4 Mar 2024

Ma i bronzetti sardi a che cosa servivano?

Scritto da: Sara Corona Demurtas

Autorappresentazioni, offerte votive, simboli di riti collettivi. Anche questo mese proseguiamo la collaborazione con l'archeologa e divulgatrice Sara Corona Demurtas, stavolta con un approfondimento che prova a definire meglio la finalità dei bronzetti nella civiltà nuragica.

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Nell’immaginario collettivo la civiltà nuragica è immediatamente associata al ricchissimo repertorio delle statuette in bronzo, rinvenute in molteplici siti archeologici isolani. Pochi sanno però che questa statuaria miniaturistica non inizia a essere realizzata prima di almeno 500 anni dalla comparsa dei primi nuraghi. Il periodo a cui comunemente si fa risalire la nascita della civiltà nuragica si chiama Età del Bronzo Medio e comincia intorno al 1800 a.C., cioè 3800 anni fa. Ma è solo centinaia di anni dopo, nel Bronzo Finale, che i primi bronzetti sardi iniziano a comparire in Sardegna così come li conosciamo.

Questo è anche il periodo in cui le genti che chiamiamo “nuragiche” smettono di costruire nuovi nuraghi; quelli precedenti, sparsi a migliaia nel territorio dell’isola, vengono progressivamente abbandonati e assumono un significato nuovo, spirituale o religioso. A questo mutamento radicale nella spiritualità si associa anche la comparsa dei primi bronzetti sardi. Come mai questa produzione completamente nuova e perché così tardiva? Eppure la lavorazione del bronzo era conosciuta ben prima di questa data. Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima di tutto capire cosa erano i bronzetti nuragici e a cosa servivano.

bronzetto
Navicella nuragica dalla tomba del duce di Vetulonia, museo archeologico nazionale di Firenze
UNA CHIAVE PER CONOSCERE LE GENTI NURAGICHE

Considerato che non disponiamo di fonti scritte per l’epoca nuragica, la statuaria miniaturistica in bronzo costituisce per noi una fonte archeologica preziosissima per ricostruire la società del tempo. I bronzetti sardi rappresentano infatti in grande dettaglio personaggi umani e animali impegnati in scene di vita quotidiana, oltre che numerosi oggetti d’uso, dalle navi alle suppellettili più comuni, passando per diversi generi alimentari. 

Grazie ai bronzetti sappiamo che già 3000 anni fa le donne sarde usavano trasportare ceste di vimini intrecciato in equilibrio sul capo. Sappiamo anche che molte tradizioni e pratiche diffuse fino a poco tempo fa nell’isola, come la tecnica di aratura con i buoi aggiogati alle corna, era già in uso in epoca nuragica o che il pane destinato a uso cerimoniale veniva decorato con i motivi geometrici delle pintaderas, tradizione ancora mantenuta in molte famiglie e laboratori di panificazione. 

I bronzetti sardi sono al momento anche la nostra unica fonte per ricostruire l’abbigliamento delle genti nuragiche – dato che non ci sono pervenuti resti di vestiario, realizzato in materiali deperibili – o per farci un’idea della loro estetica, come i tagli di capelli e le acconciature. Sappiamo quindi che le donne benestanti indossavano tunica e mantello, talvolta un velo e un cappello a falda larga e acconciavano i capelli con una scriminatura centrale. E che gli uomini, raffigurati nello svolgimento di attività diverse, spesso portavano i capelli lunghi legati in due grosse trecce che ricadevano sulla schiena o sul petto. Com’è ovvio, ci mancano del tutto informazioni sui colori dei tessuti, assenti nelle statuette. 

Non sappiamo quali divinità venissero adorate né in cosa consistessero le credenze religiose; certo però è il ruolo dell’acqua nella spiritualità di queste genti

Tra le figure umane rappresentate nei bronzetti sardi possiamo riconoscere dei “tipi” sulla base della posa, dei gesti, del vestiario e degli oggetti che recano con sé. Ritroviamo dal semplice offerente all’arciere, il guerriero, il capo tribù con il caratteristico bastone e il pugnale a elsa gammata e la figura femminile con cappello a punta e mantello, interpretata come sacerdotessa. Ma anche – sebbene raramente – statuette rozze raffiguranti personaggi di aspetto umile che dovevano appartenere ai ceti più bassi. È impossibile dire se i bronzetti rappresentassero dunque singoli, specifici individui o piuttosto genericamente dei ruoli all’interno della comunità, come le maschere di un moderno carnevale. 

COSA ERANO E A COSA SERVIVANO I BRONZETTI SARDI?

Le figurine in bronzo che oggi chiamiamo bronzetti sono centrali nei rituali associati alle nuove forme di religiosità che si sviluppano nell’isola in questa fase dell’età nuragica. Intorno al 1200 a.C. un intenso episodio di aridità colpisce tutto il Mediterraneo, prosciugando molti laghi e alterando la vegetazione, verosimilmente causando gravi carestie. In questo periodo l’acqua, indispensabile per la vita umana, doveva essere un bene scarso e difficile da reperire. Per la prima volta, le genti nuragiche costruiscono templi e santuari in corrispondenza di sorgenti e falde acquifere, e molte delle fontane e pozzi preesistenti diventano luoghi di grande significato religioso e sacrale

In assenza di testi scritti, non sappiamo quali divinità venissero adorate né in cosa consistessero le credenze religiose. Certo però è il ruolo centrale dell’acqua nella spiritualità di queste genti: lo sappiamo perché essa diventa in modo molto evidente destinataria dei rituali religiosi e allo stesso tempo strumento del culto. È in questa fase che entrano in scena i bronzetti sardi nella loro funzione principale: cioè, quella di offerte dedicate nei luoghi sacri.

bronzetti sardi
A destra Eroe con quattro occhi e quattro braccia dal Santuario nuragico di Abini di Teti, a sinistra Bronzetto raffigurante un arciere con gonnellino da Sardara

Nei templi a pozzo – o pozzi sacri – e nelle fonti da cui sgorgava, veniva raccolta o incanalata l’acqua, i fedeli donavano a una divinità a noi sconosciuta una grande varietà di prodotti, spesso importati da paesi lontani. Spade votive, spilloni conficcati nelle fessure dell’opera muraria, ma soprattutto queste piccole opere figurative in bronzo. Il cerimoniale del dono doveva essere complesso e richiedeva che la statuetta venisse posta su un altare in pietra, al quale veniva poi fissata con una colata di piombo che ne intrappolava la base alla roccia. Più di 3000 anni dopo, numerosi bronzetti sardi sono stati trovati dagli archeologi, e certamente anche da molti tombaroli, in questa stessa posizione: diritta, in piedi, in prossimità del santuario. 

L’ALIENO E LA BIBBIA

Alcune archeologhe e archeologi sostengono che i bronzetti sardi, pur essendo ricchi di precisione e dettaglio, seguono “un codice e una scala di valori che in massima parte ci sfugge”. Mancando dei testi scritti che descrivano le credenze religiose in questa fase della protostoria sarda, così come delle linee guida o regole, se esistevano, nel dettarne il codice figurativo, è probabile che non coglieremo mai appieno il significato di queste sculture. 

Per capire il perché, un esempio spesso usato è quello dell’alieno che tra 3000 anni approda sulla Terra e scopre i resti di una chiesa cristiana, ma non rinviene una Bibbia – oppure sì, ma non la sa leggere. Come potrebbe lui interpretare l’uomo crocifisso, rappresentato sopra l’altare? Forse riterrebbe di trovarsi in un luogo in cui in antichità si svolgevano sacrifici umani. L’alieno siamo noi, la croce i bronzetti nuragici. 

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Guerriero con elmo cornuto, da Senorbì
SI SA COSA MA NON SI SA CHI OFFRIVA

Certo è che non dobbiamo pensare che queste statuette rappresentassero in modo fedele la società del tempo e le persone che la componevano. Non bisogna dimenticare che i bronzetti sardi avevano principalmente la funzione di essere offerti in dono alle o alla divinità: è credibile che coloro che donavano volessero offrire il meglio di sé in questa occasione e quindi rappresentare sé stessi o altri nelle loro vesti migliori, non in quelle della vita quotidiana. 

Inoltre il bronzo era un materiale prezioso e non è detto che i ceti più umili potessero permetterselo. È probabile che queste persone dedicassero nei santuari soprattutto oggetti deperibili come pane e altri generi alimentari, finendo per questo motivo per risultare poco presenti nel repertorio della statuaria nuragica in bronzo. Certo è che i personaggi rappresentati nei bronzetti sono prevalentemente di rango elevato e poche sono le figure femminili

In realtà, con i dati attualmente a disposizione, non abbiamo modo di sapere se tutti i membri della comunità potevano presentare offerte nei luoghi sacri o se la pratica era riservata solo alle élites. In ultima analisi, non sappiamo chi offriva queste statuette bronzee in dono nei santuari nuragici, né perché lo facesse. 

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Navicella nuragica da Bultei
UNA STORIA IN DIVENIRE

L’archeologa Fulvia Lo Schiavo suggerisce che i bronzetti sardi non venissero affatto donati da singoli individui, ma offerti da intere comunità per comunicare alla divinità le aspettative e i bisogni del gruppo, in una sorta di “ritualità collettiva”. Prova di ciò è che i luoghi di culto rimasero in uso per secoli: durante questo lungo arco di tempo le offerte – dai bronzetti stessi alle spade votive – non sarebbero mai state rimosse dalla loro collocazione. Luoghi e oggetti dunque sacri per consenso di tutta la comunità, con un accordo che travalicava gli ambiti territoriali delle singole tribù o clan nuragici.

I bronzetti sardi ci offrono uno spaccato della civiltà nuragica, ma è come se guardassimo dal buco della serratura. Insieme agli altri reperti archeologici, la statuaria miniaturistica in bronzo concorre, come un puzzle, a costruire il quadro della vita e società di queste antiche genti vissute in Sardegna; quadro mai completo e sempre in evoluzione. 

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