare operatore degli sportelli linguistici o iscriversi all’elenco dei docenti di lingua sarda. I candidati devono sostenere delle prove scritte e orali organizzate dall’Università di Cagliari.
«Nemmeno nei libri distopici che amo scrivere mi sarei mai immaginato una cosa del genere», attacca Giuseppe Corongiu, scrittore di romanzi in lingua sarda. E continua: «Io vorrei sapere, da cittadino qualunque, come si possa ottenere una certificazione secondo il quadro comune europeo senza avere un codice linguistico ufficiale, approvato e riconosciuto. Se viene presa per buona ogni variante, in pratica non ci possono quasi essere errori di lingua sarda. E allora che senso ha la certificazione?». Una posizione rafforzata da diverse esperienze in Europa, dove prima di conferire le certificazioni ci si è dotati di uno standard. Sono un esempio l’asturiano e la lingua basca unificata, l’Euskara Batua.
Entrambe, a detta degli esperti, sono ben più frammentate del sardo, eppure si è trovato un punto d’incontro. C’è però chi la pensa diversamente: «È vero che la mancanza di una lingua ufficiale condivisa crea problemi – dichiara sotto anonimato uno studioso che ha ottenuto la certificazione – ma diciamo la verità: con queste procedure non so se si arriverà mai a uno standard o anche solo a istituire la Consulta. Almeno – aggiunge – così sono stati formati centinaia di operatori certificati che possono insegnare, lavorare agli sportelli linguistici e mettere in moto progetti. E si tiene viva la lingua sarda».
La certificazione è sperimentale e per ottenerla occorre conoscere bene tutte le varianti più comuni. I testi dell’esame infatti le comprendono tutte e si seguono le regole di trascrizione e pronuncia contenute nel Repertorio grafematico sperimentale della lingua sarda elaborato dalla Regione e dall’Università di Cagliari. Si tratta di una guida alla scrittura dei fonemi approvata dalla giunta nel giugno 2022. «Siamo pratici: meglio questo dell’alternativa in attesa dello standard, ovvero il nulla», conclude sconsolato l’esperto.
PERFUGAS RINUNCIA AI FINANZIAMENTI MA NON AL SARDO
Come visto, per quanto sconti una sorta di peccato originale – e cioè l’assenza di uno standard –, il certificato è necessario ai fini dell’insegnamento del sardo. E questo ci riporta alle aule scolastiche. Sarà banale dirlo, ma per stare in cattedra occorre essere maestri o professori abilitati. In breve, per impartire lezioni di sardo servono entrambe le qualifiche. Cosa accade se manca il certificato rilasciato dalla Regione? Semplice, i finanziamenti già assegnati possono saltare. È successo a Perfugas, dove otto anni fa la scuola del paese ha dato il via all’insegnamento del sardo grazie all’utilizzo del 20% del monte ore che la legge italiana riserva all’autonomia didattica.
«I finanziamenti ottenuti sono stati rispediti indietro, perché il loro utilizzo implicava il ricorso a un’insegnante dotato del certificato visto in precedenza. In altre parole, l’istituto avrebbe dovuto mettere da parte i docenti che avevano lavorato sodo per anni», racconta l’attivista Maria Vittoria Migaleddu, protagonista di progetti come “Su Sardu in Iscola” promosso dall’associazione Assemblea Nazionale Sarda. In questo caso c’è il lieto fine: a Perfugas le lezioni di sardo continuano, senza soldi, unicamente grazie al volontariato dei docenti. È chiaro però che alla lingua sarda serve molto di più.
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