Autoproduzione e fermentazione: Candida Bevilacqua “disobbedisce” così alla società moderna
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Campania - In una società che ci vuole sempre più performanti, in un mondo del lavoro che ci sottopone a ritmi intensi e frenetici, tra abitudini che ci isolano gli uni dagli altri, la nostra natura finisce inevitabilmente per ribellarsi. È iniziata così l’avventura di Candida Bevilacqua con la fermentazione selvaggia, da un interesse personale e dal bisogno di ritrovare nei ritmi calmi della natura una cura per il corpo e per la mente. Con Wild Ferment Candida ha poi deciso di condividere con gli altri saperi, gusti ed emozioni legati al mondo della fermentazione.
LA FERMENTAZIONE SELVAGGIA COME CURA
«Mi occupo di grafica animata pubblicitaria, lavorando sia per la televisione che per diverse aziende. Quando sono diventata freelance ho avuto la possibilità di svincolarmi da studi e da agenzie, ma mi sono ritrovata agganciata a un lavoro che iniziava la mattina e che mi teneva incatenata al computer fino a sera. I ritmi folli negli anni mi hanno fatto stare sempre peggio, finché non mi sono ammalata», mi ha raccontato Candida.
«Ho iniziato a fare il Kefir in casa per casualità, informandomi su internet, e ho cominciato a stare meglio quasi subito. Allo stesso tempo il fatto di autoprodurre del cibo fermentato in casa, di avere a che fare con qualcosa di vivo, che cresceva e che aveva bisogno delle mie cure, mi ha portato a migliorare il mio rapporto con la vita e con la natura. Ho iniziato per curiosità, ma ben presto mi sono appassionata e ho iniziato ad approfondire il mondo vastissimo della fermentazione».
I BENEFICI E I RISCHI DELLA FERMENTAZIONE
Ma perché i cibi fermentati fanno così bene? «All’interno del nostro intestino abbiamo una moltitudine di microrganismi, come batteri, lieviti, virus e protozoi, che vivono in equilibrio. Si chiama microbiota o, più comunemente, “flora batterica”. Spesso, a causa dell‘alimentazione, dello stress o dell’assunzione frequente di farmaci, la biodiversità del microbiota si riduce causando difficoltà a digerire, una perpetua stanchezza, fino ad arrivare alla manifestazione di vere e proprie patologie», ha spiegato Candida.
«Assumere cibi fermentati significa assumere cibi con una carica batterica viva. Si tratta di batteri buoni, che arricchiscono il nostro microbiota. L’intestino è connesso a tanti organi del corpo, per cui mantenere in salute il microbiota significa apportare benefici a tutto il corpo». Spesso, a sentir parlare di batteri e di microrganismi, ci si spaventa. «La cosa di cui si tende ad avere più paura è il botulino. In realtà, è molto difficile che un fermentato vada a male. In generale, se si rispettano le condizioni igieniche di base, come lavarsi le mani e lavare il contenitore, non si corre alcun rischio».
«Bisogna rispettare le proporzioni di sale – sottolinea Candida –, ma non c’ bisogno di essere estremamente precisi perché quando si innesca la fermentazione sono gli stessi lattobacilli, a contatto col sale, a produrre acido lattico, ad abbassare il PH e a eliminare il rischio di formazione di botulino. Semplificando al massimo, potremmo dire che i batteri “buoni” si difendono da soli dai batteri nemici, producendo una sorta di antibiotico naturale, e che difenderanno anche noi quando li assumeremo mangiando cibo fermentato. Insomma, è molto più sicuro un fermentato che una conserva sott’olio».
WILD FERMENT, CORSI DI FERMENTAZIONE SELVAGGIA A NAPOLI
Appassionandosi alla fermentazione selvaggia, Candida ha sentito l’esigenza di condividere con altri la scoperta di una natura che guarisce e ci difende. «Organizzo corsi per imparare a fermentare non solo verdure, ma anche detergenti enzimatici, il tempeh e molto altro. Le persone amano particolarmente imparare a fare le bevande fermentate, o anche del pane, partendo dai lieviti selvaggi, cioè i lieviti che estraiamo da fiori raccolti».
L’aggettivo “selvaggio” non è usato a caso, ma si riferisce proprio al fatto che Candida predilige usare lieviti che crescono spontaneamente in natura. «C’è una grandissima differenza tra l’insalata da supermercato, che probabilmente è stata coltivata in idroponica, ovvero senza contatto con il suolo, e un’insalata raccolta in natura, in una zona incontaminata. Mangiando quest’ultima cruda si assume anche il microbiota della pianta, microrganismi che non troverai in un’insalata che non è cresciuta a contatto con la terra».
Quando le persone scoprono che basta raccogliere un fiore per produrre del cibo fermentato rimangono estasiate: «Per me, la cosa più bella è poter insegnare alla gente che la natura intorno a noi è viva e che ci possiamo interagire. I miei sono corsi di autoproduzione, che faccio un po’ ovunque mi ospitino, di solito tra associazioni, giardini e spazi aperti di Napoli», racconta ancora Candida.
«Ho iniziato da poco una collaborazione con il centro Eka, che si trova a pochi passi da piazza Dante. I due ragazzi che lo gestiscono, Stefano e Annachiara, mettono a disposizione la loro casa e la loro cucina. Sono stata ospite di orti, giardini e associazioni. A volte riesco anche a spostarmi un po’ in giro. L’anno scorso, ad esempio, ho partecipato al Festival delle erbe selvatiche Svizzera».
CORSI DI AUTOPRODUZIONE, DI CURA E DI LENTEZZA
Basta un solo incontro con Candida per diventare totalmente autonomi nella tecnica della fermentazione selvaggia. «Durante i corsi cerco di trasmettere i concetti di base, spiego cos’è la fermentazione selvaggia, perché ci fa bene e qual è il collegamento con la natura. Perché non si tratta solo di noi, ma si tratta di noi e di loro. Abbiamo il dovere di mantenere una biodiversità anche quando si tratta dei nostri batteri».
Dopo la teoria, si passa ad una parte più tecnica, in cui Candida spiega come fermentare in sicurezza. «Iniziamo quindi a toccare e a tagliuzzare tutti insieme. Questo è, secondo me, il momento più prezioso. Molte persone non sono più abituate a cucinare, a passare del tempo insieme al cibo, perché la vita in città è una corsa continua. Io per prima ero solita a mangiare davanti al computer, ordinando cibo a domicilio».
«Ci tenevo a creare una situazione in cui è possibile fare le cose con lentezza, perché può essere curativo anche regalarsi una sola giornata in cui fermarsi per stare a contatto con quelle verdure di cui molti non conoscono neanche in nomi. Ogni corso si conclude con una degustazione, perché è importante anche assaggiare e capire cosa aspettarsi dal proprio fermentato, e alla fine della giornata ognuno torna a casa con il proprio barattolino e con un’esperienza nuova nel cuore».
LA DIMENSIONE COLLETTIVA DEI CORSI DI WILD FERMENT
Aspettare le tre settimane che il fermentato sia pronto è un altro esercizio da fare a casa, perché abituati ad andare sempre di fretta non sappiamo stare nell’attesa. «Un’altra cosa a cui non siamo abituati poi è condividere questi momenti . Un tempo era normale lavorare collettivamente alle conserve di cibo, ma oggi non è più così. Molte persone ritornano ai corsi proprio perché rimangono colpiti dalla situazione che si crea, in cui si sentono parte di una collettività».
Secondo Candida è bello stare insieme e lavorare insieme, perché le persone si riscoprono umane: «Lo stesso spazio che mi sta ospitando, il centro Eka, è un luogo d’amore che aiuta a creare una situazione di vicinanza tra le persone. Sono convinta che se si riesce a uscire dalle dinamiche aziendali, ad essere meno perfezionisti e a creare uno spazio che sia di condivisione e non di produzione, anche i fermentati vengono fuori più buoni».
La natura è lenta, è imperfetta, disordinata. Anche la natura umana lo è, eppure cerchiamo di entrare in schemi irrealistici e che ci fanno sentire sbagliati solo perché non riusciamo a uniformarci a un sistema che ci vuole come non potremmo mai essere. «La nostra società, per come è fatta e per come sta andando, è diventata patologica. Noi proviamo a starci dietro, ma prima o poi qualcosa salta. Soprattutto nel mondo del lavoro, siamo sempre più esigenti».
IL CUORE ANARCHICO DEI FERMENTATI
«Quando faccio i corsi cucino mille cose per far provare alle persone i cibi fermentati, ma anche perché mi piace condividere il cibo con gli altri. Soprattutto, credo che preparare del cibo sia un gesto da rispettare. Quando le persone assaggiano quello che ho cucinato per loro si sentono riconoscenti, mentre io mi sento felice. Questa cosa non sarà mai possibile in un ristorante, dove si lavora con ritmi frenetici. È difficile amare quello che si sta facendo se lo si fa a queste condizioni, come impone la società».
L’obiettivo di Wild Ferment è aiutare le persone a fermarsi e a disubbidire a queste logiche performanti, perché «la disobbedienza è alla base della fermentazione selvaggia. Quando si utilizzano i lieviti selvaggi che vivono sui fiori, è quasi impossibile prevedere quale sarà il risultato. I microrganismi sono così tanti e così diversi da loro, che ogni fermentato è quasi unico».
«La fermentazione è selvaggia anche perché fa un po’ quello che vuole. Può venire bene, male, e le sfumature di sapore sono sempre diverse e impossibili da riprodurre uguali. E credo che la cosa più bella sia che noi esseri umani, se siamo fortunati, siamo osservare questa vastità, ma non potremmo mai governarla!», ha concluso Candida.
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