25 Mar 2024

Autosvezzamento: ecco alcuni consigli su come farlo

Scritto da: Valentina D'Amora

Lo svezzamento è un passaggio fondamentale nel percorso di crescita di ogni essere umano, anche se spesso rappresenta per i genitori una fase stressante, a volte anche per via di indicazioni eccessivamente rigide da parte dei pediatri. E allora perché non provare con l'autosvezzamento? Proviamo a capire di cosa si tratta e qual è il modo migliore per farlo in serenità e sicurezza.

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C’era una volta la prima pappa della vita, quella che da manuale si proponeva a tutti i bambini allo scoccare dei sei mesi: brodo di carota, patata e zucchina, semolino o crema di riso, un cucchiaino d’olio e uno di parmigiano. Ce la ricordiamo tutti e qualcuno di noi l’ha anche preparata. Indice di gradimento: molto variabile. E c’era una volta anche la rigidissima tabella dello svezzamento – credo che tanti pediatri abbiano cassetti pieni di fotocopie con la lunghissima lista di alimenti – da seguire pedissequamente per scongiurare il rischio di allergie. 

Svezzamento letteralmente significa “far perdere il vezzo”, cioè l’abitudine di nutrirsi di latte materno, non più in grado di soddisfare da solo tutte le esigenze di energia e nutrimento del lattante di circa sei mesi. Definito anche “alimentazione complementare”, lo svezzamento corrisponde al momento in cui si guida il bambino al passaggio dal latte ai cibi più solidi. Quello tradizionale si compone di quattro fasi: la prima inizia inserendo un solo alimento per volta, in consistenza semifluida; nella seconda e terza fase si introducono i cibi aumentando mano a mano la quantità e la varietà e possono iniziare rispettivamente dal settimo mese e dal nono mese. L’ultima fase invece inizia dopo il primo anno di vita

Autosvezzamento
E L’AUTOSVEZZAMENTO?

L’autosvezzamento prende piede alla fine del secolo scorso sulla base di nuove considerazioni dell’OMS, secondo cui alcune pratiche tradizionali oggi risultano troppo prescrittive e tengono conto solo del cosa viene offerto al bambino, mentre questo diverso approccio sottolinea l’importanza anche del come, quando e da chi viene offerto il cibo. E soprattutto si basa sul lasciare ogni cosa a suo tempo. Si tratta infatti di un’alimentazione che viene detta “responsiva”, perché risponde ai segnali e ai bisogni del bambino. Autosvezzamento significa proprio condividere la tavola con il proprio bambino e mangiare tutti insieme cibi sani e vari. 

Di mia figlia grande Gaia, che è sempre stata una buona forchetta, ho notato sin dal terzo/quarto mese l’estremo interesse nei confronti di quello che compariva sulla tavola: mi ricordo nitidamente quei due occhietti scuri con cui osservava insistentemente tutti i nostri movimenti, il nasino all’insù con cui sentiva i profumi provenire dai fornelli. E vedo che quando siamo a tavola tutti insieme anche Margherita, la sorellina, dimostra di essere già attratta dal tema “mangereccio”, mostrando la linguetta e simulando una sorta di precoce masticazione “gengivale” ogni volta che ci vede mangiare.

Autosvezzamento
SVEZZAMENTO O AUTOSVEZZAMENTO? L’OPINIONE DELL’OSTETRICA

«La famiglia opta per un tipo di alimentazione piuttosto che un altro sulla base di scelte diverse. Sicuramente un criterio importante è quello culturale, quindi legato alla famiglia d’origine e alle informazioni a disposizione», spiega la dottoressa Adele Moncagatta, ostetrica genovese. «Famiglie poco informate scelgono tendenzialmente un modello tradizionale di svezzamento, basato sull’introduzione graduale dei cibi fatta piuttosto precocemente, tra i 4 e i 5 mesi, con alimenti creati apposta per il neonato, quindi pappette e omogeneizzati, perché chiaramente a quell’età non si può proporre un un’alimentazione differente, non essendoci i presupposti neuromotori per fare altrimenti». Il percorso in questo caso è lento, anche perché si introduce un cibo per volta. 

«Ci sono poi famiglie che fanno scelte più consapevoli, che si interrogano di più e che sono più portate a sperimentare e sono quelle che più si avvicinano all’autosvezzamento». Un altro criterio di scelta poi è il pediatra: «Alcuni supportano un’introduzione dei cibi più “naturale”, altri invece continuano a suggerire un protocollo classico, abbastanza complesso, che parte da come fare il brodo, togliendo poi le verdure a fine cottura e passandole. Insomma, una preparazione quasi da piccolo chimico», sottolinea l’ostetrica. 

Autosvezzamento

C’è poi il tema dell’organizzazione familiare quotidiana. «Se durante il giorno il neonato è curato da terzi, può essere più facile che si segua uno svezzamento tradizionale. Se invece i pasti sono gestiti dalla famiglia ristretta, quindi prevalentemente i genitori, è più probabile che portino avanti la scelta intrapresa».

E l’allattamento? Influisce abbastanza su tutto il processo. «Una donna che allatta al seno è più portata a far assaggiare cibi vari al proprio bambino, senza inaugurare un vero momento di inizio svezzamento: mentre il neonato continua a essere allattato, cosa tra l’altro consigliata dall’OMS, si trova via via ad assaggiare un alimento che magari sta cucinando la mamma in quel momento, in modo molto naturale e spontaneo». Se invece si allatta artificialmente si è molto più abituati ad avere degli schemi, degli orari prestabiliti e delle quantità da seguire. 

«Negli anni ho notato che le donne che per mille motivi non allattano vogliono sapere quanto il bambino deve mangiare, per esempio, o quante calorie ha ogni pasto, cosa che una donna che allatta al seno tendenzialmente non fa, perché non sa mai quanto quanto latte ha preso durante la poppata, né tantomeno quante proteine, vitamine o calorie ha acquisito. Ha semplicemente molta fiducia nel fatto che il neonato stia crescendo bene e si sente tranquilla, portando avanti in parallelo l’allattamento, a introdurre gradualmente e con tempi diversi i cibi al proprio bambino».

Autosvezzamento

«L’autosvezzamento poi porta a riflettere sull’alimentazione di tutta la famiglia, ci si pone delle domande rispetto alla salute e alla vitalità del cibo che stiamo mangiando». Il fatto tesso di condividere il cibo con tutta la famiglia riunita cambia la relazione, perché lo stare a tavola insieme diventa un momento di incontro. «Nell’alimentazione tradizionale spesso il pasto viene molto anticipato, servito tra le 18:30 e le 19:30. In quale famiglia italiana si può essere a tavola a quell’ora? Inoltre il bambino viene fatto sedere a tavola da solo e viene imboccato, quindi la sua relazione col cibo è piuttosto passiva». 

«Ogni alimento, nell’autosvezzamento, è “saturazione sensoriale” – evidenzia Moncagatta – anche dal punto di vista uditivo: si guarda, si annusa, si assapora e se ne parla anche». Descriviamo il cibo che stiamo per mangiare e raccontiamo al piccolo da dove arriva. «Ecco quindi la scelta di andare a fare la spesa insieme ai bambini per insegnare loro, tra le altre cose, anche a scegliere cibi di stagione». Un’educazione alimentare che si inizia fin da subito.

Una madre che allatta al seno ha molta fiducia nel fatto che il neonato stia crescendo bene e si sente tranquilla

I 5 SUGGERIMENTI DELLA DIETISTA

Per approcciarsi al meglio all’autosvezzamento la dietista Ilenia Vìzzari, specializzata in disturbi alimentari e obesità, ha stilato cinque consigli da seguire se si decide di intraprendere questo viaggio insieme al proprio bambino

  • tenere sempre il piccolo a tavola con i genitori, non appena è in grado di stare seduto sul seggiolone o in braccio; 
  • aspettare le richieste di cibo da parte del bambino, che si manifestano di solito attraverso tentativi di raggiungerlo con le mani o con un’osservazione attenta e curiosa; 
  • soddisfare qualsiasi sua richiesta di cibo, purché si tratti  di alimenti idonei;
  • interrompere gli assaggi se il bambino smette di chiederli o se il pasto della famiglia è finito: evitando di cambiare la durata dei pasti dei genitori, il bambino imparerà ad adattarsi al loro ritmo;
  • proseguire l’allattamento materno a richiesta fino a quando mamma e bambino saranno entrambi d’accordo a continuarlo: anche quando il bambino mangerà tutti i cibi della famiglia, il latte materno manterrà tutte le sue proprietà nutritive e immunitarie. In altre parole il latte materno col tempo “non diventa acqua”.
autosvezzamento 4
PREVENIRE EVENTUALI RISCHI DI SOFFOCAMENTO

Lo sviluppo di una masticazione adeguata però richiede tempo: intorno ai dieci mesi la lingua è in grado di spostare i cibi all’interno della bocca e il piccolo inizia a masticare, ma solo al compimento di due anni il bambino raggiungerà una masticazione matura. Ecco perché esporlo precocemente ad alimenti solidi che richiedono una masticazione complessa può aumentare il rischio di soffocamento.  

Per evitarlo, oltre a imparare le manovre di disostruzione delle vie aeree frequentando gli incontri organizzati da Salvamento Academy o altre associazioni analoghe, basta cominciare l’autosvezzamento con alimenti proporzionati alle iniziali capacità masticatorie del piccolo, che iniziano già a sette mesi circa. Tra gli alimenti più facili da deglutire ci sono: la frutta matura schiacciata o a piccole fette, la verdura cotta al vapore sminuzzata – a pezzi piccoli e senza filamenti –, i formaggi cremosi, la pasta corta ben cotta e ben condita e il pesce sminuzzato e ovviamente privo di lische.  

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